Concorsi pubblici: la trasparenza degli algoritmi ci salverà dagli errori… e dai raccomandati.

Una recente sentenza del Tar Lazio ha riconosciuto il diritto di accesso al codice sorgente del software utilizzato per il concorso dei dirigenti scolastici.

Ernesto Belisario
La PA Digitale

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Italiani, “popolo di santi, di poeti, di navigatori, di nipoti, di cognati”. Così Ennio Flaiano, a modo suo, ironizzava sul fenomeno delle raccomandazioni, specialmente nel pubblico impiego.

Per garantire che le amministrazioni assumano sempre e davvero i migliori ci sono i concorsi, complessi procedimenti amministrativi volti a selezionare i più meritevoli. Tradizionalmente si tratta di procedure lunghe (le Commissioni hanno bisogno di tempo per correggere gli elaborati, fare i colloqui, stilare le graduatorie) e oggetto di numerose contestazioni e ricorsi (il posto fisso, infatti, resta nonostante tutto una meta molto ambita).

Da qualche tempo, però, nelle procedure concorsuali (soprattutto quelle a carattere nazionale) hanno fatto irruzione le tecnologie digitali. Non mi riferisco, ovviamente, all’uso di computer e siti per stilare verbali o per pubblicare graduatorie. Questo fortunatamente si fa già da anni. Da qualche tempo, invece, alcune amministrazioni hanno iniziato ad utilizzare appositi software (algoritmi) in modo da rendere più veloci le procedure, automatizzando le valutazioni in modo da renderle più imparziali e riducendo l’impatto di errori umani e…raccomandazioni.

Una piccola grande rivoluzione che non ha avuto il bisogno di nuove norme e ha superato anche il vaglio del Consiglio di Stato che, con alcune importantissime sentenze, ha affermato che è legittimo, anzi auspicabile, automatizzare parte dell’istruttoria amministrativa, anche in un concorso, attraverso il ricorso agli algoritmi.

Un episodio del nostro podcast sull’uso degli algoritmi nell’attività amministrativa

Una buona notizia dunque. In un panorama fatto di amministrazioni che si sottraggono agli obblighi sulla trasformazione digitale, ce ne sono alcune che invece si spingono oltre e senza il bisogno che nessuno le costringa. Semplicemente perché l’uso delle tecnologie, specialmente di quelle emergenti, è l’unica strada per consentire all’amministrazione di gestire procedimenti complessi in modo efficiente.

C’è però una condizione che deve essere soddisfatta in caso di uso degli algoritmi nei concorsi (e più in generale nell’ambito dei procedimenti amministrativi). Ed è la trasparenza degli algoritmi stessi.

Se abbiamo preteso — come era giusto — la trasparenza dell’operato delle amministrazioni e delle commissioni in tutte le fasi delle procedure, dobbiamo pretendere la stessa trasparenza in caso di uso dell’utilizzo delle tecnologie digitali.

Non è possibile pensare di inserire all’interno di procedimenti così importanti delle “black box”, cioè delle scatole nere all’interno delle quali nessuno può guardare per verificare come è stata gestita la procedura. Non è possibile legittimare l’oscuramento di parti importanti di attività amministrativa, creando “buchi neri della trasparenza”. Si produrrebbe infatti una insostenibile situazione di “doppio binario” in cui nei concorsi gestiti con l’ausilio di strumenti informatici la regola della trasparenza non sarebbe garantita in modo completo, pregiudicando tra l’altro la possibilità di scoprire errori e anomalie nello svolgimento della procedura.

Lo ha ribadito recentemente il Tar Lazio con una recentissima sentenza (la n. 7370 del 30 giugno 2020) in cui ha riconosciuto il diritto di accesso al codice sorgente del software relativo allo svolgimento della prova scritta del concorso per il reclutamento dei dirigenti scolastici bandito nel 2017. Adesso il Ministero dell’istruzione (che ha bandito la procedura) e il Cineca (che ha realizzato il software) devono consentire l’accesso all’algoritmo in modo che alcuni dei soggetti che hanno partecipato alla procedura possano verificarlo.

Insomma, non dobbiamo scegliere tra procedure più efficienti e trasparenza: le amministrazioni possono, anzi devono, garantire il rispetto di entrambi i principi.

Si tratta di un’affermazione molto importante, proprio in un momento in cui gli algoritmi diventano sempre più diffusi anche nella pubblica amministrazione.

E non si tratta — soltanto — di un tema di trasparenza nei confronti dell’utente.

I codici sorgente devono essere oggetto di esame e di verifica — prima di tutto — da parte delle stesse amministrazioni che commissionano o comprano algoritmi. Infatti, l’amministrazione, sempre secondo i principi elaborati dalle sentenze, risponde nel caso in cui ci siano errori nella realizzazione dell’applicativo oppure il software non rispetti le regole previste dalle norme e dal bando.

E qui torniamo al tema delle competenze digitali che — come ribadito poche settimane fa dai dati diffusi dalla Commissione Europea con il DESI — vedono il nostro Paese come fanalino di coda in UE.

Viene da chiedersi quante siano le pubbliche amministrazioni che dispongono delle competenze per gestire questa delicata fase di passaggio.

Ecco, forse con i prossimi concorsi bisognerebbe assumere prioritariamente chi è in grado di capire come funzionano gli algoritmi, chi può aiutare l’amministrazione a comprare i software utili e verificare se funzionino correttamente.

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Ernesto Belisario
La PA Digitale

Senior Technology Law Attorney with Over 20 Years of Expertise in Digital Transformation, Data Protection, Startup Law, and Artificial Intelligence.