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Piano Nazionale Anticorruzione 2019: il digitale grande assente?

Il PNA 2019 e l’occasione mancata di valorizzare la trasformazione digitale come misura generale di prevenzione della corruzione.

Francesca Ricciulli
Published in
9 min readJan 14, 2020

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Da qualche anno gennaio è il mese dell’anticorruzione.

Entro la fine del mese, infatti, ciascun soggetto tenuto all’applicazione della normativa in materia di anticorruzione deve predisporre il proprio piano alla luce delle indicazioni date a livello nazionale dall’Anac.

Si tratta di un adempimento ormai usuale per le pubbliche amministrazioni, curato dai responsabili per la prevenzione della corruzione e per la trasparenza (RPCT).

Le novità del Piano Nazionale Anticorruzione 2019

Quest’anno, però, l’Autorità nazionale per l’anticorruzione ha spiazzato tutti e, invece di pubblicare il solito aggiornamento del Piano nazionale, ha redatto un lungo e fitto documento che innova considerevolmente l’approccio precedente.

Il PNA del 2019, infatti, è un compendio dei piani precedenti, li sostituisce quasi del tutto e sistematizza alcuni dei temi trattati con il rinvio a varie delibere emanate in precedenza dall’Autorità. Peraltro, il documento è integrato da allegati nell’ambito dei quali vengono trattati più dettagliatamente alcuni aspetti tra i quali il metodo di analisi e gestione del rischio. Quest’ultimo è stato rivisto e modificato anche alla luce delle risultanze dei primi anni di applicazione di tutta la normativa scaturita dalla Legge “Severino”, n. 190 del 2012.

Insomma, come si diceva, un sensibile cambio di approccio metodologico, seppur in continuità con la strada intrapresa da alcuni anni dal punto di vista dei contenuti.

Il Piano di quest’anno si concentra sulle misure di prevenzione della corruzione e, in particolare, su quelle generali. Queste ultime si caratterizzano per la capacità di incidere sul sistema complessivo della prevenzione della corruzione, intervenendo in modo trasversale sull’intera amministrazione o ente. Le misure sono “specifiche”, invece, laddove incidono su problemi specifici individuati tramite l’analisi del rischio e pertanto devono essere ben contestualizzate rispetto all’amministrazione di riferimento.

Può essere utile ricordare che l’idea sottesa all’intera riforma della materia avviata nel 2012 è quella del parziale cambio di approccio nella gestione della corruzione. Fermi restando una concezione penalistica di corruzione e tutto il regime sanzionatorio previsto per i reati contro la pubblica amministrazione (ribaditi anche all’interno del PNA 2019), da anni, infatti, nel nostro ordinamento, si è radicata l’idea di prevenzione e contrasto amministrativo della corruzione che si è affiancata al tradizionale approccio repressivo del fenomeno corruttivo.

Con la Legge n. 190 del 2012, è stata delineata una nozione ampia di “prevenzione della corruzione”, che comprende una vasta serie di misure con cui si creano le condizioni per rendere sempre più difficile l’adozione di comportamenti di corruzione con un’attenzione particolare, tra i vari strumenti, alla misura della trasparenza.

La trasparenza come misura consolidata di prevenzione della corruzione

In effetti, anche quest’anno la trasparenza si riconferma una delle principali misure generali di prevenzione della corruzione. È ormai opinione comune e consolidata, infatti, che, soltanto un’amministrazione aperta e trasparente consenta alla società civile di sviluppare maggiore consapevolezza e svolgere una funzione di controllo sul perseguimento delle finalità istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche. Gli istituti di trasparenza sono volti altresì a promuovere la partecipazione e a stimolare il dibattito pubblico.

Il controllo da parte dei cittadini non avviene solo attraverso l’osservazione dei dati e dei documenti che le amministrazioni devono pubblicare per adempiere gli obblighi fissati dal D.lgs n. 33/2013, cd “Decreto Trasparenza” — emanato proprio nell’ambito della più ampia riforma del sistema di prevenzione della corruzione — ma anche grazie alla possibilità di chiunque di accedere alle informazioni detenute dall’amministrazione, ulteriori rispetto a quelle che la stessa è obbligata a pubblicare.

Non a caso una delle principali novità introdotte dal D.lgs. n. 97/2016 è stata la piena integrazione del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità (PTTI) nel Piano triennale di prevenzione della corruzione, ora Piano triennale di prevenzione della corruzione e della trasparenza. Pertanto, l’individuazione delle modalità di attuazione della trasparenza non è più oggetto di un atto separato ma è diventato parte integrante del Piano come “apposita sezione”.

La relazione tra digitalizzazione e prevenzione della corruzione

In questo scenario l’attenzione riservata dal PNA 2019 al digitale appare sorprendentemente limitata, nonostante si tratti di un aspetto strettamente connesso al sistema della prevenzione della corruzione e soprattutto al tema della trasparenza. In particolare, digitalizzazione e trasparenza di una pubblica amministrazione sono direttamente proporzionali in quanto un’amministrazione digitale è indiscutibilmente un’amministrazione più aperta e trasparente.

Tale circostanza, lungi dal rappresentare una novità, è stata valorizzata nel corso degli ultimi anni da vari approfondimenti. Tra i più noti quello condotto da Luca Attias, attuale direttore del Dipartimento per la Trasformazione Digitale, che, comparando gli indici che servono a valutare la quantità e qualità del ricorso alla tecnologia digitale in un paese — comprese le infrastrutture, le competenze e i servizi pubblici (Digital Economy and Society Index (DESI, fonte UE) — e gli indicatori statistici del grado di corruzione che affligge un paese (la classifica dei Paesi meno corrotti, fonte Transparency International), ha scoperto che la correlazione è prossima al 90%.

Il rapporto tra sviluppo digitale e corruzione nei Paesi — Fonte Corte dei Conti (2015)

Leggendo il PNA 2019, la sensazione, al contrario, è che si continui ad identificare la trasparenza con il mero assolvimento degli obblighi di pubblicazione o, al massimo, con la concessione da parte dell’amministrazione di ulteriori dati a fronte di istanza di accesso, senza che venga rivolta la dovuta attenzione alla digitalizzazione dei processi.

In questo senso, la parte del PNA dedicata al tema si sofferma, più che altro, sulle indicazioni date dall’Anac alle amministrazioni su come assolvere agli obblighi di pubblicazione perché spesso percepiti dalle stesse come molto onerosi. Il rischio di un siffatto atteggiamento è quello di far passare il messaggio estremamente fuorviante della trasparenza come mero adempimento con la conseguenza di perdere contatto con le reali finalità sottese al sistema dell’anticorruzione nel suo complesso. In altre parole, non è più possibile pensare che un’amministrazione che pubblica o concede i dati — questione quest’ultima comunque tutt’altro che scontata — sia effettivamente più trasparente.

In realtà, ci sono innumerevoli casi di normative dalle quali emerge il tentativo di mettere in correlazione digitalizzazione, trasparenza e anticorruzione.

In materia di appalti pubblici, ad esempio, settore particolarmente esposto al rischio di fenomeni corruttivi, una recente maggiore apertura alla telematizzazione delle procedure deriva dall’articolo 40 del Codice di contratti pubblici. Infatti, il 18 ottobre 2018 è entrato in vigore l’obbligo di utilizzo dei mezzi di comunicazione elettronici nelle gare d’appalto. Da tale data — salvo alcune eccezioni — tutte le comunicazioni e gli scambi di informazioni inerenti all’ambito del public procurement si svolgono in formato interamente elettronico. Tale obbligo deriva dal recepimento dell’art. 22 della direttiva comunitaria n. 24 del 2014, il quale recita che:

“gli Stati membri provvedono affinché tutte le comunicazioni e gli scambi di informazioni di cui alla presente direttiva, in particolare la trasmissione in via elettronica, siano eseguiti utilizzando mezzi di comunicazione elettronici(art. 22, co. 1); in tali casi, le amministrazioni aggiudicatrici “garantiscono che l’integrità dei dati e la riservatezza delle offerte e delle domande di partecipazione siano mantenute” (22, co. 3).

La stretta connessione tra automatizzazione dei processi e trasparenza, poi, è stata valorizzata all’interno della Circolare n. 1 del 2019 del Dipartimento Funzione pubblica concernente l’attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (c.d. FOIA).

L’attuazione della Circolare FOIA nella PA digitale

La Circolare parte dall’assunto che i sistemi di protocollo informatico e gestione documentale più evoluti permettono di gestire il procedimento di accesso in tutte le sue fasi, dall’acquisizione della richiesta alla decisione finale. Tali sistemi, peraltro, opportunamente configurati, consentono di realizzare il registro degli accessi, nel quale ciascuna amministrazione dovrebbe indicare gli estremi delle richieste ricevute e il relativo esito, omettendo la pubblicazione di dati personali eventualmente presenti.

Chiaramente, per promuovere una adeguata valorizzazione di questi strumenti nell’attuazione del FOIA è decisivo il ruolo del Responsabile per la transizione al digitale (RTD) al quale, come ricordato dalla Circolare, il Codice dell’amministrazione digitale e altre disposizioni attuative affidano il coordinamento del processo di diffusione all’interno dell’amministrazione dei sistemi di protocollo informatico, oltre alla generale funzione di reingegnerizzazione e informatizzazione dei processi e diffusione all’interno dell’amministrazione di strumenti quali, tra gli altri, la pec e la firma digitale.

L’intervento di Massimo Mecella del Dipartimento della Funzione Pubblica sul ruolo del RTD e gli strumenti di supporto al FOIA nel corso del secondo Raduno dei responsabili per la transizione al digitale

In particolare, come previsto dalla Circolare n. 1 del 2019, il Responsabile per la transizione al digitale è tenuto a promuovere e abilitare l’utilizzo dei sistemi di protocollo informatico e gestione documentale per la gestione delle richieste di accesso civico generalizzato, adottando gli interventi di evoluzione e configurazione dei sistemi già in uso che si rendano necessari.

È possibile dare per scontata la digitalizzazione della PA?

A questo punto, sorge spontanea una domanda. Che non si avverta il bisogno di soffermarsi sul tema all’interno dell’aggiornamento annuale del Piano nazionale anticorruzione perché nell’appena iniziato anno 2020 la dematerializzazione dei documenti e la digitalizzazione dei processi sono ormai una realtà nella pubblica amministrazione?

In realtà, nonostante l’art. 17 del Codice dell’Amministrazione Digitale, stabilisca che ogni pubblica amministrazione è tenuta ad individuare un RTD, ossia un responsabile che si occupi di coordinare operativamente la trasformazione digitale dei servizi ai cittadini e alle imprese, adottando modelli di relazione trasparente e aperti con la società civile, i Responsabili attualmente nominati sono pochi più di 5.000 su circa 22.000 amministrazioni.

Anche solo consultando lo stato di avanzamento della trasformazione digitale, che consente un monitoraggio dei progetti sul tema, poi, emerge la lentezza della digitalizzazione della pubblica amministrazione italiana per ciò che concerne l’implementazione di piattaforme e servizi.

Lo stato di avanzamento della trasformazione digitale — Fonte AgID

Forse, quindi, sarebbe opportuno pensare di inserire la digitalizzazione tra le misure generali di prevenzione della corruzione e attribuirle una dignità autonoma, approfondendo il tema anche indipendentemente rispetto a quello della trasparenza. Forse ogni occasione sarebbe buona per affermare espressamente o anche solo ricordare qual è l’obiettivo di un percorso — quello della digitalizzazione della pubblica amministrazione — che da anni è stato intrapreso per tanti motivi tra i quali anche quello della lotta alla corruzione grazie ad una maggiore trasparenza della gestione della cosa pubblica.

Riflessioni e propositi per il futuro: I PTPCT 2020–2022

Se per il Piano nazionale anticorruzione 2019 può parlarsi ormai di un’occasione mancata, c’è ancora tempo per le amministrazioni che stanno redigendo i propri Piani triennali 2020–2022 e che devono adottarli entro il 31 gennaio.

Un esempio da seguire, questa volta, potrebbe essere proprio quello dell’Anac che, già nello scorso PTPCT 2019–2021, ha dedicato un’apposita sezione del proprio piano all’informatizzazione dei processi come misura generale di prevenzione della corruzione.

Si potrebbe inserire nei Piani il passaggio, nel corso del prossimo triennio, all’utilizzo di soluzioni tecnologiche per la presentazione e gestione delle istanze di accesso, con l’obiettivo di semplificare le modalità di accesso dei cittadini e il lavoro di gestione delle richieste da parte dell’amministrazione seguendo le indicazioni della citata Circolare n. 1 del 2019 sul FOIA.

Sempre sul tema, il Dipartimento della funzione pubblica ha predisposto un documento contenente specifiche tecniche denominato “Indicazioni operative per l’implementazione del registro degli accessi FOIA”, disponibile sul sito www.foia.gov.it.

Oltre ai settori come quello dei contratti pubblici in cui esistono precisi obblighi, i Piani potrebbero prevedere maggiore digitalizzazione in vari ambiti dell’organizzazione e addirittura utilizzarla per sostituire — con adeguata motivazione — altre misure che sono spesso di difficile applicazione.

Ci si riferisce, ad esempio alla rotazione ordinaria del personale. Del resto, come ribadito dall’allegato al PNA 2019 sul tema, in questi casi le amministrazioni sono comunque tenute ad adottare misure per evitare che il soggetto non sottoposto a rotazione abbia il controllo esclusivo dei processi, specie di quelli più esposti al rischio di corruzione. In particolare, dovrebbero essere sviluppate altre misure organizzative di prevenzione che sortiscano un effetto analogo a quello della rotazione, cioè maggiore trasparenza e condivisione dei procedimenti.

Insomma, le possibilità per dare risalto al tema della digitalizzazione all’interno delle proprie organizzazioni con un approccio originale e innovativo sono moltissime e l’occasione è importante anche in considerazione del rimarcato legame tra il Piano anticorruzione e quello della performance. D’altra parte, l’Anac ha da sempre scongiurato non solo la standardizzazione dei piani, strettamente legati alle singole amministrazioni di riferimento, ma anche il pedissequo adeguamento alle sole misure proposte nel Piano nazionale.

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Francesca Ricciulli
La PA Digitale

Avvocato. Diritto amministrativo e diritto e delle tecnologie.