“Riprendiamoli”, l’inchiesta che ha svelato i tesori segreti della criminalità organizzata

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La prima giornata di #glocal16
2 min readNov 17, 2016

Un progetto di data journalism ha censito il patrimonio che lo Stato ha sottratto alla mafia e che aspetta di essere restituito alla comunità

di Laura Gioia e Federica Liparoti

Ville, macchine sportive, animali esotici. Ma anche cliniche, pizzerie e quadri d’autore. Dal 1982 a oggi sono oltre 27 mila i beni che lo Stato ha sequestrato alla mafia. Ma solo 11 mila sono stati riassegnati, mentre gli altri sono ancora inutilizzati. “Confiscati bene” è un progetto di data journalism finalizzato a censire il patrimonio, frutto di attività illegali, che lo Stato ha sottratto alla criminalità organizzata. L’iniziativa è stata presentata al Glocal festival di Varese da Pier Vittorio Buffa, giornalista, Andrea Nelson, data journalist, Tecla Biancolatte, giornalista dell’Agenzia quotidiani Gruppo Espresso, Daniela La Rocca, dell’Università di Urbino. L’incontro è stato moderato dal giornalista di VareseNews Nando Mastrillo.

“Cosa più brutta della confisca non c’è”. Con queste parole, pronunciate dal boss don Francesco Inzerillo nel 1997, Tecla Biancolatte ha voluto sintetizzare il pensiero di Cosa Nostra su questa misura sanzionatoria. “La cosa migliore è andarsene”, diceva il capo clan, facendo intuire che perdere “la roba” era la peggiore sciagura che potesse capitare a un mafioso. Oggi, grazie al progetto partecipativo “Confiscati bene”, i beni confiscati alla malavita sono stati censiti e resi pubblici. Molti, come l’osteria La tela di Rescaldina, vicino a Varese, sono stati ristrutturati e destinati a nuova vita. “Ma si potrebbe fare di più” spiega Biancolatte, riferendosi agli oltre 16 mila immobili e attività commerciali ancora inutilizzati. Da qui l’idea di mappare questo patrimonio e renderlo accessibile ai cittadini.

“I comuni, per legge, sono tenuti a pubblicare l’elenco dei beni confiscati presenti sul loro territorio, ma non sempre lo fanno” racconta Daniela La Rocca. “Per questo, con la mia università, abbiamo avviato un progetto di data journalism per censirli”. Questi dati hanno poi costituito la base dell’inchiesta “Riprendiamoli”. Numeri preziosi, che hanno permesso di ricostruire un patrimonio dal valore incalcolabile, che si deteriora ogni giorno che passa. Si tratta di una sconfitta che arriva 34 anni dopo la legge Pio La Torre, politico siciliano assassinato dalla mafia. Nel 1996 una seconda legge sulla confisca stabilì poi le regole in tema di riuso sociale dei beni confiscati. Eppure tutt’oggi queste norme faticano a essere applicate e a dare i frutti sperati. Perchè? E di chi sono le responsabilità? L’inchiesta dell’Istituto di Formazione per il Giornalismo dell’Università di Urbino e dei quotidiani locali del Gruppo Espresso vuole rispondere a queste domande. Non solo numeri, ma anche storie di beni confiscati che oggi hanno una seconda vita. Ben diversa da quella di prima.

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