Il Codice Deontologico degli Psicologi in Italia

Cecilia Berenato
La psicologia multisistemica
4 min readJun 6, 2013

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Il primo Ordine degli Psicologi fu istituito nel 1989, e solo nel 1998 fa capolino il primo, giovanissimo Codice Dentologico per gli Psicologi segnati nell’albo in Italia. Il Codice viene aggiornato ogni due anni, in modo che possa tener conto di nuove utenze e nuove richieste (e questo perchè il mandato sociale dello psicologo lo fa chi ne usa il servizio), e approvato dagli psicologi e psicoterapeuti riuniti, tramite referendum. Composto da 42 articoli, definisce i rapporti tra lo psicologo e le istituzioni, lo psicologo e l’utenza, lo psicologo e la committenza,lo psicologo e gli psicologi, e quello che lo psicologo è chiamato a fare.

Tutti e 42 qui sono troppi,così ne ho scelti pochi tra i più importanti o i più belli, per condividerli.

Nell’Articolo 3 troviamo che “lo psicologo considera suo dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per promuovere il benessere psicologico dell’individuo, del gruppo e della comunità. In ogni ambito professionale opera per migliorare la capacità delle persone di comprendere se stesse e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole, congrua ed efficace.” Lo psicologo quindi lavora per permettere al suo utente di restituirsi una autonoma capacità decisionale offuscata da uno stato più o meno patologico (vale per disadattivo)di personalità. Continua sempre l’articolo 3, affermando che lo psicologo è pienamente consapevole della grande influenza che esercita sull’utente, e pertanto in grado di conoscere la prevedibilità del comportamento di quest’ultimo (il rimando ad un Comma del codice disciplinare nell’articolo 2 non lascia speranze circa la possibilità di radiamento).

Dell’Articolo 4 mi piace questo: “ Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnìa, nazionalità, estrazione sociale, stato socio- economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità.” Nella presa in carico del caso proposto dall’utente, lo psicologo deve assumere il sistema di valori di quest’ultimo, circa qualsiasi tematica proposta, purchè la richiesta sia legale.

L’Articolo 9 garantisce il Consenso Informato per l’utenza. Vale a dire che è in diritto dell’utente che partecipa ad una ricerca sperimentale, di interrompere la collaborazione in qualsiasi momento, e di accettare la partecipazione solo dopo aver firmato un Consenso su documento ufficiale. E’ quindi dovere dello psicologo preparare un foglio accuratissimo nel definire tempi, mezzi e scopi dell’esperimento. La prima ancora vaga idea di Consenso Informato risale al 1947, quando durante il processo di Norimberga il problema etico sulla sterilizzazione dei detenuti nelle carceri statunitensi, portò alla formulazione del Codice di Norimberga per i diritti dei carcerati.

L’Articolo 11 obbliga lo psicologo al segreto professionale. Tenuto a resocontare per la buona riuscita del suo lavoro, deve tenere ben in custodia blocchi,appunti,ricevute e supporti informatici,al fine di non rivelare a terzi nè i contenuti nè i tempi dell’intervento terapeutico in atto.

L’Articolo 28 è l’unico in cui compare la parola “grave”. Sta scritto così, “è grave per lo psicologo effettuare interventi terapeutici rivolti a persone con le quali ha intrattenuto o intrattiene relazioni significative”. Il dubbio sul quanto possa estendersi la cerchia delle persone che ciascuno di noi considera significative, è legittimissimo. Tralasciando colleghi, coniugi, figli e genitori, attualmente la cerchia delle “relazioni significative” per questo caso è estesa anche ad amici, amici di amici, amici di famiglia,il portiere, il parrucchiere e la cassiera del supermercato.

“Nell’esercizio della sua professione, allo psicologo è vietata qualsiasi forma di compenso che non costituisca il corrispettivo di prestazioni professionali (monetarie)”. L’Articolo 30 è un pò buffo: lo psicologo non può accettare compensi che non siano monetari (contanti o assegno) e nella quantità stabilità all’inizio del percorso terapeutico, uguale per ogni seduta, mai maggiorata, semmai scontata.

Nel 2002 l’Ordine Nazionale degli Psicologi ha stabilito un piano tariffario in euro, che per ciascuna categoria professionale (psicoterapeuta, psicologo forense, clinico , counsellor, ecc…) per un totale di 15 categorie, stabilisce un min e un max compenso che lo psicologo può chiedere a seduta. Il discorso sul compenso monetario per lo psicologo è molto particolare. Esistono specifici corollari agli articoli del Codice che spiegano allo psicologo perchè è giusto chiedere un compenso monetario, come si fa, e come gestire eventuali richieste da parte dell’utente. Ad esempio, il breve articolo 3 permette allo psicologo di attribuire a sua discrezione un valore monetario alla sua prestazione, in base “al proprio valore”, e di scontare il compenso richiesto solo in casi particolari, considerando ad esempio l’urgenza del caso e la condizione economica del paziente.

Al contrario del medico lo psicologo non può accettare “doni”. Non è raro per un chirurgo ricevere un cesto natalizio alla Vigilia, e per l’infermiera trovarsi recapitato un vasetto di fiori con bigliettino di Auguri (mi riferisco ai regali dai pazienti ovviamente, non dalle case farmaceutiche…). In termini psicoanalitici si può dire che il regalo indica che il medico persiste come “oggetto interno” nel paziente, il grazie pieno di gratitudine per avergli salvato la vita. In termini neurobiologici, la corteccia prefrontale sostiene il meccanismo per cui fare/ricevere un dono crea un legame di scambio, mutuale,che persiste nel futuro. In entrambi i casi il regalo rappresenta l’oggetto significativo che sta per “grazie, staremo sempre insieme”.

Lo psicologo che però vende il suo servizio come opera di salvezza, è qualcosa di più simile ad un santone, riceve regali, e si crea un seguito di fedeli. Considerando senza approfondire le dinamiche transferali, e la particolarità della relazione d’aiuto psicoterapeutica,può essere pericoloso per il professionista accettare un “grazie, tu mi hai salvato” dal paziente munito di marmellata fatta in casa e ficus benjamin “per il suo studio, dottore!”

E’ la parte più significativa del lavoro dello psicologo quella di rendere il paziente (che per questo motivo si preferisce chiamare utente) consapevole che il miglioramento ottenuto attraverso la relazione clinica negli incontri (parola più carina per “sedute”) non dipende da quel mago di psicologo, ma dalla lucidità riacquisita attraverso il suo delicato e personalissimo viaggio interiore.

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