La castagnata

Alfonso Fuggetta
La ringhiera
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4 min readApr 30, 2018

Ai tempi della casa sulla ringhiera, uno degli eventi più importanti della vita dell’oratorio era la castagnata. Era una gita di un giorno che si svolgeva di solito in una delle prime domeniche di autunno, tipicamente ad ottobre. Si partiva la mattina presto e si raggiungeva un qualche luogo sulle prealpi che non distasse più di un’ora o due da Milano. Era un evento unico per noi ragazzi per tanti motivi, non ultimo il fatto che la gita veniva fatta insieme dai due oratori, quello maschile e quello femminile. Era quindi un’occasione per stare insieme ragazzi e ragazze: non capitava spesso.

Ai quei tempi, la scuola era fatta di classi maschili e femminili. Ricordo in particolare i tre anni di scuola media. Non c’erano abbastanza aule e quindi facevamo i doppi turni, la mia sezione era la B ed era maschile, mentre la A era femminile. Con i doppi turni, ci alternavamo mattina e pomeriggio nella stessa aula con le nostre coetanee della sezione A. Quindi ciascuno di noi sapeva di sedere al posto di una ragazza e per noi che non avevamo mai occasione di incontrarle era una piccola emozione.

Anche all’oratorio eravamo separati: i maschi in via Settala e le ragazze erano ospitate presso un istituto religioso dall’altro lato dello stesso isolato, in via Settembrini. Il nostro cortile era separato dal loro da un muro e un’alta rete metallica. La domenica quando andavamo insieme in chiesa per la preghiera (maschi sul lato destro della chiesa e ragazze su quello sinistro) ci si incontrava all’ingresso posteriore della chiesa. Oppure ci si vedeva al cinema dell’oratorio, con i maschi sul lato destro della sala e la ragazze regolarmente a sinistra.

La castagnata rompeva questo schema. Si andava e si stava tutti insieme per un giorno. Sembrerà ridicolo oggi per tanti giovani lettori, ma allora era così.

Tuttavia, oltre all’emozione di stare con le ragazze, la castagnata era anche molto altro.

In primo luogo, era l’occasione per uscire dalla città e vedere posti molto belli come le valli Bergamasche o la Valsassina. A quei tempi non viaggiavo molto: durante la settimana andavo a scuola, nel weekend all’oratorio, 20 giorni via ad agosto dai nonni e al mare per le vacanze estive, magari a dicembre qualche giorno dai cugini di Torino tra Natale e Capodanno. In secondo luogo, per noi che aiutavamo in vari modi “il Don” a gestire le attività dell’oratorio era un momento di febbrile lavoro organizzativo che galvanizzava tutto il gruppo giovanile. E poi, ovviamente, era anche un’occasione di vero divertimento e spasso. Cose semplici, ciò che ci si poteva permettere in quegli anni.

La preparazione

Organizzare la castagnata non era una impresa da poco. Bisognava scegliere un posto che non fosse troppo lontano, assicurandosi che si potesse effettivamente andare nel bosco per raccogliere le castagne. Poi bisognava raccogliere le iscrizioni e gestire la prenotazione dei pullman: negli anni migliori ricordo che siamo arrivati ad averne 6 o 7, una piccola carovana di oltre 300 persone. Quindi bisognava organizzare i pullman e questo era un altro aspetto delicatissimo: chi andava insieme con chi? Poter stare sullo stesso pullman con l’amico o con quella ragazza con cui si voleva parlare da tempo era un elemento importantissimo. Sul luogo della gita dovevamo identificare dove tenere la messa, dove mangiare, dove poterci sistemare in caso di pioggia, dove poter andare se qualcuno si fosse sentito male, dove organizzare i giochi e in particolare il mitico “castellone” o, come si direbbe oggi, “capture the flag”. E poi come organizzare la cottura delle castagne in modo che tutti potessero goderne.

Era una iniziativà non così banale da organizzare e gestire: si trattava di un bel esercizio di project planning e team organization, diremmo oggi.

Il sabato sera fervevano i preparativi, la redazione delle liste per ogni pullman, la scelta dei capi pullman responsabili che tutti fossero a bordo ogni qual volta ci si fosse mossi, la preparazione del materiale da portare via e in particolare dei medicinali nel caso malaugurato che qualcuno si fosse fatto male. Peraltro, non oso pensare cosa avremmo dovuto fare allora se si fossero applicate tutte le regole e i vincoli in vigore oggi.

L’abbigliamento era importantissimo. I jeans ovviamente erano il punto di partenza. Ma poi c’erano alcuni capi che definivano il vero “uomo da castagnata”:

  • Gli anfibi. Erano scarpe alte come quelle che si usavano (e usano?) nell’esercito. Se ne potevano comprare anche di usati in negozi di abbigliamento in periferia. Mi pare di ricordarne uno sui Navigli.
  • Il cappello stile Indiana Jones anche prima che esistesse Indiana Jones!
  • Una giacca stile militare o un vero e proprio eskimo come andava di moda allora.

Così ci si preparava per quella giornata epica.

La gita

Si cominciava la giornata al mattino presto, molto prima delle 7. Ci si trovava fuori dall’oratorio per aspettare i pullman, caricare il materiale, accogliere le persone smistarle. E poi la partenza.

Durante il viaggio le chiacchiere con gli amici, i canti, le risate, la vita di ragazzi pieni di gioia e spensieratezza.

Arrivati sul luogo, la prima cosa da fare era organizzare e celebrare la messa. Qualche volta c’era una parrocchia dove venivamo ospitati; in qualche altro caso (in realtà me ne ricordo pochissimi) la messa fu celebrata su un prato.

E poi via a raccogliere castagne fino all’ora di pranzo.

Il pranzo era ovviamente a base di panini, qualche salsiccia, un fiasco di vino (non per noi ragazzi). In realtà, alla castagnata partecipavano molte famiglie e quindi i genitori si prendevano carico di rifocillare i figli.

Dopo pranzo la grande partita di castellone, su per i boschi, dove alcuni si perdevano e gli altri non sapevano mai se la gara fosse in realtà già finita con qualcuno che in un modo o nell’altro fosse riuscito a conquistare quella benedetta bandiera. Alla fine, stanchi, sudati, sporchi di terra, si tornava al “campo base” dove i genitori avevano preparato le caldarroste.

E poi il ritorno a casa. Sul pullman qualcuno dormiva, qualcun altro cercava di stare vicino alla ragazza che da tempo aveva nel mirino, altri chiacchieravano con i genitori e il Don.

Alla sera si arrivava a casa stravolti, ma incredibilmente felici. Piccole cose di persone semplici, ma che davano una gioia e un senso di comunità che rimpiango ogni giorno.

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Alfonso Fuggetta
La ringhiera

Insegno Informatica al Politecnico di Milano. Condivido su queste pagine idee e opinioni personali.