La pagella

Alfonso Fuggetta
La ringhiera
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5 min readJan 28, 2018

Da bambino, ai tempi della casa sulla ringhiera, ho frequentato la scuola elementare di Via Casati, intitolata da sempre al Cardinal Borromeo. È un grande palazzo d’epoca che ricordo aveva lunghi corridoi con alte finestre come si usava allora. In realtà, non ci ho più rimesso piede e quindi il ricordo è un po’ annebbiato. Ma ci sono alcuni fatti e persone che invece ricordo benissimo e mi scorrono davanti agli occhi come fossi ancora là, in quel tempo e in quel luogo.

Ricordo bene i miei maestri (ne ebbi tre) e soprattutto ricordo la direttrice, una donna piccola, minuta, ma dal carattere ferreo, rigidissimo. Incuteva timore al solo passaggio. Pretendeva massima disciplina, decoro, ordine ed era nota per il suo estremo rigore e la sua inflessibile intransigenza. E proprio con lei come protagonista mi capitò una avventura che non dimenticherò mai.

A quei tempi, alla fine di ogni trimestre, gli studenti ricevevano la pagella con le valutazioni di rito, i voti. Era un momento solenne e molto importante. Per mio padre si trattava di un passaggio cruciale. Era mio dovere studiare e comportarmi bene, e l’arrivo della pagella doveva certificare che avevo effettivamente seguito con scrupolo e precisione quell’indirizzo così diretto e tassativo.

Credo fossi in quarta elementare, prima delle vacanze natalizie, e alla fine del primo trimestre ricevetti la mia pagella. Dovevo portarla a casa, farla firmare a mio padre e riportarla a scuola il giorno dopo. Avevo preso dei buoni voti e quindi la portai a casa contento e orgoglioso. La mostrai a mio padre e dopo averla firmata lui la mise tra due pagine di giornale per non farla sporcare. Poi l’appoggiò su un mobile e si raccomandò che nessuno la toccasse fino al mattino successivo.

Dopo cena mi avvicinai alla stufa a carbone e forse in quel momento accadde il fattaccio. Ero solito prendere qualunque pezzo di carta ci fosse in casa e buttarlo nella stufa. Mi piaceva vedere il rosso intenso del carbone coprirsi di qualche fiamma improvvisa che in pochi secondi distruggeva la carta. Non posso esserne certo, ma a posteriori ho ricostruito quanto accadde: devo aver preso quello che mi pareva un foglio di giornale e lo buttai nella stufa. In realtà, al momento non mi resi conto di nulla e non ebbi la percezione di aver fatto alcunché di sbagliato. Purtroppo, invece, la mattina dopo scoppiò la tragedia.

Quando preparai la cartella per andare a scuola non trovai più la pagella. La cercai in ogni angolo della casa ma non c’era verso di recuperarla. E così successe quel che allora consideravamo inconcepibile. Mia madre dovette scendere in cortile, andare in officina e chiedere al caporeparto la cortesia che avvisasse mio padre del fatto gravissimo che era accaduto e che quindi lo lasciasse tornare a casa.

Quando mio padre arrivò a casa e venne a conoscenza della situazione iniziò a urlare e fin a disperarsi perché si trattava di un fatto gravissimo. Per lui, quel che era accaduto era quasi un disonore e una prova vorrei dire di inciviltà: come avevamo potuto perdere la pagella!

La situazione divenne incandescente. Mia madre piangeva in un angolo. Poi lei è mio padre mi accompagnarono a scuola e con grande mortificazione chiesero di poter parlare con l’insegnante per cercare di spiegare l’accaduto. Il fatto arrivò all’attenzione della direttrice che senza nemmeno incontrarci e con un tono durissimo disse che a questo punto sarei rimasto senza pagella. Non credo che da un punto di vista pratico la cosa avesse un qualche effetto concreto, ma dal punto di vista morale era come se mi avessero marchiato a fuoco: «guarda quello che è senza pagella perché l’ha persa».

Mio padre si sentiva umiliato per l’accaduto: lui che considerava l’istruzione dei figli come la cosa più importante della vita familiare, ora doveva giustificarsi per un atto che agli occhi delle persone coinvolte dimostrava una totale disattenzione e incuria nella gestione di quello che era un passaggio cruciale dell’anno scolastico. Per di più, ciò accadeva proprio davanti agli occhi della direttrice che per mio padre era il simbolo massimo del rigore, del dovere, dell’istituzione.

Io ero stravolto. Non mi ero ancora reso conto che probabilmente ero stato io la sera prima a compiere quel gesto scellerato. Lo ricostruì molto tempo dopo, ripensando a quello che poteva essere accaduto. In quei momenti ero sinceramente tramortito.

Alla fine, mia madre chiese all’insegnante se poteva fare qualcosa e questi, comprendendo la situazione, andò a parlarne con la direttrice che dopo lunghe discussioni accettò che venisse prodotta una nuova copia della pagella. Essa, però, avrebbe dovuto portare in bella vista sulla prima pagina la scritta «duplicato». Quel che era successo era inaccettabile e quindi doveva restarne traccia.

Così al termine di una giornata convulsa la pagella venne ricompilata e firmata. Mio padre non mi rivolse la parola per settimane e ogni volta che rivide la direttrice quel che accadde quel giorno ritornò immancabilmente alla luce.

Questo racconto potrà ai più sembrare insignificante o magari figlio di un’epoca fortunatamente scomparsa, dominata da autoritarismo e formalismo. A me invece dice molto, moltissimo. Se penso a come oggi la scuola viene vissuta da genitori e alunni, quale sia la caduta di rispetto verso l’istituzione, gli insegnanti, il processo formativo, non posso non ricordare con nostalgia quel profondo senso del dovere e della centralità dell’esperienza scolastica che animò la mia vita di ragazzo. Per me, per i miei genitori, la scuola era la massima espressione della società civile, il luogo dove si studiava, si diveniva cittadini, si imparava a vivere. Insegnanti e dirigenti scolastici vivevano il loro lavoro come una missione. La loro parola era autorevole e costituiva un giudizio inappellabile sulla qualità di noi allievi. La maestra era molto più di una semplice impiegata della scuola: era una autorità che giocava un ruolo centrale nel tessuto sociale di allora.

Esagerazioni diremmo oggi.

Forse è vero. Ma nel ripensare a quei giorni, al duplicato della mia pagella, al senso del dovere e dell’istituzione che guidava i nostri comportamenti, alla mia vita tra i banchi di scuola, sento parecchia nostalgia. Non tanto per il rigore fine a se stesso o per quel senso di sudditanza verso l’autorità che certamente in un qualche modo traspariva. Ma per il sentimento oggi perduto di rispetto verso la cultura, lo studio, l’autorevolezza della figura educativa che animava le nostre vite.

Per questo non scorderò mai quella sera quando stavo vicino alla stufa dove certamente accadde il fattaccio. Non si tratta di ricordare semplicemente il pezzo di carta che bruciava. Quella pagella era il simbolo di un mondo fondato su valori che oggi vedo sempre più labili, sfilacciati, deturpati. Ricordare quel che accadde nella casa di ringhiera quella sera di tanti anni fa in realtà non è solo un tuffo nostalgico nella mia vita di ragazzo, ma l’occasione per rimettere al centro dei miei pensieri l’importanza dello studio, del processo di apprendimento, del rispetto per le persone. Più in generale, è un pretesto e un modo per ricordare e celebrare il ruolo e la funzione dell’istituzione più importante della nostra società: la scuola.

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Alfonso Fuggetta
La ringhiera

Insegno Informatica al Politecnico di Milano e lavoro al Cefriel. Condivido su queste pagine idee e opinioni personali.