Foto presa da https://www.redattoresociale.it/article/la_recensione/chernobyl_tra_gli_immigrati_che_lavorano_nel_giardino_atomico_

Le foglie di insalata

Alfonso Fuggetta
La ringhiera
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4 min readApr 9, 2023

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Nell’aprile del 1986 accade quello che forse è stato ed è il più grave e drammatico incidente ambientale di cui abbiamo memoria: l’esplosione della centrale di Chernobyl.

Quando i telegiornali comunicarono la notizia non sapevamo cosa pensare. Anche oggi quell’incidente è un unicum nella storia dell’umanità. Mai era accaduto che un disastro ambientale avesse così vaste e drammatiche conseguenze. Eravamo smarriti, spaventati, angosciati. L’olocausto nucleare tante volte paventato negli anni precedenti si era materializzato non come conflitto, ma come catastrofe ambientale causata dalla follia dell’uomo. Si aveva paura di uscire, respirare. Si attendeva con ansia il telegiornale della sera per sapere “dove era arrivata la nube”.

Negli anni precedenti c’era stata la crisi di Cuba e vivevamo ormai permanentemente sotto la minaccia di un conflitto nucleare. Se è vero che anche oggi esistono immensi arsenali di armi nucleari, i rischi che siano usati sono molto minori. In quel periodo invece il pericolo era vivo e permanente. Emblematicamente, la produzione cinematografica ci ricordava non un futuro mondo distopico dei film di fantascienza dei nostri ultimi anni, ma il terrore della catastrofe che sarebbe potuta accadere in un qualunque momento della nostra vita. Due film in particolare di quegli anni raccontano in modo opposto una stessa storia, una stessa trama, lo stesso terrore: A prova di errore e il più famoso Dottor Stranamore di Stanley Kubrick. Il copione era praticamente lo stesso e ispirato al romanzo Red Alert di Peter George: aerei americani bombardano per errore o per follia Mosca e l’URSS, provocando una reazione che porta ad un finale catastrofico. I due film, in realtà hanno un tono totalmente diverso. Mentre A prova di errore ha un taglio drammatico, come ben sappiamo il film di Kubrick è una satira surreale e travolgente del militarismo di quegli anni. Si dice che Kubrick abbia trasformato il film in commedia proprio perché ciò che avrebbe dovuto descrivere appariva come insopportabile, impensabile, inimmaginabile.

«And it was at this point I decided to treat the story as a nightmare comedy. Following this approach, I found it never interfered with presenting well-reasoned arguments. In culling the incongruous, it seemed to me to be less stylized and more realistic than any so-called serious, realistic treatment, which in fact is more stylized than life itself by its careful exclusion of the banal, the absurd, and the incongrous. In the context of impending world destruction, hypocrisy, misunderstanding, lechery, paranoia, ambition, euphemism, patrioism, heroism, and even reasonableness can evoke a grisly laugh.»

In ogni caso, entrambi i film rappresentano i sentimenti che vivevamo ogni giorno: la “paura della bomba” era reale, presente, immanente.

Chernobyl ci colpì in modo inatteso, quando peraltro si scorgevano segnali di miglioramento della situazione. L’anno prima Michail Gorbačëv era divenuto presidente dell’URSS e aveva avviato una stagione di riforme e apertura (la Perestrojka). Sapevamo delle centrali, ma c’era una inconscia fiducia che tutto fosse sotto controllo e che non potessero accadere folli errori come quelli che portano allo scoppio di quel reattore nella pianura Ucraina.

E invece accadde. Dall’oggi al domani ci fu spiegato il rischio della diffusione della nube radioattiva in arrivo dall’Est, quanto tempo saremmo rimasti esposti alle radiazioni, i danni alla salute e all’ambiente, la catastrofe ancora più immane che sarebbe potuta accadere se gli eroici pompieri e militari che erano intervenuti non fossero riusciti a mettere sotto controllo l’impianto (e gli altri reattori della centrale).

Fu uno shock che portò al referendum che cancellò il nucleare in Italia. Al di là del giudizio che si può dare di quella scelta, fu il simbolo della gravità di un fatto che ci colpì in modo drammatico e profondo.

Mi sposai dieci giorni dopo Chernobyl. Andammo in viaggio di nozze in Umbria e Toscana. Di quei giorni, al di là della ovvia gioia per la nostra unione, ricordo che fummo accompagnati costantemente dalle notizie della tragedia di Chernobyl, nelle cronache dei giornali e di quel po’ di TV che guardammo.

Ricordo in particolare due piccoli dettagli, uno simpatico, l’altro quasi irrilevante, che però, come spesso accade, ti rimane nella mente a distanza di anni.

Girando per San Giminiano fummo colpiti da un titolo di giornale. Al momento lessi solo la prima riga e mi spaventai, ma poi andai avanti e capii. E scoprii l’esistenza de Il Vernacoliere!

L’altro piccolissimo particolare è che dai menu del pranzo di nozze e dei ristoranti dove andammo sparirono l’insalata e le verdure “a foglia larga”: erano a rischio perché, più di altri cibi, potevano contenere polvere radioattiva e quindi le vietarono.

Due piccoli fatti, di per sé irrilevanti, ma che mi rimandano sempre alla paura di quei giorni.

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Alfonso Fuggetta
La ringhiera

Insegno Informatica al Politecnico di Milano e lavoro al Cefriel. Condivido su queste pagine idee e opinioni personali.