Un acquisto difficile

Alfonso Fuggetta
La ringhiera
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7 min readMar 25, 2017

Quando ero ragazzo, per le vacanze di Natale andavo spesso con i miei genitori e mio fratello a Torino dove abitava un ramo della mia famiglia: la sorella di mio papà, mio zio e i miei tre cugini. Era un piccolo viaggio se confrontato con quelli che spesso facciamo oggi. Ma per me, abituato a stare a Milano, costituiva comunque un evento. Era l’occasione non solo per rivedere i miei parenti, ma anche per uscire dalla consuetudine della vita quotidiana e visitare un’altra città, un posto diverso.

In una di queste occasioni, poco prima di andare a Porta Nuova per prendere il treno di ritorno, mia zia fece un regalo a me e mio fratello. Non ricordo la cifra esatta, ma diede a ciascuno di noi una busta con circa 3 o 4 mila lire. Era un cifra significativa, un gran regalo. Oggi sarebbero più o meno due euro, ma per me allora erano un piccolo tesoretto. Ero emozionantissimo perché sapevo bene come li avrei spesi: avrei comperato un LP.

La scoperta di un mondo nuovo

Il Natale dell’anno precedente avevo ricevuto un regalo che tanto desideravo: un giradischi con due casse stereo. Mi pare di ricordare che i miei genitori lo pagarono qualche decina di migliaia di lire. Non era certo un impianto stereo di grande qualità, ma era per me un sogno: passavo dal mio “mangia cassette” con il suo suono confuso e limitato, a ciò che, pur nella sua semplicità, era per me una sala da concerto.

Avevo in quegli anni iniziato a conoscere e apprezzare la musica progressive suonata da Yes, Pink Floyd, Genesis, King Crimson, Gentle Giant. Era accaduto tutto in prima liceo. Fino ad allora la musica che ascoltavo era quella della televisione o della radio e non mi era mai capitato di andare molto al di là di Canzonissima o Hit Parade.

La copertina di Close to the Edge.

Invece al liceo un giorno un mio compagno mi mostrò un album con una copertina tutta verde, un logo stranissimo e una immagine interna da sogno: erano disegni di Roger Dean, artista geniale, il cui lavoro, secondo molti, ispirò l’universo di Avatar.

L’album era Close to the Edge degli Yes. Ascoltare quella musica fu per me come entrare in un altro universo. Mi innamorai perdutamente del genere. Scoprii l’esistenza di gruppi fino ad allora a me assolutamente sconosciuti come Traffic, Emerson Lake & Palmer, Van Der Graaf Generator, Who, Osibisa.

L’interno della copertina di Close to the Edge.

Non avevo soldi per comprare i dischi, né tantomeno uno stereo come quelli che avevano alcuni miei compagni. I miei genitori mi comprarono un mangia cassette e con quel piccolo scatolotto magico mi arrangiavo a copiare su nastro tutto quel che riuscivo a recuperare. Il suono era quello che era, per cui l’arrivo del giradischi fu veramente una svolta per me epocale.

In realtà non è che potessi permettermi molti dischi. Credo che il primo anno ne comperai solo due. Il primo in assoluto fu Made in Japan dei Deep Purple e il secondo Selling England by the Pound dei Genesis, ancora oggi per me uno dei dischi più belli di sempre, insieme a Thick as a brick dei Jethro Tull, Close to the Edge e Tales from Topographic Oceans degli Yes, Dark Side of the Moon dei Pink Floyd.

Nota: immaginate la mia emozione quando qualche settimana fa a Linate ho visto Ian Paice dei Deep Purple!

Scoprii peraltro un mito di quegli anni, la rivista che costituiva per tutti noi l’enciclopedia, la fonte di tutte le notizie sul mondo della musica: Ciao 2001. Erano gli anni 70, non esistevano i computer (non per noi persone normali, ovviamente) nè tantomeno Internet. Le informazioni e le novità sul mondo della musica ci arrivavano tramite quella piccola grandissima rivista dove ogni settimana scoprivo nuovi album e gruppi, leggendo recensioni di miti indimenticabili come Armando Gallo.

Ciao 2001 e i miei compagni mi fecero scoprire anche le meraviglia della musica progressiva italiana e in particolare i due mostri sacri di sempre: la Premiata Forneria Marconi e il Banco del Mutuo Soccorso (il Banco!). Ricordo in particolare la prima volta che ascoltai Darwin! che per me, ragazzo di parrocchia, risultò parecchio dissacrante: ero seduto nella casa sulla ringhiera vicino a mia mamma che stirava e che un po’ incupita mi chiese che cosa mai volesse dire quella canzone così strana, con il cantante (l’indimenticabile Francesco Di Giacomo) che suggeriva “prova, prova a pensare un po’ diverso”.

La musica progressive mi entrò nel profondo e non riuscii più a farne meno: se c’era una cosa che chiedevo ai miei genitori era “quando potete comperarmi un nuovo disco?” Per questo il regalo di mia zia era un evento importante: potevo comperare un altro LP.

Il mio tempio della musica: Ricordi di Corso Buenos Aires

Comperare un LP voleva dire per me una cosa sola: andare da Ricordi, davanti all’allora cinema Puccini, in corso Buenos Aires. Ci andavo spesso per vedere le copertine degli LP esposti in vetrina e scoprire le ultime novità. Entravo spesso in quel negozio per vedere tutto quello che aveva e creare nella mia mente la shopping list ideale: se e quando avessi avuto i soldi, cosa avrei comperato, quali le priorità, come si aggiornavano alla luce delle diverse uscite?

Andai da Ricordi con le idee confuse. Da tempo volevo comperare il “disco con la mucca”, Atom Heart Mother dei Pink Floyd. Me ne avevano parlato tutti bene, ma non ero mai riuscito a sentirlo. Era un rischio comprare un disco a scatola chiusa. Potevo sprecare l’occasione di comprare un LP nuovo, prendendo un titolo che non conoscevo e che magari mi avrebbe deluso? Quando avrei potuto comperarne un altro? Non potevo permettermi di sbagliare.

Arrivando da Ricordi vidi in vetrina un album con una copertina stranissima. Era la foto di un portone, verde. La custodia del disco era stata ritagliata per seguire il profilo del portone che nella parte superiore aveva un arco che racchiudeva due occhi. Per cui non era una copertina quadrata come tutte le altre. E per di più con un contenuto un po’ inquietante.

Era l’ultimo album del Banco, Io sono nato libero. Mi intrigava parecchio, avendo amato Darwin!. Ma questo non l’avevo sentito. E se poi non mi fosse piaciuto? Avrei rinunciato al “disco con la mucca” che sognavo da tempo per nulla.

Rigirai il disco tra le mani e mi venne in mente di fare una cosa poco bella. Dissi al commesso che volevo comperare il disco per un regalo e che non sapevo se la persona l’avesse già acquistato. Per cui chiesi se fosse stato possibile riportarlo indietro per cambiarlo nel caso si fosse rivelato un doppione. In realtà, volevo ascoltarlo e se non mi fosse piaciuto il piano era di sostituirlo con il “disco con la mucca”.

Il commesso non era uno sprovveduto. Mi guardò e mi disse “va bene, però te lo devo sigillare”. E con una pinzatrice applicò un paio di punti alla busta che conteneva il disco, così che non fosse possibile estrarlo. A quel punto ero con le spalle al muro. Tremante per la vergogna per la figura fatta e con la paura di avere sbagliato acquisto tornai a casa e iniziai a sentirlo.

Per apprezzare il contenuto di molti album era ed è necessario ripetere l’ascolto più volte. E così fu anche in quel caso; anzi, forse fu un esempio che più di tanti altri mise alla prova la mia capacità di attenzione. È musica complessa, difficile, profonda, tutt’altro che banale. Non é musica per ballare. È musica per la testa e per il cuore, non per la pancia. Pezzi come “Canto nomade per un prigioniero politico” o “La città sottile” non si ascoltano come una canzonetta alla radio.

Il primo ascolto mi lasciò disorientato. Era proprio un album tosto. Per qualche istante pensai “ho sbagliato, non fa per me”. Ma c’era qualcosa in quella musica che mi stimolava e attraeva. Rimisi il disco sul piatto più volte e un po’ alla volta ne colsi la complessità e profondità, la meravigliosa articolazione delle melodie, la struggente emozione provocata dalle liriche.

Me ne innamorai.

Quell’album e quell’episodio sono diventati per me un simbolo di quell’epoca, della vita parsimoniosa che facevamo, dell’attenzione alle piccole cose, della ricerca di valore e contenuto, della voglia di approfondire e di non fermarsi all’emozione superficiale. Dal punto di vista artistico, per me quell’album è uno dei dieci più belli di sempre. Dal punto di vista umano, è un ricordo indelebile che non potrò mai scordare, un momento particolare della mia giovinezza che ancora oggi mi emoziona e commuove.

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Alfonso Fuggetta
La ringhiera

Insegno Informatica al Politecnico di Milano. Condivido su queste pagine idee e opinioni personali.