Il Piano Scuola 4.0 e la Scuola nel bosco

La Missione del Dotto

Pietro Alotto
La Scuola Che Non C’é

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Occupandomi in questi giorni del Piano Scuola 4.0 come Animatore digitale per la mia scuola, vagolavo per la Rete e mi sono imbattuto in un articolo di Susanna Tamaro proprio sul Piano in questione, pubblicato sul Corriere della Sera, il 22 dicembre dell’anno appena passato [Una versione completa può essere trovata, oltre che nel sito del Corriere, anche a questo indirizzo].

Premetto che io considero Susanna Tamaro una brava persona, che ha a cuore la scuola e la formazione piena e integrale dei nostri giovani. Tuttavia, avere a cuore una cosa, vederne i problemi e individuarne le cause e i rimedi sono cose molto diverse.

#Analisi

Come racconta la Tamaro nell’incipit dell’articolo, si trovava a casa perché erano giornate di pioggia, e si era imbattuta nel Piano promosso dal Ministero, un documento che la scrittrice definisce “altamente inquietante”. Apriti cielo (visto il contesto ambientale esterno, è davvero il caso di dirlo)! Un altro Piano di riforma della Scuola italiana. Ma basta!

Cosa pensi delle velleità di ‘riforma della scuola italiana’, la scrittrice non lo nasconde certo: “l’abbondanza di termini inglesi, il pomposo fraseggio atto a mascherare la fumosità degli intenti, fanno intendere che si tratti davvero di un programma di riforma della scuola italiana” (grassetto mio).

Altrettanto scettica appare sulla realizzabilità del Piano:

“Per una persona nata a metà del secolo scorso, come me, questi passaggi risultano piuttosto oscuri e ancora più oscuro mi appare il modo di realizzarli. Per fortuna, gli estensori del programma sembrano avere idee ben chiare.”

Ora, posto che il Piano ‘altamente inquietante’ non potrà, realisticamente, essere portato a termine (non a caso si sofferma ad irriderne la terminologia e i passi di attuazione), questo non dovrebbe rassicurare la scrittrice sugli esiti infausti per il Piano e auspicabili per Lei, e abbandonarlo al suo destino?

Ma così non è. Susanna Tamaro ha a cuore chiaramente (e chi non li ha?) “la dignità degli insegnanti” e “il destino degli allievi” messi a rischio dalle incombenze formative: i primi “arrancheranno di corso in corso… per ottenere l’agognata promozione”; i secondi saranno “spinti fin dall’asilo a una deriva virtuale che li renderà sempre più estranei a loro stessi e alla realtà fisica del mondo che li circonda”.

A mettere a rischio insegnanti e discenti sembra essere (a voler essere pignoli e affidandoci a quanto scrive) la “selva di termini a me sconosciuti nella loro funzione reale” che, in realtà, indicano metodologie didattiche più o meno nuove, sperimentate negli anni in diverse realtà scolastiche in Italia e all’estero, ignote alla scrivente, ma note, da almeno un ventennio, a chi frequenta il mondo della scuola.

Ora, se il metro di valutazione di queste metodologie didattiche non è la conoscenza delle stesse (che la Tamaro sembra non avere, come si evince dal testo), su cosa fonda le ragioni della sua ‘angoscia’? Su nient’altro che una ‘rassicurazione’: “conosco abbastanza bene la situazione della scuola italiana”.

E come si è costruita questa buona conoscenza della scuola? Si potrebbe chiedere qualcuno a conoscenza del fatto che Susanna Tamaro non insegna da anni. La risposta è: “dato che scrivo libri per bambini da trent’anni e ho molti amici insegnanti”.

Da questa esperienza di scrittura e dalle frequentazioni personali la scrittrice si è fatta questa idea della scuola che c’è:

Come ben sappiamo, la situazione dell’edilizia scolastica in Italia è perlopiù catastrofica. Edifici vecchi o costruiti con materiali scadenti, privi di sistemi di areazione, arredi obsoleti, una classe di insegnanti di età piuttosto avanzata (sic). Docenti che, oltre ad aver ormai perduto il rispetto sociale che un tempo veniva loro tributato, sono anche sommersi da una vergognosa mole di burocrazia da parte dello Stato. Mole che, nel tempo, è diventata un blob incontrollabile grazie all’assurda riforma che ha trasformato la scuola in azienda; ogni istituto infatti deve proporre un Pof (Piano dell’offerta formativa) più attrattivo possibile perché il Pof del vicino è sempre più verde.

Insomma, un miscuglio di cose che non le piacciono (con quell’accostamento — involontario, naturalmente — degli “arredi obsoleti” agli “insegnanti di età piuttosto avanzata”) e che ha (a voler essere benevoli) mal compreso, e che avrebbe portato la Scuola italiana ad una situazione allucinante:

Una volta i bambini frequentavano le scuole dell’obbligo nel quartiere o nel paese dove vivevano, ora vengono fatti muovere come meteore alla ricerca dell’istituto più performante dei dintorni.

inefficiente, se non, addirittura, drammatica:

Ora, se questo sistema funzionasse, avremmo bambini e ragazzi che sanno parlare e scrivere bene, che conoscono la storia, le basi della matematica, della geografia e della biologia: avremmo allievi sicuri di sé, curiosi e aperti al mondo. Ma i dati ci dicono che la situazione, già grave prima del Covid, dopo la frattura della Dad è semplicemente precipitata. I disturbi psichiatrici sono in vertiginoso aumento… Ci sono classi in cui la maggior parte degli allievi sono «certificati» per qualche disturbo psichiatrico (sic). Autolesionismo, disordini alimentari, alcolismo, uso di droghe, depressioni, tentati suicidi e il fenomeno sempre più diffuso dei ragazzi hikikomori ci parlano di una realtà malata che questi programmi sembrano totalmente ignorare. [Grassetto mio]

Questa situazione (descritta con accenti, mi permetto di dire, troppo sopra le righe, fino al limite del ridicolo), se anche fosse realistica, come confliggerebbe con il Piano ministeriale? Lo renderebbe inapplicabile?, inutile?, pericoloso?

Queste opzioni, a partire dalla situazione presentata (e nel rispetto della coerenza testuale), sembrerebbero tutte aperte. E sceglierne una o più renderebbe più semplice capire perché bisogna ‘opporsi’. Perché di questo si tratta, come scrive la Tamaro: “forse è venuto il momento di cominciare a dire: io non ci sto.”

Ebbene, bisogna opporsi in nome della ‘socialità’, del contatto fisico, contro la “cecità cerebrale, nella quale con totale inconsapevolezza stiamo spingendo i cuccioli della nostra specie, a cosa serve se non a farne dei perfetti schiavi digitali del futuro?”.

In tutto l’articolo l’autrice addita i pericoli di “deriva virtuale”, di manualità ridotta a “muovere polpastrelli sullo schermo”, di ‘schiavi digitali’, di “tecnologia avanzata”, senza mai chiarire come tutto questo abbia una qualche connessione con l’obiettivo del Next Generation Classrooms di adattare le aule alla progettazione di nuovi «ecosistemi di apprendimento».

I Gruppi di Resistenza

E meno male che sono già comparse isole di resistenza. Queste ‘isolei sarebbero le ‘scuole parentali’, dove genitori sorretti dal buonsenso e “consapevoli dei danni che questo sistema -( quale sistema, esiste già e impera tra noi?) — provoca all’intelligenza e all’umanità dei loro figli”.

Qualcuno potrebbe, forse, fare notare che molte di queste scuole sono nate nel periodo pandemico per offrire alternative ai bambini di famiglie no vax. Ma non divaghiamo.

L’ideale della scrittrice è quello ‘bucolico’ delle ‘scuole nel bosco’:

Una società che avesse davvero a cuore il proprio futuro, stanzierebbe quegli stessi fondi per creare, ad esempio, spazi verdi intorno alle scuole, dato che i bambini hanno totalmente perso il contatto con il loro corpo, aiutandoli così a riconquistare la dimensione fisica, con il gioco, le arrampicate, le capriole, la corse. E oltre a ciò, dovremmo occuparci della loro crescita interiore, stimolando la loro capacità di osservare e scoprire tutto ciò che è bello, attraverso lo studio, ad esempio, della pratica della musica che, per la sua stessa natura, rende felici le persone. Un coro in ogni scuola sanerebbe molti disturbi comportamentali.

Per finire un meraviglioso argomento ad hominem tu quoque:

… gli ideatori di queste magnifiche sorti e progressive del mondo dell’eduverso della Silicon Valley … si premurano di mandare i loro figli rigorosamente a scuole steineriane o montessoriane, realtà cioè dove viene sviluppata in modo creativo l’intera personalità del bambino.

Su quali conoscenze di tipo personale degli ‘ideatori’ del Piano basi questa affermazione, non è dato sapere.

Insomma, la ‘buona scuola’ della Tamaro è quella delle cose semplici (non quella immaginata da qualche ‘pedagogo d’avanguardia’): le scuole di quartiere o di paese; i buoni ‘vecchi’ maestri (anzi no: tutti ‘giovani’, non come oggi!) tanto tenuti in considerazione nel passato (come ci ricorda un vecchio film con A. Sordi, Il Maestro di Vigevano); dove si tengono nella dovuta considerazione le ‘umilissime basi del sapere’ (bambini che “sanno parlare e scrivere bene, che conoscono la storia, le basi della matematica, della geografia e della biologia”); l’educazione fisica, la musica e un bel coro….

#Commento

Confesso che ho fatto fatica a ricostruire la linea del ragionamento della scrittrice. Io non ci sto a permettere che? In base a cosa? Per difendere che?

Troppe le presunzioni non provate su ciò che il Piano è; sugli effetti che esso avrà su docenti e studenti; sulla natura minacciosa di quelle ‘nuove’ (?) metodologie didattiche (che pure afferma di non conoscere); sulla minaccia per “i cuccioli della nostra specie” costituita dalle tecnologie digitali.

Ora, io credo che un intellettuale (che ha un suo seguito e che scrive su un grande giornale) abbia il dovere di non esternare opinioni senza prima essersi quanto meno informato su ciò di cui scrive. E lo dico, perché ritengo che non sia giusto creare (grazie all’alone di un’autorevolezza costruita in altri ambiti) idee e opinioni sbagliate in chi non è addentro alle questioni che tratta.

Irridere ciò che non si capisce (e non si fa nessuno sforzo di capire) lo si può concedere a chiunque, ma non a un intellettuale influente.

Per dire: parlare delle competenze digitali del docente come di un’invenzione bislacca del Piano Scuola 4.0, come sembra far intendere la scrittrice, significa dimostrare un’ignoranza che scredita tutto quello che viene detto dopo. I “sei livelli di competenza digitale. A1, Novizio; A2, Esploratore; B1, Sperimentatore; B2, Esperto; C1, Leader: C2, Pioniere” che cita sbeffeggiandole, fanno, infatti, riferimento all’ European Framework for the Digital Competence of Educators (DigCompEdu), sulla progressione delle competenze digitali dei docenti.

La scrittrice sembra non informata o, comunque, non avere compreso che il Piano Scuola 4.0 è solo una delle misure previste dal PNRR. Un Piano che si inserisce all’interno di una serie di interventi più ampi volti a riformare la Scuola [vedi a questo proposito l’intervento di P. Ferri su Agenda digitale, ripreso in parte in un articolo di risposta alla Tamaro sul Corriere]. Interventi che possono piacere o non piacere, su cui si possono formulare diverse critiche (per esempio, sulla formazione degli insegnanti legata alla progressione della carriera), ma che affrontano alcune criticità del sistema; criticità, mi sembra di capire, che non piacciono alla stessa Susanna Tamaro e, però, minano alla base molte delle critiche avanzate dalla scrittrice al Piano.

Scrivere senza informarsi, fondando le proprie esternazioni sui propri pregiudizi (che emergono prepotenti come massi erranti in un fiume in piena) su quello che la Scuola è oggi (una rappresentazione a tratti caricaturale e a tinte fosche) in merito a qualsiasi progetto di cambiamento nel mondo della scuola che non sia il ritorno alla ‘scuola del bel tempo che fu’ e alle ‘scuole parentali’ dei gruppi di Resistenza educativa, è fuorviante e, mi arrischio a dire, imprudente.

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Pietro Alotto
La Scuola Che Non C’é

Scrivo di scuola, di filosofia, argomentazione, critical thinking e argument mapping (su cui ho scritto l'unico libro pubblicato in Italia).