Il Webquest a scuola

Riflessioni critiche e caso d’uso

Pietro Alotto
La Scuola Che Non C’é
4 min readSep 16, 2017

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Il Webquest è una strategia, proposta per la prima volta da Bernie Dodge nel 1995*, che in Italia ha avuto un certo successo ed è stata “alla moda” per qualche anno. Articoli, siti per realizzarla in automatico ecc., poi, negli ultimi anni, più nulla o quasi. Una delle tante mode didattiche attorno a cui nella scuola italiana si accendono interesse ed entusiasmi e che, come fuochi di paglia, si spengono in un silenzio assordante.

Ancora oggi in Rete si trovano fans e prodotti didattici realizzati con la strategia della Webquest [Vedi Bibliolab], ma se nei corsi di formazione qualcuno vi fa un accenno, dando per scontato che i docenti sappiano di cosa si sta parlando, spesso ci si accorge che pochi ne sanno qualcosa, e ancora meno sono quelli che dicono di averla usata almeno una volta.

Occorre riconoscere a Emiliano Onori (Design Didattico) il grande merito di avere rispolverato e riportato all’attenzione dei docenti italiani questa beneamata (e, oramai, quasi negletta) strategia [Webquest]. Quindi onore a Onori per averla riportata all’attenzione degli insegnanti italiani!

Le origini

Il Webquest nasce agli albori della diffusione massiva di Internet. L’idea di fondo era quella, da un lato, di spingere i docenti ad introdurre le nuove tecnologie e l’uso della Rete nell’insegnamento, dall’altro spingere gli studenti ad utilizzare la Rete per fare ricerche guidate (le fonti internet da utilizzare sono fornite e validate dal docente), evitando la dispersività tipica di Internet, e rendendo così efficace il tempo impiegato dagli studenti nella lettura, analisi, schedatura delle informazioni reperite dagli studenti tra le Risorse (per lo più reperite on line) fornite dall’insegnante.

L’obiettivo formativo della Webquest era quello di far prendere confidenza con le nuove tecnologie, e con le ricerche in Rete; di sviluppare abilità di problem solving: la Webquest ha sempre alla sua base, infatti, una “questione” (di cononoscenza, o di riflessione a fini deliberativi …), da cui parte un’ indagine che, utilizzando le informazioni reperibili nelle Risorse consigliate dal docente ( ma non solo), porta ad un prodotto (un testo di sintesi, una presentazione, una mappa concettuale o prodotti più complessi come una mostra, un ebook ecc.); favorire lo sviluppo di tutte quelle abilità trasversali, necessarie per leggere e comprendere fonti di diversa natura e tipologia (documenti storici, testi argomentativi, dati statistici, opere d’arte ecc.).

Caso d’uso

Il mio primo Webquest di Storia risale a più di dieci anni fa. Il tema era quello della Peste nera, un tema a me caro (su cui in tempi più recenti sono tornato con la mia classe digitale) e su cui ritenevo si potesse far lavorare i ragazzi, guardandolo da diverse prospettive: quello storico evenemenziale, in senso stretto; quello della storia dell’arte, della storia della medicina ecc. I materiali creati allora li trovate a questo indirizzo: https://drive.google.com/open?id=0Bz7OxqhxOymQZEJwa0FqQkRUb3c

Schermata iniziale del Webquest

I materiali di un Webquest ancora più recente sulla Grande Guerra li potete trovare, invece, a questo indirizzo: https://1drv.ms/u/s!AncDTmClWl2ngUbi0qMDKHY0eNPR

Miseria e Grandezza del Webquest

B. Dodge voleva fornire ai docenti una struttura minima, un protocollo, per costruire piccoli progetti didattici. Una strategia che ritengo ancora molto utile per iniziare a progettare e abituare gli studenti a lavorare per progetti.

Ciò detto, il Webquest è una strategia ancora attuale o mostra i suoi anni ed è superata?

Il primo aspetto che, secondo me, va sottolineato, è che lo scopo fondamentale di una webquest è di carattere conoscitivo e metodologico: ciò che si vuole consolidare, in ultima analisi, è la capacità dello studente di fare un’indagine guidata, compulsando e analizzando fonti al fine di pervenire ad una serie di conoscenze, ad un’ipotesi di soluzione, a prendere una certa posizione su un dato argomento.

E’ vero che viene utilizzata la Rete, ma è vero anche che lo studente non è ricercatore attivo e critico, ma “subisce” o segue le indicazioni del docente quanto alle fonti digitali (e non) da utilizzare. Viene meno una delle Digital Skills più importanti: l’abilità di reperire, analizzare e valutare criticamente le fonti digitali e non!

Un altro elemento di debolezza è dato dalla fase detta del “Processo”. Una delle competenze che occorrerebbe potenziare negli studenti è la capacità di “progettare” le attività, di programmare le diverse fasi del lavoro, con scadenze e prodotti intermedi da realizzare. Tutto questo nel Webquest tradizionale viene fatto dal docente: è il docente che fornisce le tappe del processo di realizzazione e scandisce il lavoro degli studenti.

Infine il Prodotto. Il Webquest è sostanzialmente una strategia per condurre indagini in Rete, il prodotto finale ha un ruolo secondario. Quello che conta è mettere in campo abilità e competenze di ricerca, analisi e lettura delle fonti. In realtà, è proprio in fase di produzione di un artefatto (digitale e non) o di realizzazione di un compito autentico, che vanno messe in campo quelle abilità e competenze su cui oggi si punta più l’attenzione: le competenze sociali, digitali, ecc.

Una strategia da affiancare ad altre

E’ per questo che, come dicevo sopra, pur avendo utilizzato il modello di B. Dodge per far realizzare lavori di vario tipo ai miei studenti, negli ultimi anni, ho creduto opportuno affiancare alla Webquest, utile nella fase iniziale di progettazione, il metodo del Project Based Learning, nella versione che ne ha dato il gruppo che gravita attorno al prof. E. Zecchi: il metodo Lepida scuola.

Il risultato di questo nuovo approccio è stato un progetto interdisciplinare per la realizzazione di una mostra in realtà aumentata sulla Peste del ‘300 (eh si, ancora), che con la collega Barbara Corradini abbiamo presentato in un articolo sulla rivista Bricks.

*Da questo Link potete raggiungere un sito -ultimo aggiornamento 2003- che presenta la metodologia introdotta da Dodge. Purtroppo i link interni all’articolo originale di Dodge e altri non sono più attivi!

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Pietro Alotto
La Scuola Che Non C’é

Scrivo di scuola, di filosofia, argomentazione, critical thinking e argument mapping (su cui ho scritto l'unico libro pubblicato in Italia).