Educare ad una nuova “Saggezza”

Pietro Alotto
La Scuola Che Non C’é
20 min readSep 8, 2019

“A great many people think they are thinking when they are merely rearranging their prejudices”

(W. James)

Che si tratti di religione, di calcio, di filosofia o di politica, le persone, spesso, non ragionano, ma tifano.

Quante delle nostre convinzioni, delle nostre credenze, delle nostre prese di posizione sono frutto di un sincero e ponderato calcolo razionale e quanto frutto di accettazione fideistica?

La questione ha due aspetti: una riguarda la genesi delle nostre credenze e prese di posizione; l’altra lo stabilizzarsi delle une e delle altre.

Si sceglie con chi stare (un gruppo, un partito, un squadra di calcio), in chi credere o cosa credere, una fede, per le ragioni più diverse (accidentali, emotive, ragionevoli, giuste, sbagliate, campate in aria …); ma una volta fatta, questa scelta vincola poi su tutta una serie di scelte ulteriori che non facciamo più noi: le scelte che, chi abbiamo scelto, sceglie di credere o di fare.

L’unica finestra d’opportunità per la nostra razionalità è il periodo che precede la nostra “adesione” o la nostra scelta. Seguono, ancora per un po’, tentennamenti, fino a quando la scelta è fatta. A quel punto, investiamo emotivamente su quella scelta; è come se investissimo energia in quella cosa; energia che non va sprecata: la “nostra scelta” diventiamo “noi”.

E succede, allora, qualcosa di cui tutti noi abbiamo fatto esperienza: quando ciò su cui abbiamo investito viene apprezzato, ha successo, “vince”, proviamo piacere; quando, invece, viene disprezzato, “perde”, proviamo dolore, fastidio, dispetto.

Ed è del tutto irragionevole la cosa, se ci pensiamo: perché la vittoria elettorale di un tizio del mio partito in una città di cui non so nulla e di cui non mi interesserò più dopo le elezioni mi dovrebbe suscitare piacere? E lo stesso avviene per le vittorie o le sconfitte della nostra squadra del cuore: cosa dovrebbe fregarcene del destino di un gruppo di pallonari strapagati, di una squadra di una città lontana centinaia di km dalla mia, e attaccati alla maglia della squadra come un lavoratore precario al marchio dell’Azienda in cui lavora?

Lo stesso avviene quando la persona o il gruppo in cui abbiamo “investito” viene attaccato: siamo, allora, presi da un senso di fastidio, se non di vero e proprio dolore e odio per chi lo attacca: le vittorie e le sconfitte della nostra parte, diventano le “nostre” sconfitte.

Ed ecco che la scelta di posizione diventa accettazione fideistica: non c’è ragione o obiezione che tenga; non c’è più deliberazione ponderata, ma solo “difesa” e “attacco”. Qualsiasi “ragione” o “giustificazione” diano i Nostri, a noi va bene e le rilanciamo, le facciamo nostre, diventano “nostre”, anche se non ci avevamo mai pensato prima e, in fondo, non sappiamo neanche se sono ragionevoli o “vere” ; qualsiasi ragione o obiezione degli avversari è errata o apertamente in malafede!

È per questo che con il “tifoso”, come con il fanatico, è impossibile qualsiasi discussione.

I tifosi e i fanatici perdono, letteralmente, il lume della ragione. Si corre alla ricerca di “conferme” quali che siano (qualcuno che abbia una qualche “autorevolezza” — un giornalista, un qualche “professore” più o meno noto — che ci fornisca “ragioni” che ci confermino nella nostra posizione — anche se, come dicevo sopra, non ci avevamo mai pensato prima — ); non c’è fallacia logica a cui non si faccia ricorso per acquietare il residuo di razionalità critica non divorato dalla fede (e la cosa curiosa è che siamo molto sensibili alle fallacie altrui e non alle nostre, n.b.); chiunque si metta di mezzo fra i Nostri e “l’avere ragione”, guai a lui!, diventa automaticamente un “venduto”, un poveraccio, un traditore, un nemico delle giuste rivendicazioni e dei giusti diritti dei Nostri!

Gli stessi “fatti” vengono letteralmente “visti” in modi differenti. Lo sanno bene i tifosi di calcio quandono vedono falli o decisioni ingiuste degli arbitri, dove i tifosi avversari non vedono nulla.

Persone fino al giorno prima sconosciute o quasi, se difese dalla nostra parte, diventano immediatamente persone “simpatiche”, piene di tutti i pregi del mondo; persone che fino al giorno prima ci stavano antipatiche, e schifavamo, ora che sono dalla nostra stessa parte, o, adesso, che sono diventati alleati della nostra parte, le rivalutiamo, le difendiamo e acquistano perfino un alone di simpatia.

Insomma, una volta scelto con chi stare o a chi credere, il nostro senso critico deperisce e muore, ed è più forte di noi: le passioni prendono il comando.

La nostra capacità critica viene come congelata; tendiamo ad auto assolverci e a trovar giustificazioni improbabili per le nostre cattive scelte. E il problema è che, in questo modo, siamo pronti a rifare gli stessi errori. Se in passato ci eravamo fidati improvvidamente di qualcuno che ha tradito le nostre aspettative, questo non ci porta a diffidare del nostro giudizio, ma semplicemente ci rivolgiamo a qualcun altro su cui riporre fiducia!

È per questo che ritengo sempre più urgente uno sforzo non solo nelle scuole, ma anche in chi vuole usare responsabilmente i Social a una “nuova saggezza”.

Fallacie e Social

I Social, lo sappiamo, sono il terreno in cui si svolge, oramai, una buona parte del dibattito pubblico di questo paese. I nuovi politici lo sanno talmente bene che si occupano e pre-occupano più di lanciare parole d’ordine e argomenti “buoni” per i propri sostenitori, che di dare ragione delle proprie scelte e decisioni attraverso i media tradizionali. Si salta, così, la mediazione dei professionisti dell’informazione (che in una democrazia avanzata dovrebbero fare da “cani da guardia” della pubblica opinione, e che quotidianamente vengono, invece, denigrati e sviliti nella loro funzione da una campagna propagandistica volta a raffigurarli come “venduti e servi” dei poteri forti, politici o economici che siano — una strategia nota ai teorici delle fallacie col nome di “avvelenamento del pozzo”), e ci si rivolge direttamente ai propri fans, evitando il confronto e la fatica di dover rispondere dei propri atti con spiegazioni e argomentazioni complesse; potendosi limitare a semplificare, scansando le critiche, sempre presentate come interessate o pregiudiziali.

Nell’Introduzione al bel libro di Paola Cantù, dal titolo “E qui casca l’asino”l’autrice scrive, fra le altre cose:

Smontare gli argomenti non sostenuti da prove sufficienti è un esercizio di critica essenziale per ogni cittadino che voglia partecipare attivamente al dibattito pubblico, entrando in dialogo e in discussione con l’altro. (p.6)

E ancora:

un esercizio di caccia alle fallacie deve servire a “…. stimolare un atteggiamento critico nei confronti degli argomenti usati nel dibattito pubblico, una disposizione a porre domande, a chiedere supplementi di informazione e di prova.” (ibidem)

I Social offrono una miniera di esempi argomentativi su cui esercitare l’analisi logico-argomentativa e in particolare dove studiare le fallacie.L’intento non è quello di polemizzare con i sostenitori dell’una o dell’altra posizione, quanto di analizzare criticamente le strategie comunicative, la struttura degli argomenti e le eventuali fallacie del discorso pubblico italiano, utilizzando lo strumento di analisi offerto dall’argument mapping.

Voglio precisare che la critica sarà sempre rivolta agli “argomenti” non alle “persone” che quegli argomenti producono: tutti noi possiamo cadere in errori logici, fallacie, paralogismi involontari; il bisogno di dare argomenti alle nostre prese di posizione o alle nostre convinzioni, ci porta qualche volta ad essere troppo precipitosi, caritatevoli o non troppo rigorosi ed obiettivi nella valutazione della bontà dei nostri argomenti. L’atteggiamento più appropriato per questa bisogna, non è quello di chi altezzosamente si pone su un piano di superiorità compiaciuta nei confronti degli altri che (qualche volta) sbagliano; ma quello di chi, consapevole della nostra limitatezza come esseri umani che aspirano ad essere razionali, ma che non lo sono sempre, punta a capire e mettere in mostra gli errori in cui spesso cadiamo.

Condivido in questo, quanto scrive P. Cantù:

L’obiettivo non è dare dell’ignorante a giornalisti, politici, filosofi, scienziati, giudici, comici, opinionisti: gli errori di ragionamento infatti non indicano un deficit di conoscenza o di competenza, ma sono il sintomo della debolezza e dell’insufficienza delle ragioni portate a difesa di una tesi (ibidem, p.5)

Dopodiché, la recidiva nel fare cattivi ragionamenti qualche perplessità sulla ragionevolezza e sulle capacità raziocinative dell’artefice, in qualche modo, la farà venire.

L’analisi critica degli argomenti è utile per prendere familiarita e coscienza dei modi in cui ragioniamo, dei paralogismi e delle fallacie che riccorrono in molti discorsi. Un modo questo per essere più avvertiti e per prendere il “controllo” del nostro modo di pensare, di prendere posizione e di assumere deliberazioni intorno ai più diversi argomenti.

Il mio obiettivo è anche quello di testare la funzionalità dell’argument mapping sia per l’analisi critica di argomenti reali, tratti dal dibattito pubblico, sia come strumento di auto-controllo critico delle proprie argomentazioni. Come proverò a mostrare, quando si pensa ad un argomento pro o contro una certa tesi (o contro un altro argomento), creare una mappa visuale dell’argomento ed esaminarne le diverse componenti (esame dei termini/concetti utilizzati nelle premesse; esame del valore di verità o di accettabilità — la presenza o meno di dati a supporto, per esempio — delle premesse, la tenuta delle inferenze prodotte e la presa di coscienza delle assunzioni anche inconsce fatte per arrivare alle conclusioni) può aiutare a non prendere cantonate e a non dire castronerie.

Facciamo produrre i vaccini allo Stato

Voglio inaugurare questa rubrica con due tweet che mi sono venuti sotto l’occhio in questi giorni. Devo il “fortunato” incontro al prof. Alfonso Fuggetta, che seguo su Twitter, @AlfonsoFuggetta.

Il primo tweet è in realtà un retweet commentato dallo stesso prof. Fuggetta, che riprende un tweet (del 6 setttembre 2018) del giornalista Antonello Angelini, @AntonelloAng. Nel tweet di Angelini viene proposto il seguente argomento:

La vera prova sui vaccini sarebbe quella di farli produrre allo Stato senza guadagno dei privati. Allora capiremmo davvero se ci sono o no interessi privati sotto tutta questa storia.

A cui il prof. Fuggetta rispondeva con un contro-argomento che voleva mostrare la paradossalità dell’argomento di Angelini:

Lo Stato dovrebbe produrre anche penne Bic e carta igienica così capiamo se le usiamo perché veramente servono o per far ricchi il Conte Bich o la Scottex.

Sul momento la replica di Fuggetta mi era sembrata divertente e sensata; anche se c’era qualcosa che non mi convinceva. E, in effetti, avevo ragione di dubitare della sua efficacia. Vediamo perchè.

Il giornalista Angelini è piuttosto critico nei confronti della legge Lorenzin sull’obbligo vaccinale. La sua pagina twitter è piena di tweet che lo dimostrano. Ma qui la questione non è se abbia ragione o meno nella sua battaglia No vax, quanto piuttosto se l’argomento utilizzato è un buon argomento oppure no; e se non, perchè?

L’argomento è in apparenza piuttosto semplice: il modo per sapere se dietro l’obbligo vaccinale ci sono interessi delle grandi aziende farmaceutiche è quello di far produrre i vaccini allo Stato. Ora, se sottoponiamo l’argomento ad un’attenta analisi, la presunta semplicità scompare, risultando pieno di assunzioni non dichiarate.

Conoscendo le posizioni di Angelini, è facile comprendere come alla base dell’argomento ci stia un pregiudizio negativo sulle reali motivazioni che stanno dietro le posizioni della comunità scientifica e le decisioni legislative del passato governo e della maggioranza che lo ha approvato. L’uso di un linguaggio pregiudizievole riferito alla vicenda legislativa e ai suoi retroscena (“dietro tutta questa storia”) è un chiaro indizio di come l’Autore pensa che la vicenda si svilupperebbe, se questa cosa (la produzione statale di vaccini) si facesse veramente.

Il ragionamento, così come l’ho ricostruito io, parte da un argomento che si fonda su un’evidenza: la vendita di vaccini rappresenta un guadagno per le industrie farmaceutiche; tuttavia, una correlazione causale incontestabile (la vendita di vaccini causa un guadagno per le industrie farmaceutiche), in cui l’effetto è il guadagno delle industrie farmaceutiche e la causa la vendita dei vaccini, diviene con un’inversione causale (fallacia non causa pro causa) la causa della sua “causa” (la vendita di vaccini): in parole semplici, è il guadagno previsto che genera il “bisogno” e quindi la vendita.

Naturalmente, questo comporta che l’industria farmaceutica abbia il potere e la “forza” per influenzare la comunità scientifica internazionale e i politici italiani. Un’assunzione non provata e perciò discutibile.

Da qui la seconda parte del ragionamento: per escludere l’ipotesi degli interessi dietro “questa storia”, si dovrebbe far produrre i vaccini allo Stato.

Il contro-argomento di Fuggetta

A questo argomento il prof. Fuggetta, come abbiamo visto sopra, rispondeva con questo contro-argomento :

Lo Stato dovrebbe produrre anche penne Bic e carta igienica così capiamo se le usiamo perché veramente servono o per far ricchi il Conte Bich o la Scottex.

Il controargomento di Fuggetta potrebbe essere analizzato in questo modo:

Il contro-esempio di Fuggetta colpisce molto bene la fallacia di inversione causale del ragionamento di Angelini: il vantaggio che deriva dal vendere un prodotto per l’azienda che lo produce non può essere considerato la causa per cui quel prodotto viene venduto (non più che il fatto di avere bisogno di acqua per sopravvivere, possa essere generato dall’interesse della Nestlè a venderci bottiglie di acqua minerale!). Tuttavia, non lo affonda completamente, manca un passaggio fondamentale: il fatto che dietro la campagna pro vax, e la decisione di imporre per legge i vaccini, ci siano le pressioni di Big Pharma.

Un contro-argomento più efficace avrebbe potuto essere a mio avviso questo:

Questo contro-argomento è simile in tutto all’argomento di Angelini, ma risulta con tutta evidenza paradossale (nel senso di contrario all’opinione comune). L’argomento su cui decidere in questo caso è meno controverso (per quanto qualche complottista -magari influenzato, a sua insaputa, dalle multinazionali del fumo- potrebbe avanzare dubbi in proposito), e l’opinione pubblica ha generalmente accettato la tesi della comunità scientifica sui pericoli per la nostra salute del fumo, attivo e passivo; diversamente, sul tema dei pericoli della vaccinazione o non vaccinazione il dibattito (sempre più “politico” e sempre meno “scientifico”, visto che il dibattito interno alla comunità scientifica si è ormai deposto con la vittoria dei pro vax, anche se non mancano voci dissonanti), è ancora vivo e marcia assieme noi.

Angelini 2: la vendetta

Non vorrei dare l’impressione di avercela col giornalista Angelini, ma un altro suo tweet mi offre il modo di soffermarmi su un’altra fallacia.

Per me chi dice che “ le sentenze si rispettano” e si eseguono sbaglia di grosso. Per me le sentenze si leggono, capiscono, ci si ragiona sopra. Si eseguono anche ma quelle stupide non si rispettano. (6 settembre 2018)

Tralascio le ovvvie considerazioni in merito all’idea che dello Stato di diritto traspare dal tweet, per soffermarmi sull’argomento. La tesi è che le sentenze si eseguono, ma non devono necessariamente essere “rispettate”. L’argomento ha la forma di una obiezione alla tesi secondo cui “le sentenze si rispettano” e si eseguono.

L’argomento di Angelini può essere ricostruito in questo modo:

L’obiezione di Angelini nasce da un semplice fraintendimento, che si evince dall’uso bizzarro del virgolettato: si interpreta il termine “rispetto” nel senso di qualcosa di “onorevole” e da tenere nella giusta “considerazione”, laddove la frase incriminata sembrerebbe piuttosto dire che le sentenze vanno eseguite in ogni caso, anche quando non le si condividono (ambiguità che nasce dal doppio senso del termine “rispetto” — vedi Treccani). L’argomento risulta poco convincente anche per la definizione implicita di “stupido” come equivalente a “cosa che non merita rispetto”; laddove la stupidità è qualifica che attiene a stati mentali e non può essere attribuita a cose come le sentenze. Insomma, l’argomento pecca della fallacia di ambiguità o anfibolia, in quanto gioca sul fatto che la proposizione incriminata si presta a due diverse interpretazioni.

La Fallacia dell’uomo che andava contromano in autostrada

Qualche tempo fa l’amico Matteo Giangrande mi segnalava un tweet di Ilaria Bifarini, sedicente #Bocconianaredenta, (antieuropeista convinta, ma questo non è importante, se non per capire le ragioni che stanno dietro il prendere per buone fallacie evidenti).

Il Tweet è questo:

#Moscovici, #Oettinger, #Draghi: tutti contro l’Italia. Se i rappresentanti del potere europeo ci percepiscono come un pericolo per la preservazione dello status quo vuol dire che il governo si sta muovendo nella direzione giusta! È un sistema insostenibile, che va scardinato.

L’argomento pretende di poter affermare la bontà della politica (anti europeista?) del governo gialloverde, sulla base del fatto che da alcuni esponenti del “potere europeo” (linguaggio pregiudizievole) i comportamenti del governo (quali e di che tipo?) sono stati criticati.

L’argomento si regge su una serie di assunti non dichiarati e non provati: uno per tutti, l’assemblare sotto una medesima categoria, quella dei “pericoli per lo status quo”, le critiche di diverso tipo e su diverse questioni di Oettinger, Moscovici e Draghi alla politica del governo.

La struttura logica dell’argomento è simile a quella utilizzata da Di Maio e Toninelli per difendersi dalle critiche rivolte ai due sulle esternazioni nella vicenda della caduta del ponte Morandi a Genova: se i poteri forti (?) e i loro portavoce ci criticano tanto, allora vuol dire che stiamo andando nella direzione giusta!

Si tratta, a mio avviso, di un argomento fallace che appartiene al genere di fallacie della “non verità” (in cui una o più premesse non sono vere)[1]. Infatti, se ne analizziamo la struttura logica notiamo come l’argomento si regge su un principio (regola) difficilmente accettabile: se qualcuno che non sopportiamo (o che sappiamo che non ci sopporta) ci critica, allora vuol dire che abbiamo ragione.

Ha la forma di un argomento ad hominem:

E’ un ragionamento che facciamo spesso, quando tendiamo a diffidare di qualcuno di inaffidabile. Ed è un argomento di prudenza. Tuttavia, una cosa è essere prudenti nell’accettare quanto ci viene detto da persone inaffidabili o che non ci piacciono, altro è ritenere che, siccome queste hanno fatto affermazioni false in passato, allora è falso quello che stanno affermando ora. E, ancora di più, non è possibile prendere le loro critiche come un motivo per ritenere di “avere ragione”, adesso. Quanti di noi nella vita reale (a meno di non stare mentalmente bene) ritengono che l’essere criticati da persone che non stimiamo sia un indizio evidente che non ci stiamo sbagliando?

La struttura della fallacia io l’ho ricostruita in questo modo:

Io la chiamo la fallacia dell’uomo che andava contromano in autostrada. Il ragionamento è sotto tutti i rispetti errato e, se preso sul serio, porta a trarre conclusioni ridicole, come ben ha notato uno dei commentatori del tweet, (Lazarus):

In autostrada: tutti mi criticano, mi urlano contro che sto andando dalla parte sbagliata, andando contromano a 150 km orari. Ma sicuramente si sbagliano: sono io che sto andando dalla parte giusta.

Quando la logica falla…

Il pregiudizio negativo o positivo gioca sempre brutti scherzi; quello “ermeneutico” ancora di più. Leggere un testo altrui sotto una luce pregiudiziale ci fa prendere svarioni interpretativi, se non altro perchè ci porta fuori strada nell’intendere le intenzioni comunicative nascoste dell’emittente. In particolare, ci rende estremamente sensibili agli errori logici (presunti o reali) degli altri, mentre ci rende ciechi agli svarioni propri.

Ho letto un post di Angelo Cannatà sul Blog che tiene su Il Fatto quotidiano (che, in questo periodo, è una miniera d’oro per chi si interessa di ragionamenti fallaci).

Scrive Cannatà nel suo post:

Stupisce la certezza di Massimo Giannini: “Eccolo qua, l’ultimo colpo di teatro: il condono ‘a sua insaputa’” (Repubblica, 18 ottobre). Non ci sono dubbi, Di Maio è un bugiardo, mente, sapeva del condono che perdona i riciclatori del denaro sporco e ha inscenato questa “tragicomica Opera Buffa” della congiura.

Se fosse vero, se avessimo senza dubbio alcuno la certezza che così è, la carriera politica del leader pentastellato sarebbe fortemente compromessa. Il punto è che questa certezza ce l’hanno Giannini e Repubblica (e i giornaloni affini). Dovrebbero fornire qualche prova, per amore della verità, a noi sprovveduti e ingenui, a noi privi di fonti privilegiate, giacché certe affermazioni sono gravi: “Quello che proprio non ci si poteva aspettare è che i moderni Robespierre pentastellati, dopo aver nutrito le masse… a ‘pane, gogna e ghigliottina’, avrebbero accettato un condono del genere”. Accettato? E’ un’affermazione non una dimostrazione.

Io ho visto un altro film: Luigi Di Maio fortemente incazzato — si può dire? — denunciare in Tv l’inganno di un testo manipolato che nega, come fossero bazzecole, valori fondamentali (lotta alla mafia e al riciclaggio) del M5S. Insomma, come si può credere che il leader pentastellato, conoscendo la sua base (e l’inevitabile reazione), abbia solo minimamente pensato d’inserire nel decreto una sanatoria per i riciclatori? Assurdo. L’accordo politico non prevedeva condono penale e scudo fiscale sui capitali esteri. Se l’accordo salta c’è un problema. Giusto. Ma perché definire il ministro grillino traditore degli ideali? …

A di là delle accuse a Giannini e a la Repubblica, che qui non mi interessano, è interessante l’argomentazione di Cannatà. Mentre accusa Giannini di forzare la logica per andare contro Di Maio, non si accorge di avvoltolarsi nelle fallacie.

Primo argomento

Se fosse vero, se avessimo senza dubbio alcuno la certezza che così è, la carriera politica del leader pentastellato sarebbe fortemente compromessa.

Fallacia ad Ignorantiam: siccome Giannini non ha portato prove della menzogna di Di Maio, allora Di Maio non ha mentito.

Secondo argomento

Il punto è che questa certezza ce l’hanno Giannini e Repubblica (e i giornaloni affini). Dovrebbero fornire qualche prova, per amore della verità, a noi sprovveduti e ingenui, a noi privi di fonti privilegiate, giacché certe affermazioni sono gravi ….

Fallacia ad hominem, (avvelenamento dei pozzi): Cannatà insinua dubbi sulla credibilità di Giannini, assimilandolo a Repubblica (invisa ai lettori del Fatto) e accomunando quest’ultima ai “giornaloni affini” (linguaggio pregiudizievole); poi, chiedendo le prove e rafforzando la richiesta con un argomento retorico “a noi sprovveduti e ingenui, a noi privi di fonti privilegiate”, volto a mettere in ridicolo Giannini, Repubblica & co. L’ “ironia serve proprio a far intendere il contrario di ciò che si dice, con lo scopo di ottenere la complicità del lettore, che si sentirà “non sprovveduto, nè ingenuo” come i “giornaloni” lo vorrebbero: insomma, siamo troppo furbi perché ce la possiate dare a bere!

Terzo argomento

Come si può credere che il leader pentastellato, conoscendo la sua base (e l’inevitabile reazione), abbia solo minimamente pensato d’inserire nel decreto una sanatoria per i riciclatori? Assurdo. L’accordo politico non prevedeva condono penale e scudo fiscale sui capitali esteri.

Altro argomento fallace: siccome è incredibile o improbabile che A abbia detto o fatto la tal cosa, allora è impossibile e non vero che l’abbia detta o fatta. “Assurdo”, dice Cannatà: perchè l’accordo non lo prevedeva (e allora?). Assurdo, dice la Treccani, è qualcosa “che è contrario alla ragione, all’evidenza, al buon senso; che è in sé stesso una contraddizione”. Ora, una cosa improbabile (non impossibile) non è “assurda”, e perciò stesso, non vera. E in questo caso, non c’è niente di “assurdo” nel fare qualcosa che si era prima detto di non voler fare.

Finale “non logico”

Cosa dire, infine, della “accettazione” acritica di Cannatà della versione di Di Maio che il testo “è manipolato”, quando il sottosegretario Giorgetti e la Garavaglia dicono che quello è il testo che era stato sottoposto al governo?

Mentono loro? Se sì, come si fa a stare nello stesso governo con dei manipolatori? Oppure, non mentono e Di Maio e i suoi ci fanno la figura degli sprovveduti e dei mentecatti.

Fallacie d’accidente: i “Musulmani” i soldi ce li hanno!

Se è vero che il pregiudizio favorevole o sfavorevole ci rende acuti nel rilevare gli errori logici altrui, è anche vero che ci rende ciechi nei confronti dei nostri. Solo così si spiega il ricorso a ragionamenti arditi o ad argomentazioni chiaramente assurde come quelle che girano sui Social.

L’ultima perla che mi è capitata di leggere su Twitter, e di cui parlerò fra un attimo, non è assurdamente ridicola o ridicolmente assurda perchè non si regge logicamente, ma perchè è semplicemente fondata su falsità che solo menti ottenebrate dal pregiudizio xenofobo possono non vedere.

Il tono del tweet esprime chiaramente “disprezzo” e “condanna”: la mancanza del Soggetto all’inizio è chiaro indizio di mancanza di rispetto ed in tutto il Tweet si “legge” una distinzione netta fra “Loro” che pretendono senza avere un diritto, e “Noi” che dobbiamo subire le loro ingiuste pretese e pagarne le conseguenze.

I commenti che seguono il tweet (e che ho tagliato per carità di patria!) chiariscono chiaramente il contesto argomentativo e l’uditorio a cui l’argomentazione si rivolge e per il quale l’argomento “funziona” (basta vedere il numero di Mi piace e Retweet).

Il ragionamento è questo:

  1. l’ Associazione musulmani , che a Bergamo ha acquistato una Chiesa sconsacrata per farne una moschea, è “musulmana”; ergo, i musulmani possiedono denaro;
  2. le famiglie che protestano perchè i loro figli sono stati esclusi dalla mensa a Lodi sono “musulmani”; ergo, le famiglie musulmane di Lodi possiedono denaro.
  3. Chi ha denaro può permettersi di pagare la mensa; ergo, i musulmani di Lodi possono permettersi di pagare la mensa; chi può permettersi di pagare la mensa non ha diritto ad essere esentato; dunque i musulmani di Lodi pretendono diritti che non hanno.

Articoliamolo in tutte le sue premesse:

Tutti i “musulmani” hanno soldi

Come si vede il ragionamento è viziato da una doppia fallacia di accidente: generalizzazione indebita e accidente converso.

Tutta l’argomentazione si regge su premesse false e inferenze fallaci, come si può facilmente notare in questo diagramma:

Possibile che nessuno se ne sia accorto?

Educare alla “saggezza”

In un tweet di qualche tempo fa l’amico Sergio Mattarella mi diceva che è difficile insegnare il pensiero critico, perché siamo preda della nostra razionalità limitata, dei Bias cognitivi, ecc. . Ha ragione, naturalmente. Sono cose che sappiamo da tanto tempo (gli Idòla baconiani cosa altro erano?), ma di cui ora abbiamo le prove, grazie ai tanti studi e ricerche di psicologia cognitiva.

Certo, se questo fosse vero del tutto, parlare di insegnare il “pensiero critico sarebbe privo di senso: per quanto noi possiamo fare non vinceremo mai le forze che remano contro la nostra razionalità, la nostra ricerca di verità e di ponderatezza. Avrebbe allora senso il consiglio di limitarci solo a educare gli studenti al “dubbio”: non fidarsi fino a prova contraria di quanto gli altri ci dicono, e non fidarsi neanche di ciò che a noi stessi appare come “evidente”, privo di ombre (povero Cartesio!).

Ma educare al solo “dubbio” dove ci porta? E, comunque, ci lascia con il grande problema di educare gli studenti non solo ad essere “critici”, ma anche ad affrontare problemi (teoretici e pratici) attrezzati cognitivamente e metodologicamente per riuscire a raggiungere (o almeno a provarci) soluzioni vere, verosimili, efficaci, ponderate, equilibrate ….sagge.

Esiste una pars destruens nel Critical Thinking, ma esiste anche una pars construens, che spesso viene sottovalutata, e che da Galilei in poi, passando per Descartes e Bacone, arriva fino a noi. Quando si parla di “pensiero critico”, l’enfasi viene posta sull’aggettivo “critico”, ma il soggetto è il “Pensiero”: il pensatore critico moderno è quello che un tempo era chiamato “Saggio”.

Secondo la definizione della Treccani:

L’essere saggio; capacità di seguire la ragione nel comportamento e nei giudizî, moderazione nei desiderî, equilibrio e prudenza nel distinguere il bene e il male, nel valutare le situazioni e nel decidere, nel parlare e nell’agire, come dote che deriva dall’esperienza, dalla meditazione sulle cose, e che riguarda soprattutto il comportamento morale e in genere l’attività pratica.

Il Pensatore critico, come il Saggio, è vero, deve essere attrezzato per comprendere e valutare quanto viene offerto alla nostra accettazione (teorica o pratica); tuttavia, il Pensatore critico è anche quello che ragiona e propone soluzioni ragionate, prende decisioni ponderate, utilizzando metodi efficaci.

La Saggezza di oggi è l’uso “saggio” di strumenti adeguati alle sfide cognitive da risolvere, non una indefinita e indefinibile attitudine personale o una strategia generica di “scetticismo universale” o di atteggiamento “stoico” di fronte al mondo.

Posto che noi non possiamo liberarci dei nostri “idòla” mentali, possiamo, però, cercare di tenerli sotto controllo o (meglio sarebbe) neutralizzarli, utilizzando degli strumenti di sostegno per la nostra cognizione e per le nostre deliberazioni. Come le Mappe per argomentare e deliberare.

CREDITS

  • Cantù, P., E qui casca l’Asino. Errori di ragionamento nel dibattito pubblico, Bollati Boringhieri, Milano, 2011
  • Cattani, A., Discorsi ingannevoli. Argomenti per difendersi, attaccare, divertirsi, Edizioni GB, Padova, 1995
  • D’Agostini, F., Verità avvelenata. Buoni e cattivi argomenti nel dibattito pubblico, Bollati Boringhieri, Milano, 2010

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Pietro Alotto
La Scuola Che Non C’é

Scrivo di scuola, di filosofia, argomentazione, critical thinking e argument mapping (su cui ho scritto l'unico libro pubblicato in Italia).