Sugli “Orientamenti per l’apprendimento della Filosofia nella società della conoscenza”(2)

Filosofia e/o Critical Thinking?

Pietro Alotto
La Scuola Che Non C’é

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Parte prima|Parte seconda

Un filosofo passeggiava lungo un lago, quando notò un nuotatore che muoveva affannosamente le braccia e gridava: Aiuto! Un crampo! Affogo!”. “Interessante!” disse il filosofo. “Non faccia caso a me!” “Aiuto! Lei deve salvarmi!” Perchè mai?” “Non ha mai sentito parlare di imperativo categorico?” “Io credo nel principio del non intervento.” L’uomo annaspava indignato: “L’accuseranno di omissione di soccorso!”. “No” disse il filosofo. “Il semplice fatto che lei stia annegando non vuol dire che io debba aiutarla. Ed è forse una colpa se non sento dentro di me alcun imperativo morale? Forse un cieco ha colpa perchè non vede? Del resto qui nessuno ci vede” . “Aiut…” E l’uomo scomparve tra i flutti. Il filosofo se ne andò tutto impettito: “il mio comportamento in questa situazione è stato corretto dal punto di vista logico” . [Liberamente tratto e adattato da F. Moser, “Piccola filosofia per i non filosofi”, Feltrinelli, 2002, p.128]

La Filosofia delle Università si sta già mobilitando: troppe parole inglesi, troppe competenze, troppo piegata sulla filosofia analitica; troppo poco filosofica; poco storicismo; poca tradizione italica (la via italiana alla filosofia!).

Come capita spesso ai filosofi, invece che discutere sulle proposte operative, su cosa e come insegnare la filosofia a scuola, si discute sulle parole e sui fondamenti teoretici: la Verità, la Correttezza, la Società della conoscenza, la Critica (tutte rigorosamente con la maiuscola!).

Il rischio è che, ancora una volta, si perda un’occasione per rinnovare l’insegnamento della filosofia a scuola.

È almeno dagli anni Settanta/Ottanta del secolo scorso che la riflessione sulla didattica della filosofia si avvoltola in infinite discussioni su come insegnare filosofia a scuola: in modo storico, per temi, per problemi, per temi e problemi. Sull’argomento si sono esercitati in tanti, facendo proposte che poi si sono tradotte in un nulla di fatto. Con l’unico risultato che nulla è cambiato.

I manuali mettono qua e là degli inserti di carattere tematico, o qualche inserto in cui si affronta un qualche problema, ma si vede chiaramente che si tratta di cose spurie, messe là tanto per…. Il nerbo portante di tutti i manuali, anche di quelli più nuovi, è sempre e comunque la storia della filosofia.

In tutte le introduzioni ai manuali di filosofia si fa il doveroso omaggio a Kant affermando che non bisogna insegnare le dottrine filosofiche, ma insegnare a pensare. Dopo di che gli autori si dimenticano di quanto detto in premessa e ricominciano a fare la storia della filosofia. Ragazzini di 16 anni dovrebbero essere interessati al dibattito storiografico sulle fonti del pensiero dei presocratici. Ma sì apriamoci all’attualità, ma solo fra 4 lezioni in cui spieghi Spinoza e 4 in cui spieghi Leibniz! Naturalmente, tutti noi insegnanti abbiamo nelle nostre classi una pletora di ragazzi fortemente interessati alla metafisica leibniziana: chi vuoi che non trovi interessante sapere quali erano le proprietà delle “monadi”? Ma soprattutto è del tutto evidente che, dopo averla studiata, sanno leggere meglio un articolo sul dibattito, che ne so, sull’Eutanasia e prendere una posizione ragionata e argomentata!

I ragazzi mettono gli indicatori logici in un testo argomentativo a casaccio, non sanno discriminare tra un perché e un quindi; non sanno trarre le conseguenze logiche da una serie di premesse; non sanno riconoscere una fallacia di ragionamento; non sanno argomentare le proprie posizioni, non distinguono nemmeno le proprie posizioni dagli argomenti che le dovrebbero sostenere, e noi discutiamo della tradizione filosofica italiana, assente negli Orientamenti, se il Debate comprende tutte le possibili forme di confronto filosofico della Tradizione…![1]

Questo è il secondo post che dedico all’analisi del documento del MIUR pubblicato nel mese di Dicembre dal titolo ‘Orientamenti per l’apprendimento della Filosofia nella società della conoscenza’, a cura del Gruppo tecnico-scientifico di Filosofia, coordinato dal Direttore Generale, Carmela Palumbo.

Si tratta come scrivevo nel post precedente di un documento importante e che si muove su un piano di prudenza e di condivisione. Suggerisce, senza imporre (non potrebbe istituzionalmente farlo del resto!), accettando il confronto e la discussione.

Fin troppo, oserei dire! Per decenni è stata imposta (non vedo quale altra parola usare) a tutti, che la si condividesse o no, una didattica della Filosofia di carattere storicistico, senza chiedere permessi e confronti a nessuno. Filosofia= storia della filosofia, questo è il dogma che è stato imposto alla scuola italiana, dogma condiviso da accademici formati a quella equazione e che dominano incontrastati le facoltà universitarie italiane. Se poi quella impostazione tradiva ad ogni passo le pretese dichiarate di formare menti critiche e abili ragionatori (competenti?) non faceva problema. La Filosofia è questo: prendere o lasciare! La didattica della filosofia deve adeguarsi a quello che la Filosofia è, e quello che la Filosofia è lo dice la sua Tradizione e la sua Storia.

Il problema è che la storia della Filosofia al suo interno ha di tutto: mettere insieme il filosofare di Hume e quello di Derrida è difficile; così come lo è il mettere insieme la scrittura di Popper e quella di Heidegger; o ancora le tematiche care a Cacciari o quelle care, che ne so, a Peter Singer.

In questa situazione fare una scelta è necessario: bisogna decidere quale filosofia insegnare a scuola, e la Commissione l’ha fatto prendendo come bussola le finalità formative generali della Scuola. Potrebbe essere una vera e propria rivoluzione copernicana: non è lo studente ( e i suoi bisogni formativi) che deve piegarsi alla disciplina, ma è la disciplina che deve piegarsi alle esigenze formative degli studenti. Io e il mio collega Roberto Trolli lo auspicavamo già 15 anni fa in uno scritto che allora ebbe una qualche risonanza tra gli addetti ai lavori.

In quello scritto -così come in un altro articolo pubblicato su Comunicazione filosofica- ( e di cui su Medium ho pubblicato una sintesi) sostenevamo la necessità di un rinnovamento dell’insegnamento della filosofia a scuola.

L’insegnamento della filosofia è un elemento fondamentale del curricolo formativo in una società democratica, ma a condizione che esso muti radicalmente i suoi metodi, le sue usuali pratiche didattiche e, in parte almeno, le sue finalità. […] la didattica della filosofia deve prendere sul serio la missione che (a parole) si è data, cioè quella di formare menti autonome e critiche; mentre le pratiche didattiche (siano esse lo studio nozionistico del pensiero degli autori o la lettura dei testi) e i contenuti dell’insegnamento tradiscono o sono inadeguati al compito.

Insomma, la filosofia che si insegna a scuola dovrebbe essere la filosofia che serve per raggiungere gli obiettivi formativi dello studente.

Filosofia o Critical Thinking?

Entriamo nel merito del Documento. Premetto che lo faccio da insegnante di filosofia in una scuola secondaria, e che la filosofia di cui parlo è la filosofia insegnata (con la minuscola) e non la Filosofia come disciplina accademica.

Dico questo, per ricordare a tutti noi che stiamo parlando di una disciplina proposta a ragazzini di 16 –18 anni, che devono studiarla perchè “imposta” e non per scelta “vocazionale”; e per fare mente locale anche sul fatto che molti dei nostri studenti, nel prosieguo della propria vita, probabilmente, con la Filosofia (come disciplina intendo) non avranno più a che fare. Teniamo a mente il nostro “uditorio” quando li intratteniamo nei nostri manuali per intere pagine sullo schematismo trascendentale kantiano.

In questo post ci soffermeremo sul secondo capitolo del documento, “Pensiero critico e dialogo”. Un capitolo che risente sicuramente della presenza in Commissione di Giovanni Boniolo (autore assieme a Paolo Vidali di un manuale di filosofia, “Argomentare”e di un manualetto di logica e Argomentazione, “Strumenti per ragionare”) e Armando Massarenti (filosofo della scienza e curatore del supplemento culturale de Il Sole 24 Ore, oltre che coautore, insieme a Paolo Legrenzi, di un libretto dal titolo “La buona logica”).

Va detto che in tutto il Documento si percepisce lo sforzo di presentare la disciplina come avente oltre che un indubbio e indiscusso valore teoretico, anche un valore pratico: la filosofia è un sapere utile [2], utile perchè può fornire agli studenti una “cassetta degli attrezzi concettuale” che dovrebbe contenere “quegli strumenti che gli consentano di affrontare preparato e consapevole le varie materie di studio e la vita vera e propria” (p.13)

E’ solo in questo contesto che ha senso l’estensione della filosofia a tutti. Si tratta di strumenti, questi che può fornire la Filosofia, utili a tutti i cittadini, sin dall’infanzia e per tutta la vita. E la Filosofia deve in questo farsi carico di una responsabilità (impropria?) di soccorrere il sistema formativo, aiutandolo “a colmare quelle lacune della formazione, rimaste finora pericolosamente disattese e trascurate, che riguardano competenze e conoscenze fondamentali per la costruzione di saperi personali, capacità critiche e coscienza della cittadinanza, in una società dove l’essere consapevolmente attivi e proattivi diventa sempre più cruciale” (p.13)

Ma quali strumenti? Della definizione di questi strumenti si occupa appunto la Sezione 2 del Documento, una di quelle che più sta facendo discutere gli addetti ai lavori, provocando non pochi mal di pancia.

Il Documento riparte da quanto sostenuto dalla Commissione dei saggi nei “Contenuti essenziali per la formazione di base” (1998) in merito alla possibilità di estendere l’insegnamento della filosofia a tutti i giovani. I problemi della filosofia sono questioni di senso e questioni di verità, ad alto grado di generalità, nel senso che si tratta di questioni (penso alle questioni etiche) che ricadono spesso in una molteplicità disparata di settori della vita e della conoscenza. E’ questa sua generalità e trasversalità che rende lo studio e la pratica filosofica particolarmente versatile e spendibile in molti campi. Ma (e il “ma” è grande quanto una casa!) non se la riduciamo a conoscenza storica . Il Documento riporta non a caso in nota i consigli dei Saggi sull’insegnamento della filosofia che riportiamo per intero:

«L’insegnamento della filosofia - positiva specificità della scuola italiana- non può venire esteso indiscriminatamente nella sua forma attuale di ricostruzione storica. La sua destinazione generale consisterà nel dotare tutti i giovani di strumenti concettuali adeguati alla ragionevole costruzione di una soggetività propositiva e critica». E si sostiene che a partire dalle situazioni e dai problemi dell’esperienza concreta, ciascuno studente deve essere capace di sviluppare razionalmente i propri punti di vista, comprendere e discutere quelli altrui, rispetto a questioni di etica e bioetica, responsabilità, cittadinanza nonché su questioni di verità a partire da nozioni elementari di logica, teoria dell’argomentazione, epistemologia.

Rilevo solo che le tematiche filosofiche citate vengono ridotte a quelle che potremmo definire “filosofia pratica” e all’epistemologia, oltre che alla logica e alll’Argomentazione. E’ solo per amore di sintesi? Forse, ma mi aspetto su questa riduzione (che, detto per inciso, io, in parte, condivido) non poche polemiche.

Ma è nel prosieguo del documento che si chiarisce bene quali “strumenti” devono esserci nella “cassetta degli attrezzi” di ogni studente. Gli strumenti sono la Logica e l’Argomentazione.

E’ vero, gli estensori avvertono che non si vuole “… limitare il contributo formativo della filosofia e del suo studio al solo sviluppo di abilità logiche e retoriche né ridurre il ruolo della ricostruzione storica del pensiero filosofico, la specificità dello statuto epistemologico della filosofia o la complessità delle conoscenze e idee filosofiche.”

L’enfasi posta sugli aspetti logico-argomentativi si spiega, perciò, solo col fatto che si tratta di aspetti questi che sono drammaticamente sottovalutati nell’insegnamento tradizionale.

Insegniamo fisica, matematica, latino, greco, storia, inglese ecc. ma, paradossalmente, non insegniamo in modo esplicito a pensare correttamente. Non forniamo, cioè, quegli strumenti per giustificare adeguatamente le posizioni che vogliamo sostenere e per criticare appropriatamente quelle che vogliamo avversare.(p.13)

E ancora:

La scuola, attraverso la formazione in ambito filosofico, dovrebbe avere come scopo quello di fornire solide competenze in campi quali la logica, strumento del corretto ragionare formale; la pratica dell’argomentazione e della negoziazione razionale, strumenti del ragionamento collaborativo e informale; la probabilità, intesa come strumento del corretto ragionare in situazioni di incertezza. Sono questi strumenti, infatti, che consentono di affrontare poi consapevolmente anche le altre discipline scolastiche, avendo tutte a che fare — chi più chi meno, chi strutturalmente chi contenutisticamente — con ragionamenti logici, con argomentazioni aperte e con situazioni probabilistiche.(p.13)

Continuo a dire: troppa roba! Se la Filosofia dovesse cercare di fornire competenze come queste, dovrebbe trasformarsi in qualcos’altro, in una disciplina che non è più Filosofia, bensì Critical Thinking. E’ il CT che punta a sviluppare skills che attengono al ragionamento critico (o analitico), al problem solving e al decision making. La Filosofia usa il ragionamento analitico, affronta e cerca di dare soluzioni a problemi che riguardano questioni di senso e di verità; riflette su, e sostiene le prese di decisioni in campo etico, piuttosto che politico ecc. Ma il fatto di usare gli strumenti del pensiero critico ( e neanche tutti e integralmente), non significa che questo sia il suo “mestiere” e che il suo studio permetta di applicare al di fuori di essa, quanto, per imitazione, si impara a fare in essa. Non più di quanto, il fatto di usare il ragionamento, non faccia della Logica formale una disciplina che insegna a ragionare in altri campi.

Se l’obiettivo formativo è quello indicato sopra, la Filosofia è funzionale allo scopo come lo può essere qualsiasi altra disciplina che usi il ragionamento critico, il problem solving, il decision making, ecc.: cioè, in qualche modo, tutte!

Tutte le discipline (la matematica non meno delle scienze naturali, dell’Italiano, del Latino, della Storia ecc.) dovrebbero contribuire a sviluppare abilità, atteggiamenti e strategie attinenti alla Competenza: pensare logicamente e criticamente. La Filosofia in questo non ha nè maggiori responsabilità, nè magggiori strumenti.

D’altra parte, se queste sono le priorità formative, allora bisognerebbe avere il coraggio di farlo per la via breve, introducendo il Critical Thinking a scuola, e non per quella più lunga e tortuosa dell’insegnamento della Filosofia: nella speranza che l’imparare dottrine e argomentazioni filosofiche abbia come ricaduta o precipitato indiretto la formazione delle competenze logiche.

La competenza è un insieme di conoscenze, abilità, atteggiamenti, capacità ed, insieme, e soprattutto, controllo consapevole degli strumenti e delle strategie cognitive che vengono utilizzate nell’affrontare compiti o problemi. Imparare per imitazione a ragionare o a pensare filosoficamente (con tutte le diverse modalità di argomentazione filosofica che si sono presentate nella storia della filosofia), come avviene nell’insegnamento/apprendimento della Filosofia (quando ha successo, e non sempre ne ha!) non permette di poter affermare con sicurezza che sviluppi contemporaneamente uguali abilità, per esempio, nel ragionamento sperimentale, o in quello probabilistico, o nell’analisi dei dati.

Inoltre, la padronanza degli strumenti e delle strategie cognitive può avvenire solo attraverso la conoscenza teorica dei meccanismi di funzionamento del nostro pensiero in tutte le sue forme; e, soprattutto, attraverso la (tantissima) pratica nel tipo di compiti prestazionali che vogliamo che i nostri studenti sappiano affrontare. Se l’insegnante di Filosofia si occupasse di questo (ammesso e non concesso che abbia le competenze lui, per primo), dove troverebbe il tempo per fare tutto il resto?

Insomma, ripeto, troppa roba! Non vorrei che nel tentativo di salvare la Filosofia nella nostra Scuola (e di estenderlo a tutti), si facesse di questo insegnamento un uso improprio e votato all’insuccesso. Come dicevo nel post precedente, non si può e non si deve ridurre la Filosofia a semplice insegnamento strumentale o propedeutico allo studio delle altre discipline.

Filosofia e Argomentazione

Se non si vuole snaturare l’insegnamento/apprendimento della Filosofia e si vuole puntare allo sviluppo di abilità logiche negli studenti l’unica strada è quella di chiedere alla filosofia solo ciò che la filosofia può dare.

http://creative-commons-images.com/handwriting/a/argument.html

La Filosofia è, arriverei a dire, per ogni filosofo qualcosa di diverso. Mettersi a discutere su quale sia la risposta corretta alla domanda “Che cos’è la filosofia?” significa avventurarsi in un mare tempestoso di diatribe (di cui quella fra Analitici e Continentali è solo la punta di un’iceberg). C’è una cosa su cui la maggior parte (?) dei filosofi potrebbe forse essere d’accordo: la filosofia ha fra le sue caratteristiche peculiari quella di essere un’attività teoretica in cui generalmente (lo so, ci sono eccezioni!) i filosofi affermano qualcosa intorno al mondo e lo giustificano in vario modo, sviluppando argomentazioni “razionali”. Non è un caso che C. Perelman abbia scelto, nel Trattato dell’argomentazione, l’analisi delle argomentazioni filosofiche come terreno privilegiato per studiare tecniche argomentative e strutture di argomenti, che si ritrovano in tutte le discussioni, anche quelle della vita quotidiana.

Ebbene, su questo terreno, sul terreno della logica e dell’argomentazione la Filosofia può dire molto.

La filosofia è stata tradizionalmente un campo di battaglia di teorie e dottrine le più diverse che si sono scontrate contrapponendo argomentazioni ad argomentazioni, teorizzazioni a teorizzazioni e modellizzazioni del reale ad altre. Studiare i modelli e le teorizzazioni dei filosofi, analizzandone le argomentazioni e le contro-argomentazioni; mettendo gli studenti nelle condizioni di cimentarsi in modo consapevole nel proporne di proprie … può essere un modo per sviluppare competenze.

E questa dimensione critico-argomentativa è in linea con quanto affermato negli Orientamenti quando si dice che:

… una solida preparazione logica e argomentativa — e la propensione a discutere che essa porta con sé — alimenta la capacità di governo delle proprie scelte, azioni ed emozioni e favorisce l’affinamento e la disposizione della persona a viverle tenendo conto degli esiti e delle conseguenze che esse hanno su di sé e sugli altri.(p.14)

Ma tutto quello che fin qui abbiamo detto, è un discorso diverso da quello di chi sostiene che questa “piegatura” della filosofia è riduttiva, perchè la Filosofia è ben di più. [3] Il ben di più (che nella didattica quotidiana o ordinaria si riduce ad un “ben di meno”), forse potrebbe essere lasciato all’Università.

Io credo che la questione stia in questi termini: la filosofia può dare alla formazione degli studenti più di questo? E, se si, cosa? E in che modo farlo diventare obiettivo formativo raggiungibile?

Dire che prima viene la “Filosofia” e poi viene la “Didattica”, può andare bene per le facolta di Filosofia (e lo dico con qualche perplessità), dove il target è selezionato in partenza per “vocazione” dei discenti; ma vale anche per la scuola di tutti? Non ho certezze in merito.

Il problema del metodo

https://it.wikipedia.org/wiki/Ben_Nevis#/media/File:Ben_Nevis_Tourist_Route.jpg

Come tradurre queste finalità generali in obiettivi formativi: in conoscenze, abilità, atteggiamenti da perseguire? E con quali strategie didattiche?

Pensavamo di essere arrivati al traguardo, dopo la salita, e, invece, avevamo solo scollinato, e la montagna e tutta davanti a noi da scalare!

Riflessioni a margine

In questi giorni ho assistito ad un Webinar del prof. U. Curi, un filosofo che stimo e che mi è umanamente simpatico, e mi sono preoccupato. Il prof. Curi ha infatti da poco pubblicato a suo nome (con la collaborazione di altri studiosi), per la Loescher, un nuovo manuale di filosofia, che ho già avuto modo di visionare. E’ un libro che nell’impianto generale non è molto diverso da altri in circolazione. La filosofia è ancora storia della filosofia; la trattazione è per autori e non per temi e problemi; la novità è data dalle schede di approfondimento su filosofia e cinema; da quelle del prof. Adelino Cattani sulle tecniche argomentative; l’apertura ad una didattica integrata della filosofia, in relazione con Arte, Letteratura, ecc. Non c’è, invece, nel manuale ( a parte le schede di Cattani) nessun percorso di Logica (informale) e teoria dell’argomentazione.

La cosa che mi ha preoccupato non è solo il fatto (per sè significativo di come gli studiosi italiani intendono l’insegnamento/apprendimento della filosofia) che il prof. Curi insistesse a dire che il suo manuale (“diversamente da altri manuali in circolazione”, ha ribadito più volte) nasce proprio come educazione al pensare con la propria testa (e questo a fronte di un’impianto del manuale di carattere fondamentalmente tradizionale e di tipo storico: si impara a ragionare, imparando ragionamenti altrui); quanto piuttosto il fatto che, a suo dire, questo manuale fosse in linea con gli “Orientamenti”. Ora, essendo Curi uno dei professori universitari invitati dal ministero a confrontarsi sul Documento, che quindi ha letto e meditato, la cosa mi ha impensierito parecchio: possibile che Curi non si sia accorto che la richiesta di un insegnamento finalizzato allo sviluppo di abilità logiche richieda strategie e contenuti di insegnamento che nel suo manuale non ci sono?

Il convegno organizzato dal Miur per avviare un confronto sugli esiti del lavoro del Gruppo tecnico-scientifico di filosofia del Miur e sulle nuove frontiere dell’insegnamento della filosofia

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Pietro Alotto
La Scuola Che Non C’é

Scrivo di scuola, di filosofia, argomentazione, critical thinking e argument mapping (su cui ho scritto l'unico libro pubblicato in Italia).