La povertà alimentare in Italia: le risposte del secondo welfare

Scuola di giornalismo Walter Tobagi
La Statale per Expo
4 min readMay 17, 2015

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di Michela Rovelli

Gli anni della crisi hanno visto diminuire sempre più i finanziamenti statali destinati al welfare. Ci sono settori di aiuto sociale, come quello della lotta alla povertà alimentare, che non sono sostenibili dagli enti pubblici. Qui si inserisce la rete sempre più fitta di soggetti privati che hanno sviluppato un secondo welfare, cercando di colmare le lacune del benessere sociale. Dall’ottobre 2013, il laboratorio di ricerca “Percorsi di secondo welfare”, diretto dalla professoressa Franca Maino, del dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli studi di Milano, si occupa con sempre più attenzione del tema della povertà alimentare.

Durante il ciclo di seminari “Aperitivo per Expo”, organizzato nel maggio dello scorso anno a Milano, il gruppo di ricerca ha proposto una tavola rotonda dal titolo “Povertà alimentare: un problema (anche) italiano”. Nella prima metà di ottobre 2015, il centro propone di continuare il focus con un convegno inserito nel programma di “La Statale per Expo”: “Povertà alimentare in Italia: le risposte del secondo welfare. Come si combatte l’indigenza alimentare nel Paese di Expo 2015”. Si discuterà delle nuove esperienze di lotta alla povertà alimentare in Italia, con il contributo di ospiti del settore. È prevista anche la pubblicazione di un libro, in cui la professoressa Maino e i suoi collaboratori cercheranno di spiegare come questa rete di soggetti privati, che vengono in aiuto ai più bisognosi, sta evolvendo.

Sono tante le esperienze di secondo welfare che si sono sviluppate negli ultimi anni. Geolocalizzazione e prossimità. Sono queste le parole d’ordine che un gruppo di ragazzi under 30 della provincia di Bergamo ha seguito per creare Breading App. Partito lo scorso ottobre, il progetto nasce dall’osservazione di due dati. Ogni giorno sei milioni di tonnellate di cibo vengono buttate. Lo stesso numero, sei milioni, indicava in Italia il numero di persone sotto la soglia di povertà assoluta nel 2013 (dati Istat). Persone, cioè, in una condizione di vita ai limiti della sopravvivenza. «Breading App vuole creare un ponte che possa connettere le persone che non riescono soddisfare i loro bisogni primari e le eccedenze alimentari» racconta Gabriella Refferino, la portavoce del team del progetto. Attraverso la piattaforma, le associazioni caritative riceveranno un alert dagli esercenti più vicini, così da poter mandare i volontari a prendere il cibo, anche a piedi.

Esistono in Italia molte realtà che ogni giorno si occupano di ritirare alimenti in eccedenza per ridestinarli ai poveri. Una delle più importanti, con 21 organizzazioni in tutto il Paese, è il Banco Alimentare. Nel 2014 i quasi duemila volontari sono riusciti a recuperare più di 40 mila tonnellate di cibo. La sezione della Lombardia è la più grande e la più operativa. Il magazzino centrale raccoglie ogni giorno tonnellate di cibo che andrebbero sprecati, da supermercati, enti privati, mercati dell’ortofrutta. Tutto ciò che non è più vendibile — per un difetto nella confezione o una data di scadenza troppo vicina — finisce qui. Le strutture caritative, dopo aver stipulato una convenzione con l’organizzazione, possono venire quotidianamente a ritirare cibo da ridestinare a chi ne ha bisogno.

Nel 2003 nasce il programma “Siticibo” che ha l’obiettivo di recuperare, dalla ristorazione e dalla grande distribuzione organizzata, cibo fresco e cucinato. Ogni giorno tre pulmini viaggiano per tutta Milano a raccogliere ciò che non si è consumato il giorno prima. Dalle mense aziendali la mattina, dalle mense scolastiche il pomeriggio. «Sono alimenti che hanno vita brevissima», spiega Laura Bellotti, addetta stampa di Banco Alimentare. «Sono però importantissimi perché hanno un valore nutrizionale molto alto e soprattutto perché le strutture caritative ricevono un prodotto che è già cucinato e pronto da servire».

«In questi ultimi anni il problema della povertà alimentare è esploso in modo significativo perché ha coinvolto delle classi sociali che prima non erano toccate. Stiamo parlando di classi che si sono impoverite improvvisamente. Agiscono in modo diverso rispetto alle categorie da sempre in difficoltà. Cercano di mantenere uno status che non faccia percepire agli altri questo problema, e quello a cui si rinuncia sono proprio gli alimenti», conclude Laura Bellotti.

Per aiutare questi nuovi poveri, soprattutto nel nord Italia, sono sempre più numerose le esperienze di empori o market solidali. Basandosi su documenti che attestino la condizione di povertà di una famiglia, gli assistenti sociali locali affidano a chi ne ha bisogno una carta a punti ricaricabile con cui si può fare la spesa in questi spazi, veri e propri supermercati.

Franca Maino, professoressa del dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università statale di Milano e fondatrice del laboratorio “Percorsi di secondo welfare”, dà un giudizio positivo su queste nuove esperienze, anche se si potrebbe fare di più. «Oggi ci sono tante iniziative e misure che nascono dai territori, ma non si riesce a fare molto sistema. C’è molta disorganizzazione. Nascono in un contesto locale e lì sono circoscritti. Non c’è condivisione di strumenti e misure che hanno dato prova di funzionare su scala più ampia».

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