Ecosistemi digitali: dal libro ai social, la progettazione passa dal linguaggio

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La terza giornata di Glocalnews
4 min readNov 19, 2016

di Davide Giraldo

I nuovi ecosistemi e gli uomini che li abitano: un linguaggio per ogni ambiente, un linguaggio per inventare il mondo. Perché parliamo di “ecosistemi” e che caratteristiche ha un ecosistema? Quali sono le corrispondenze tra i linguaggi, gli ambienti e i tempi? Il linguaggio può essere uno strumento di progettazione di senso che dà vita a nuove comunità, nuovo valore e nuove relazioni.

L’incontro con Federico Badaloni, giornalista Gruppo Editoriale l’Espresso; Letizia Sechi, Rcs. Coordina Laura Guglielmi, direttrice di Mentelocale.

Quali sono le principali caratteristiche di un ecosistema? domanda per Federico Badaloni da parte di Laura Guglielmi #glocal16

Nell’ecosistema fisico-digitale delle informazioni la componente bio siamo noi umani, non-bio sono hardware e software.

Federico Badaloni ci spiega che noi riusciamo a modificare un ambiente e renderlo “casa”.

Prende la parola Letizia Sechi, che ci spiega i diversi contesti nei quali creiamo un profilo social, in base ai diversi contesti.

Su Twitter, per esempio, Letizia Sechi ci fa notare che l’aggiornamento personale può sembrare scoraggiato, non viene mai agli utenti di parlare dei fatti propri, perché il posizionamento dei trend topic influenza la cognizione degli utenti.

Federico Badaloni in seguito ci parla delle differenze tra le telefonate e le note vocali di Whatsapp. In sostanza, ci comportiamo in maniera conforme all’ambiente in cui siamo chiamati ad esprimerci: su Whatsapp, con le note vocali, siamo più rispettosi del tempo dei nostri interlocutori che possono risponderci quando hanno tempo.

Federico Badaloni spiega come si possa percepire nei social (come su un gruppo su whatsapp) l’idea di essere in un luogo familiare.

Nel percepito emotivo della nonna di Federico Badaloni, questo è un luogo, in cui si sente padrona di casa: quindi dice “Benvenuti”, ed accoglie i suoi figli e nipoti.

Laura Guglielmi ora chiede a Federico Badaloni: “cosa è cambiato nel concetto di articolo?”

La domanda non è questa, ma bensì dovrebbe essere “perché scriviamo un articolo?” Perché dobbiamo trasmettere una notizia alla comunità. Se siamo sempre stati gli artefici della connessione, abbiamo definito il nostro messaggio come una connessione.

  1. il modo di creare una connessione sono multipli. Siamo già abituati al fatto che l’atto giornalistico è multiforme. La possibilità di assumere delle forme è all’eccesso: non sappiamo che forma prenderà l’articolo. Le narrazioni cambiano forma. es. https://www.theguardian.com/. Se so che la forma è liquida, devo modificare la sostanza. La stessa forma impone che l’articolo venga pensato “digital first”. Poi posso curare l’adattamento dell’articolo nei vari ambienti in cui comparirà.
  2. L’articolo è scritto con l’idea che persisterà? Bisogna considerare un articolo raggiungibile non solo in spazi diversi, ma anche in tempi diversi.

Domanda di @dontyna dal pubblico. Compro magazine online. Vorrei poter navigare l’archivio in base alle tematiche. Voglio poter scomporre il giornale secondo le mie esigenze. Accadrà mai?

E’ una vecchia architettura dell’informazione. Figlio della cultura archivistica: ogni cosa deve stare al suo posto. Oggi stiamo lavorando su delle “tassonomie” basate su metadati, con info molto piatta. I nostri siti, nel gruppo editoriale L’Espresso, è responsive, intercettiamo il browser che ci sta chiedendo la pagina e diamo il template che è ottimizzato per quel tipo di supporto.

Un’altra domanda dal pubblico → Le emoticon sono un’espressione della mancanza della fisicità?

Risponde Letizia Sechi. Le emoticon esistono dalle primissime email, dagli anni ’80. Vengono introdotte per distinguere le ambiguità sul tono di una comunicazione come la mail. Ora sono più tipiche di una comunicazione istantanea e dei social media.

In presenza di un emoji, conclude, non si scivola nell’ambiguità del significato di ciò che stiamo dicendo.

Ringraziamo i nostri ospiti per aver partecipato a #glocal16

© Alessandro Galbiati

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