Abbiamo commesso alcuni errori

In qualità di psicologi abbiamo commesso alcuni errori.

Abbiamo pensato che le emozioni potessero essere il terreno su cui coltivare una società migliore, individui migliori, liberati, da cosa non si sa…forse dalla nevrosi, dalle dipendenze, delle paure.

Abbiamo esagerato nel pensare che rendere consapevoli gli individui di un sentire emozionale potesse acuire un senso di rispetto per sé e per gli altri, compiendo in tal modo un’operazione pedagogica più che terapeutica e infine abbiamo creduto che la percezione del sentire emozionale fosse scevra da qualsiasi mistificazione, illusi che la nostra stessa interpretazione del controtransfert potesse fungere da metro di misura della sofferenza altrui. E nel far questo abbiamo pensato che la consapevolezza delle proprie emozioni potesse essere lo strumento su cui fondare questa nuova costruzione di una società più giusta e attenta ai bisogni propri e del prossimo.

Insistendo nel pensare che tale sviluppo della natura senziente umana attraverso l’elaborazione consapevole di processi interni — denominati in vario modo dai diversi orientamenti psicologici: inconscio, modelli operativi interni, schemi cognitivi — potesse portare ad un’elaborazione speculare della coscienza, abbiamo tralasciato la possibilità e l’osservazione dello sviluppo di processi difensivi collettivi, assuefatti anche noi dalpiacere voyeristico offerto dall’orgia mediatica e consumistica.

Un’ulteriore svista è stata quella di ritenere il comportamentismo Skinneriano come un relitto della paleopsicologia, talmente abbagliati dalla versione romantica dell’evoluzione consapevole e del controllo di noi stessi come metafora costruttiva dell’uomo padrone di sé, imprenditore di sé stesso, artefice del proprio destino, ricco di successo, pienezza, controllo, espansione e realizzazione del proprio destino, dimenticandoci proprio l’assunto Freudiano originario per il quale nessuno è padrone in casa propria. E se vogliamo abbiamo anche sovrastimato la nostra fiducia nell’inconscio, qualificandolo magicamente come ente che a modo suo, oppure adiuvato dalla nostra arte terapeutica, avrebbe sempre saputo trovare la strada giusta per emergere al fine di rivelare il bene per l’individuo e per l’umanità.

Abbiamo sopravvalutato il misticismo dell’inconscio collettivo e divinizzato teorie che spesso non riusciamo a provare, seppure si presentino con un fondo di plausibilità, come stiamo attualmente facendo nella ricerca di un collegamento pratico tra teorie fisico-matematiche moderne e psicologia.

Ebbene queste sviste, probabilmente favorite da un mercato dell’immagine dell’amore, delle relazioni e dell’esistenza di matrice holliwoodiana, hanno nascosto la vera direzione intrapresa e, aggiungerei, realizzata dal genere umano: la totale sottomissione al mercato e alla paura della morte, con la conseguenza di aspettarsi sempre una soluzione rapida e indolore ai problemi della vita, un tutore che risolva i problemi e ci permetta di non pensare a niente. “Come se” la scoperta e la percezione dello schema e dell’emozione sottostante avessero la magnifica capacità di sollevare dal compito esistenziale del passare attraverso l’esperienza del dolore.

Il modo in cui si legano questi due controllori nel sottomettere gli individui agli interessi commerciali del mercato è chiaro in un senso e al tempo stesso rintraccia la complessità del campo definito dagli attori principali di questo esproprio della coscienza: digitalizzazione dei comportamenti, propaganda, controllo sanitario della vita degli individui.

Google e Social Network; istruzione; trasporti; ingegnerizzazione sanitaria delle cure e dei servizi, hanno realizzato una confluenza economica di interesse, in cui gli apparati di potere politico sono assunti in qualità di controllori della regolarità dell’espletamento dei passi necessari a perpetuare lo scambio di informazioni, adesioni, obbedienza e sottomissione ad un sistema di sfruttamento in cui la materia prima è divenuto l’essere umano. Noi psicologi, per primi, talmente impegnati a sondare l’inconscio, le cause nascoste dei comportamenti, la volatilità delle emozioni, non ci siamo resi conto che l’Io veniva gradualmente svuotato di significato, relegato a oggetto, non più soggetto, a merce di scambio di contrattazioni segrete, occultate dalla rete, entro la quale ancora come pesci in trappola riteniamo di poter nuotare liberi. Tuttavia le maglie della rete si stringono sempre più e la coercizione, che fino ad oggi è scivolata via nell’illusione di essere noi i protagonisti delle nostre scelte, si sta rivelando nella sua violenza più brutale attraverso obblighi sanitari, vincoli alla mobilità, coercizioni comportamentali e suadente persuasione obbligata al consumo.

Wilhelm Reich a proposito delle dittature ha scritto che “Le sue componenti fondamentali sono la mistificazione del processo vitale, il reale stato di impotenza materiale e sociale, il timore di assumersi le responsabilità delle scelte riguardanti la propria esistenza e quindi la smania di sicurezza (illusoria) e di autorità, attiva o passiva.

Non sorprende allora che la nostra voce, quando sia contro questi assunti totalizzanti della vita dell’individuo e delle masse, sia totalmente ignorata anzi sbeffeggiata, a meno che non inneggi alla giustificazione della subdola coercizione.

Oggi rischiamo, sempre in qualità di psicologi un po’ più aperti a influssi filosofici alternativi, allo stesso modo, di sopravvalutare la capacità dell’umano di elevare la propria natura senziente all’elemento sottile, alla spiritualità e alla trascendenza. Elementi certamente ambiti ma che si realizzano innanzitutto attraverso lo strumento della preghiera, ma soprattutto attraverso un profondo atteggiamento di devozione al proprio credo religioso, qualunque esso sia. Il fatto che personalmente non possegga tale privilegio non significa che altri, colleghi o pazienti non possano effettivamente coltivare un sentire e una coscienza più ampia della sola visione materialistica della vita. Tuttavia dobbiamo riconoscere che la visione non è la stessa cosa della percezione e ancor meno della professione di fede. Il rischio di incorrere in una confusione epistemologica frammentante è concreto.

Purtroppo non posso aggiungere altro a queste considerazioni, scritte di getto e non proprio rassicuranti. Ma forse, se abbiamo sbagliato in qualche cosa, non è nemmeno auspicabile girarsi dall’altra parte e dormire sonni troppo tranquilli. Per una volta non mi accontenterò dell’adagio “andrà tutto bene”.

Bologna, 2 febbraio 2023

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Alessandro Campailla
LaTI® — Laboratorio Teatro d’Impresa

Psicologo, psicoterapeuta e fisioterapista. I miei campi di studio sono: il rapporto mente-corpo-società, nel suo sviluppo storico e in relazione alla clinica