La Natura, l’uomo, l’educazione, la cura

di Alessandro Campailla

Nei miei ricordi di bambino un posto centrale è occupato dai lunghi viaggi in automobile con i miei genitori, che dal freddo Nord mi portavano, insieme ai miei fratelli, in ferie al Sud, in Sicilia, la loro terra di origine. La fatica, il sonno scomodo, la draconiana disciplina del viaggio imposta da mio padre, erano tuttavia compensate da alcuni momenti che non dimenticherò mai. La vista della natura accompagnava quei lunghi viaggi e a tratti rischiarava gli occhi assonnati con la dolcezza declive dell’Appennino e i suoi borghi arroccati, accendeva la luce dell’alba con il verde intenso dei boschi della Calabria, lasciava intravedere le forme di interminabili coste al tramonto e poche luci lontane. Infine i meravigliosi supplì del traghetto sullo Stretto di Messina, saziavano lo sguardo pieno di azzurro e di mare, che il sole caldo della mia terra non ha mai smesso di regalarmi. Queste immagini hanno contribuito a formare la mia percezione della natura e il rapporto, invero non sempre equilibrato, che nel tempo vi ho intrecciato. L’infanzia mi ha comunque regalato l’idea che esistesse un’armonia tra la natura, la sua grandezza, la sua benevolenza, la sua furia e il contratto che l’uomo ha stipulato con lei. Ero un bambino come tutti gli altri.

Attraverso la percezione di un bambino, il modo in cui questo immaginario si forma e si compone sembra essere un processo informato non soltanto dall’esperienza diretta, ma anche dall’intervento dei media. Un interessante studio su questo fenomeno (1) ha indagato il modificarsi delle rappresentazioni della natura nei film della Disney e della Pixar, prendendo in considerazione un intervallo di tempo di settant’anni e la relativa filmografia, analizzando la biodiversità e il suo cambiamento in più di sessanta pellicole, nei termini di quella che gli autori chiamano “Green Nature”, ovvero le ambientazioni scenografiche nella natura selvaggia e la scelta delle specie animali qui rappresentate, rispetto ad altri contesti scenografici sia rurali che urbanizzati, pur presenti in diverse pellicole.

Nel corso della premessa gli autori evidenziano un aspetto di ordine sociologico: il fatto che fino a qualche decennio fa, ogni famiglia aveva un parente o conoscente coinvolto in attività agricole e questo poneva i bambini a contatto, se non proprio con la natura selvaggia, almeno con la possibilità di rappresentarsi mentalmente un immaginario rurale e non solo urbano, mentre oggi la relazione con questi ambienti è mediata perlopiù dalla pubblicità, da immagini reperibili nel web e da programmi televisivi tematici.

Paradossalmente è facile notare come, al tempo stesso, l’interesse dei media per i temi della salvaguardia ambientale negli ultimi decenni sia enormemente aumentato. Ci troviamo quindi nella curiosa situazione di batterci per un ambiente di cui i nostri figli avranno una frequentazione occasionale o, nella peggiore delle ipotesi, che non vedranno mai, la cui percezione verrà perlopiù esperita in forma di realtà virtuale, certamente suggestiva dal punto di vista fotografico, ma priva di odori, profumi, umidità e calore.

Gli autori, dopo una breve rassegna di studi a sostegno della loro ipotesi, evidenziano come l’intrattenimento dei bambini sia sempre più delegato ai videogiochi, alla televisione e ai computer e come questa disconnessione dall’ambiente naturale sia nociva ai fini di una conoscenza della natura e dello sviluppo della coscienza su temi ambientali. I bambini familiarizzano con la natura prevalentemente attraverso i media, e tra questi, la filmografia Disney, rappresenta un veicolo ricco di esempi e suggestioni. Tuttavia la ricerca mette in evidenza che negli anni è statisticamente diminuita la biodiversità rappresentata nei film, indipendentemente dall’evoluzione del marketing della casa madre. Accanto ad una riduzione della biodiversità, i film hanno introdotto una maggior quantità di immagini della natura addomesticata, come le ambientazioni rurali, ma soprattutto hanno prevalso le scenografie in ambienti urbani. La causa di questa tendenza, secondo i ricercatori, è da attribuirsi ad un progressivo impoverimento delle cognizioni sulla natura da parte dei registi. Ai fini di questo contributo non è di primaria importanza scoprire le cause di questo fenomeno, immaginiamo, infatti, che anche i produttori e i registi, figli del proprio tempo, risentano della progressiva digitalizzazione della società e che questo elemento possa essere diventato prevalente nel guidare tale cambio di prospettiva. Ciò che invece interessa in questa sede, è puntualizzare la necessità di ripristinare il legame vitale e imprescindibile tra uomo e natura. In che modo?

So bene che è un artificio, al quale come uomo vorrei sottrarmi, tuttavia come studioso, gli strumenti che ho a disposizione rappresentano legami di causa-effetto, una sorta di logica che vorrebbe stare a dimostrare quello che non è dimostrabile o che possiamo solo intuire quando siamo a contatto con Madre Natura: la sua fondamentale unità e l’unità che gli esseri viventi hanno tra loro.

Forse evidenziare questa contraddizione è ancor più importante al fine di comprendere come possiamo godere della natura e quale possa essere la strada per riappropriarci delle sensazioni e delle emozioni che risuonano in lei. Mi appellerò così a techné per sviluppare ulteriori considerazioni, pur cosciente che nella sua pretesa di quantificare il rapporto tra l’uomo e la natura, nulla può fare per addomesticarne la forza, così come il mistero della sua anima.

La psicologia ambientale studia le funzioni e gli adattamenti dell’uomo quando interagisce con la natura e definisce i danni della cognizione quando invece ne veniamo privati. Ciò che possiamo sperimentare con i sensi, per l’esperienza del comune sentire è ritenuto ovvio, mentre da un punto di vista scientifico la pace e la tranquillità che ritroviamo in un bosco, la pienezza del respiro che possiamo percepire, il rilassamento e altri benefici che sentiamo a contatto con questi ambienti, sono diventati oggetto di studio sistematizzato in numerose ricerche e rassegne della letteratura di cui faremo un breve cenno.

Ricercatori dell’università di Stanford hanno preso in esame una corposa rassegna di studi, nella quale esaminano i principali approcci teorici e sperimentali nell’ambito della psicologia della natura: la Stress Reduction Theory (SRT) e la Attention Recovery Theory (ART). Entrambe affermano che l’esposizione a immagini naturali, o l’esposizione diretta ad ambienti naturali, determini diversi effetti positivi su indici psicofisiologici, funzioni cognitive ed esecutive, nondimeno sull’umore, attraverso meccanismi di adattamento sia inconsci che consci, a differenza di quanto avviene, invece, dopo esposizione ad ambienti urbani, con poco o del tutto privi di verde.

Uno studio (2) del 2012, realizzato presso il dipartimento di Psicologia dell’Università del Kansas, metodologicamente afferente alla ART, dimostra che alcune funzioni esecutive, come l’attenzione diretta, la focalizzazione e la concentrazione in un gruppo di escursionisti, risentono di incrementi di efficienza dopo quattro giorni di immersione nella natura e di disconnessione da ogni device. Lo studio non indaga funzioni esecutive superiori, come il problem solving, ma non esclude che anche in questi ambiti della cognizione possano verificarsi miglioramenti di prestazione. Suggerisce, inoltre, che possa esistere una relazione inversa tra esposizione all’ambiente naturale e disconnessione dai device, nel determinare i miglioramenti nell’ambito dell’attenzione diretta.

La prevalenza di orizzonti aperti, come possiamo vedere in riva al mare o sopra un costone che ne contempli l’ampiezza; di linee curve, di ampie macchie di colori uniformi o lentamente degradanti in tonalità vicine, come anche di configurazioni frattali dei vari elementi della natura che possiamo osservare ad uno sguardo più attento, possiedono un effetto potentemente rilassante, ben diverso dagli effetti che possiamo incontrare a fronte della percezione di linee spezzate o verticali, sovrapposizioni rapide e continue tra figura e sfondo, che necessitano di repentini accomodamenti della profondità della visione e di focalizzazioni dell’attenzione su target frequentemente mutevoli. Sembrerebbe che, nel corso dell’adattamento evoluzionistico dell’uomo, tale propensione ad esercitare la vista di fronte alla naturale conformazione geologica dell’ambiente, abbia favorito l’orientamento, il controllo dello spazio e l’abilità nella caccia e quindi la sopravvivenza.

Ma non solo la vista gode delle manifestazioni della natura, è stato infatti ripetutamente dimostrato che suoni come il vento, l’acqua che scorre o i versi degli animali, sono preferiti all’orecchio umano ai suoni di origine antropica, mentre un maggior ristoro generale deriva dai suoni provenienti da ambienti naturali e rurali o da ciò che possiamo udire all’interno di un giardino botanico. In sintesi l’assimilazione fisiologica degli effetti multisensoriali dovuti all’esposizione alla natura avviene per l’azione, perlopiù inconsapevole, di tutti i sensi, come confermano i risultati di una review australiana del 2017 (3). È stato, per esempio, dimostrato che ascoltare il canto degli uccelli ha un effetto diretto sul recupero della conduttanza della pelle, un indice normalmente utilizzato nella misurazione sperimentale dello stress. Allo stesso modo, in queste condizioni, sono stati rilevati effetti di riduzione delle concentrazioni di cortisolo salivare e della frequenza cardiaca.

Gli effetti benefici che possiamo trarre dallo stare in natura sono molteplici e ampiamente documentati, mentre gli ambiti del disagio e della malattia ai quali potrebbero applicarsi i percorsi di cura ed educazione in natura non pongono limitazioni o controindicazioni, come suggeriscono le ricerche (4, 5, 6, 7, 8). In questa sede vorremmo incoraggiare inoltre alcune direzioni che possono scaturire da questi risultati.

Mi riferisco in particolare alla situazione sociosanitaria che stiamo vivendo, rispetto alla quale molti genitori hanno operato la dolorosa scelta di ritirare i propri figli dalla scuola pubblica e organizzare autonomamente percorsi di educazione parentale. Se tale soluzione da un lato ha rappresentato un vero e proprio lutto, a causa dell’abbandono della scuola tradizionale e delle consuetudini che ognuno di noi ha maturato nel corso della propria formazione scolastica, in un altro senso ha favorito nuove dimensioni di partecipazione e apprendimento per le famiglie e per i bambini. Le diverse forme di scuola parentale prevedono, infatti, nuove possibilità di aggregazione tra diverse famiglie di homeschoolers e, soprattutto, percorsi di educazione all’aria aperta — nei parchi pubblici, nei giardini, nei boschi, in riva ai fiumi, al lago o al mare — che consentono ai bambini di modificare l’esperienza dell’apprendimento, integrandola all’oggetto principale della conoscenza stessa: il rapporto tra uomo e ambiente. A ben vedere tutto il nostro percorso di conoscenza, nel corso della vita, è sintetizzato nella capacità di cogliere, esperire, misurare nei modi più disparati e praticare questo rapporto di adattamento, anche quando si svolge in contesti urbanizzati. Oltre a questa evidenza, l’apprendimento in natura favorisce implicitamente ulteriori elementi che travalicano il semplice rapporto tra uomo e ambiente, mi riferisco alla dimensione della percezione del tempo cronologico, alla spiritualità e alla trascendenza, che maturano dall’immersione del bambino nei cicli delle stagioni e dalla contemplazione del mondo e delle sue trasformazioni. È possibile intravedere in questi elementi, fattori di potente prevenzione psicologica e benessere per il futuro dei nostri figli.

Anche nel campo dell’outdoor education sono numerosi gli studi che ne attestano l’efficacia, evidenziando risultati positivi nelle dimensioni della salute fisica, psicologica, sociale e degli apprendimenti (9). Senza addentrarci nell’ambito dei vantaggi diretti alla salute generale, basti dire che la pratica dell’educazione in natura contrasta efficacemente problemi che potrebbero presentarsi in età pediatrica come obesità, diabete, deficit dell’attenzione e iperattività, malattie da carenza di Vitamina D, asma, problemi respiratori e malattie stagionali (10).

Come rivela uno studio condotto su un gruppo di bambini dai 9 agli 11 anni e sui loro docenti (11), gli effetti benefici dell’apprendimento all’aperto si espandono a 360 gradi, sia sul benessere che sulle competenze degli alunni, ma anche sulla salute e sul benessere degli insegnanti, che a loro volta beneficiano dell’abbattimento dei confini fisici, in cui vengono generalmente condotti l’insegnamento e la pratica curriculare: la natura diventa il grande laboratorio sperimentale delle teorie trasmesse e apprese. L’outdoor education rappresenta così una nuova strategia di comunità, implementa l’assimilazione della conoscenza integrandola nel suo contesto di laboratorio naturale

In tempi in cui la permanenza all’interno di una classe potrebbe diventare penosa, sia per il poco tempo dedicato al movimento sia per le stringenti norme introdotte a scuola, l’outdoor education rappresenta una valida alternativa “all’asfissia” che l’attuale contesto della “classe chiusa” impone ai bambini. Allora, in contrasto a tutto ciò, la natura si fa ancora madre, protegge e si presta ad accogliere la crescita e l’educazione dei nostri piccoli, ne informa le menti e i sensi, promuovendo l’autonomia e l’orientamento nelle scelte e nel mondo, definisce e conferisce misura alla dimensione dell’umano, mette alla prova il connaturato senso di onnipotenza dei bambini e commisura le loro potenzialità, esprimendole nell’esplorazione della realtà, nell’immedesimazione e nell’avventura. Buona passeggiata a tutti.

Bibliografia

1) Prévot-Julliard AC, Julliard R, Clayton S. Historical evidence for nature disconnection in a 70-year time series of Disney animated films. Public Underst Sci. 2015 Aug;24(6):672–80. doi: 10.1177/0963662513519042. Epub 2014 Feb 10. PMID: 24519887.

2) Atchley RA, Strayer DL, Atchley P. Creativity in the wild: improving creative reasoning through immersion in natural settings. PLoS One. 2012;7(12):e51474. doi: 10.1371/journal.pone.0051474. Epub 2012 Dec 12. PMID: 23251547; PMCID: PMC3520840

3) Franco LS, Shanahan DF, Fuller RA. A Review of the Benefits of Nature Experiences: More Than Meets the Eye. Int J Environ Res Public Health. 2017 Aug 1;14(8):864. doi: 10.3390/ijerph14080864. PMID: 28763021; PMCID: PMC5580568.

4) Picton C, Fernandez R, Moxham L, Patterson CF. Experiences of outdoor nature-based therapeutic recreation programs for persons with a mental illness: a qualitative systematic review. JBI Evid Synth. 2020 Sep;18(9):1820–1869. doi: 10.11124/JBISRIR-D-19–00263. PMID: 32813402.

5) Freeman C, Waters DL, Buttery Y, van Heezik Y. The impacts of ageing on connection to nature: the varied responses of older adults. Health Place. 2019 Mar;56:24–33. doi: 10.1016/j.healthplace.2019.01.010. Epub 2019 Jan 25. PMID: 30690279.

6) Corazon SS, Sidenius U, Poulsen DV, Gramkow MC, Stigsdotter UK. Psycho-Physiological Stress Recovery in Outdoor Nature-Based Interventions: A Systematic Review of the Past Eight Years of Research. Int J Environ Res Public Health. 2019 May 16;16(10):1711. doi: 10.3390/ijerph16101711. PMID: 31100773; PMCID: PMC6572302.

7) Bratman GN, Anderson CB, Berman MG, Cochran B, de Vries S, Flanders J, Folke C, Frumkin H, Gross JJ, Hartig T, Kahn PH Jr, Kuo M, Lawler JJ, Levin PS, Lindahl T, Meyer-Lindenberg A, Mitchell R, Ouyang Z, Roe J, Scarlett L, Smith JR, van den Bosch M, Wheeler BW, White MP, Zheng H, Daily GC. Nature and mental health: An ecosystem service perspective. Sci Adv. 2019 Jul 24;5(7):eaax0903. doi: 10.1126/sciadv.aax0903. PMID: 31355340; PMCID: PMC6656547.

8) Emami E, Amini R, Motalebi G. The effect of nature as positive distractibility on the Healing Process of Patients with cancer in therapeutic settings. Complement Ther Clin Pract. 2018 Aug;32:70–73. doi: 10.1016/j.ctcp.2018.05.005. Epub 2018 May 24. PMID: 30057062.

9) Becker C, Lauterbach G, Spengler S, Dettweiler U, Mess F. Effects of Regular Classes in Outdoor Education Settings: A Systematic Review on Students’ Learning, Social and Health Dimensions. Int J Environ Res Public Health. 2017 May 5;14(5):485. doi: 10.3390/ijerph14050485. PMID: 28475167; PMCID: PMC5451936.

10) McCurdy LE, Winterbottom KE, Mehta SS, Roberts JR. Using nature and outdoor activity to improve children’s health. Curr Probl Pediatr Adolesc Health Care. 2010 May;40(5):102–17. doi: 10.1016/j.cppeds.2010.02.003. Erratum in: Curr Probl Pediatr Adolesc Health Care. 2010 Jul;40(6):152. PMID: 20381783.

11) Marchant E, Todd C, Cooksey R, Dredge S, Jones H, Reynolds D, Stratton G, Dwyer R, Lyons R, Brophy S. Curriculum-based outdoor learning for children aged 9–11: A qualitative analysis of pupils’ and teachers’ views. PLoS One. 2019 May 31;14(5):e0212242. doi: 10.1371/journal.pone.0212242. PMID: 31150409; PMCID: PMC6544203.

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Alessandro Campailla
LaTI® — Laboratorio Teatro d’Impresa

Psicologo, psicoterapeuta e fisioterapista. I miei campi di studio sono: il rapporto mente-corpo-società, nel suo sviluppo storico e in relazione alla clinica