Ricerca libera: araba fenice

Part 1|Part 2

[…] La scienza fa domande non dà risposte, affinché il gioco scienza non abbia (n.d.r.) mai fine. La scienza, in altre parole fa delle proposte che vengono buttate nell’agone della discussione, c’è quindi una forte componente di dubbio nell’ipotesi scientifica. Quando invece alla scienza viene dato un ruolo politico c’è una verità scientifica che diventa “la” verità scientifica e questo diventa pericolosissimo perché non si distingue più la scienza, dalla religione o dal dogma . (Ugo Mattei) (1)

Introduzione

La particolare situazione di “infodemia” che si è verificata a seguito dell’infezione da Sars-Cov-2, ha sottoposto i più alla sovrabbondanza di informazioni sia scientifiche che di cronaca, il cui impatto, talvolta accidentale, relativo all’enormità di fonti non sempre attendibili sulle cause, sull’origine, sulle congetture o più precisamente sulle ipotesi e infine, sugli effetti del virus, ha richiesto e richiede notevole impegno critico e preparazione non sempre disponibile e aggiornata a diversi profili tecnici. Qualora non si appartenga alla categoria medica e in particolare a quella dei virologi, degli anestesisti o specialisti vicini al fenomeno, diventa molto difficile orientarsi e districarsi nella molteplicità di informazione, spesso contraddittoria, che ha caratterizzato e ancora definisce questa situazione.

Questo contributo procede in due direzioni principali: per un verso si proverà a portare l’attenzione, secondo lo sguardo che caratterizza le mie professioni di psicologo, psicoterapeuta e fisioterapista, su alcuni aspetti metodologici della ricerca scientifica, che valgono per tutte le scienze indistintamente. In un altro senso si intende sensibilizzare il lettore all’osservazione degli interessi che ruotano attorno all’editoria e all’informazione scientifica e come queste stiano diventando il veicolo delle scelte politiche rispetto alla salute e dell’adesione acritica a queste, in diversi ambiti del quotidiano, da parte delle masse (Chomsky, 2014) (4). Il Covid-19, oltre ai danni che ha provocato, ha tuttavia avuto la capacità di sensibilizzare il grande pubblico sugli enormi campi di interesse economico, pubblici e privati, che ruotano intorno al “business della salute”. A tale evidenza si associa la constatazione che l’influenza di questi interessi si estende all’ambito dell’educazione di ampi strati di popolazione, formale e informale, a partire dai primi gradi della formazione primaria. Sarebbe ingenuo eludere l’evidenza che tali processi non siano pianificati sulla base del profitto e di come la macchina dell’informazione e della divulgazione scientifica sia spesso allineata a tali scopi. In conclusione, a partire da queste premesse, si cercherà di riportare gli esempi citati e le considerazioni al campo della ricerca in psicologia al fine di stimolare una discussione e un dibattito sui processi di “osservazione” che ognuno di noi può mettere in gioco nel quotidiano lavoro clinico.

Infodemia

Neologismo che identifica la condizione appena descritta, secondo la definizione accettata anche dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), corrisponde a quella particolare situazione di flusso informativo in cui si verifica la circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili (Voc. Treccani) (2). Di conseguenza i vari organismi scientifici mondiali raccomandano di riferirsi alle sole fonti ufficiali, distinguendo quelle non ufficiali come foriere di fake news.

Qui sorge un primo problema di ordine etico, filosofico ed epistemologico: il termine infodemia è stato coniato ad hoc dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) in risposta alla dilagante circolazione di notizie false (3), descrivendo la condizione di saturazione di informazione, eventualmente distorta, data in pasto alle masse. In tal modo l’OMS si autoproclama implicitamente quale voce di verità e di fonte attendibile. Il secondo problema, conseguenza del primo riguarda proprio la liceità dell’autolegittimazione: qual è la fonte che può dirsi “da sé” più vera di un altra?

L’attualità e le ricerche suggeriscono che tali dubbi si potrebbero riferire proprio all’affidabilità delle notizie provenienti da riviste e istituti scientifici “accreditati”. Soprattutto diventa necessario studiare la collusione tra informazione, divulgazione scientifica e interessi economici delle case farmaceutiche, spesso monopolistici e distribuiti su un ampio strato di attori privati e pubblici e ciò rende ossimoro il concetto di “verità fondata” su dati certi, al contrario di quello che l’OMS e i vari istituti direttamente o indirettamente legati a questo organismo vorrebbero far credere .

In ambito scientifico tra le diverse fonti dei dati e dell’informazione scientifica, la pubblicazione di studi peer review è certamente uno dei dispositivi di diffusione dei risultati sperimentali più collaudati e attendibili. La consistenza e la validità di questi studi viene valutata da giudici che dovrebbero essere autonomi e indipendenti. Una seconda fonte è rappresentata dalla stampa di informazione specialistica o divulgativa, un terzo livello, ancora, è rappresentato dalla cronaca. Ognuno di questi tre livelli dovrebbe avere funzioni specifiche e differente autorevolezza nell’esporre i propri risultati e le proprie informazioni, ma come abbiamo visto in questi mesi, organismi gerarchicamente assoggettati ed economicamente dipendenti da finanziatori privati risultano essere oggetto di manipolazione e controllo monopolistico. Un esempio “di casa nostra” è rappresentato dai grandi gruppi monopolistici (per es. GEDI, Mondadori, Cairo ed.), appartenenti a grandi famiglie imprenditoriali, che detengono la maggioranza delle testate giornalistiche di larga diffusione. Nonostante ciò il segmento dell’informazione che è divenuto strategico ed egemone è certamente il web. Nel senso comune Internet ha sostituito la televisione nel dettare l’assunto della verità.

Verità e ricerca

Il concetto filosofico di “verità” identifica senza alcun dubbio un campo di notevole interesse speculativo, soprattutto in psicologia, nondimeno in questa sede non si intende indagare chi decide cosa sia verità e cosa non lo sia. Cosa rimane al tecnico che vorrebbe districarsi in tale nugolo di informazioni? Innanzitutto l’accesso alle fonti, che rimane il passo preliminare ad ogni ricerca o alla formazione di un’idea o un’opinione. Se ci riferiamo alla categoria professionale a cui appartengo, quella degli psicologi, si dirà che questo lo si fa e non vi è dubbio sul fatto che gli psicologi e gli psicoterapeuti coscienziosi siano abituati, forse più che altri professionisti, a processare enormi masse di dati e osservazioni in campo specialistico, proprio per il fatto che la nostra scienza, così giovane, non possiede teorie unificanti alle quali affidarsi. La costruzione di solidi indirizzi scientifici o grandi leggi, deve ancora passare attraverso diversi tentativi di falsificazione, perlomeno se paragoniamo la psicologia alle cosiddette “scienze dure”.

Non possediamo una Relatività Generale e le stesse teorie basate sulla clinica, come la psicoanalisi, hanno iniziato solo da pochi anni un lento processo di validazione di osservazioni e studi clinici su base statistica e inferenziale, che tuttavia non è ancora possibile fondare sui postulati, ancora in attesa di convergenze e verifiche teoretiche definitive, provenienti per esempio da grandi teorie unificanti come la PNEI (Psico-neuro-endocrino-immunologia).

La scienza comportamentale di Skinneriana memoria sembrava franata sotto il peso della ricerca empirica. Sulla base del meccanismo riflesso si è limitata alla teoria probabilistica dell’emergere di comportamenti e all’affermazione di una logica nel senso della tautologia, ponendo a principio il fatto che le proprie congetture e le proprie conclusioni avrebbero sicuramente trovato verifica nel futuro a livello di osservazione; insistendo, quindi, sulla necessità a priori che l’indagine scientifica avrebbe dovuto giungere a una determinata conclusione stabilita in anticipo (Chomsky, 1971) (5): nemmeno Freud aveva osato tanto nel suo intento, spesso discusso, di fondare una scienza nuova. Quindi se la psicoanalisi possiamo ancor oggi considerarla “un’arte” in attesa di un dispositivo di ricerca maggiormente consolidato che ne porti a verifica il risultato, la seconda dovrebbe appartenere, con buona pace di tutti, alla “notte della psicologia” (Damasio, 1995) (6). Purtroppo tale auspicio rischia di infrangersi sotto i colpi assestati da una certa ingegneria sociale o programmazione comportamentale degli usi e delle abitudini all’idea di relazione, comunicazione, apprendimento, movimento umano, salute e scambio sociale, che fino ad oggi nel bene e nel male abbiamo condiviso con il nostro prossimo e con le istituzioni. L’obiettivo è evidente ed è quello di trasformare il prossimo, la prossimità, il contatto, istanze che coltivano l’innata vitalità dell’essere umano, nel loro esatto contrario.

L’identità scientifica della psicologia

Oltre agli orientamenti di carattere generale, altri atti possono essere integrati al fine di formarsi un’opinione sul flusso enorme di informazione e costruire orientamenti di ricerca, il primo dei quali è la registrazione di un agire scientifico nel quotidiano, a dispetto di chi vorrebbe liquidare le professioni di cura, soprattutto la psicologia, come attività lontane da una tale direzione, disegnando in tal caso scenari diversi e quanto mai fastidiosi. Accomunando in un’unica categoria tecnica il medico, lo psicologo e in generale chi svolge una professione di cura, assistiamo, oggi più che mai, ad atteggiamenti che oscillano dalla demonizzazione, alla svalutazione, all’idealizzazione, finanche anzi molto più spesso, allo sfruttamento del lavoro e dell’ingegno di tanti professionisti, soprattutto nel campo in cui opero. Al tempo stesso, differenziando e specializzando le professioni in senso estremo, si radicalizza l’incomunicabilità del linguaggio scientifico, l’esercizio del controllo burocratico della cura e la manipolazione dell’operato dei tecnici.

“È normale!” si dirà, banalizzando…la scienza medica, le scienze psicologiche e sociali, sono scienze empiriche in continua trasformazione, le cui evoluzioni particolari soggiacciono a regole instabili e a contesti multifattoriali”. “È vero!…aggiungiamo in questa sede”, e per quanto la scienza medica sia molto più antica della scienza sociale e psicologica, sia le rivoluzioni scientifiche (Kuhn, 1962) (7) sia le epidemie, sopraggiungono di tanto in tanto ad attaccarne la “credibilità”, ma da questi attacchi il dispositivo scientifico ha sempre trovato, il più delle volte, strategie, spiegazioni e qualche volta nuovi modelli teorici, anche con l’aiuto della natura, per risultare efficace a contrastare gli effetti di molte malattie e promuovere avanzamento.

Per le scienze psicologiche e sociali, il discorso si fa diverso: la sociologia, l’antropologia, l’etologia e la psicologia clinica sanciscono i loro atti di nascita a partire dalla seconda metà dell’ottocento per opera del lavoro di gradi personalità scientifiche, come Marx, Tylor e a seguire Weber, Durkheim e Freud, quasi parallelamente all’enorme sviluppo che la Teoria dell’Evoluzione e il positivismo avevano dato alla nuova scienza. Nonostante questi primi impulsi creativi e speculativi, molti di questi orientamenti vengono poi assorbiti nell’esplosione tecnico-scientifica e politico-sociale del Novecento, che moltiplica gli esperimenti in questi ambiti, senza tuttavia giungere a formulazioni organiche e unitarie, eccezion fatta per i totalitarismi in campo politico, con le conseguenze che la storia ci ha consegnato. Non solo l’elevato numero di correnti e la tradizionale natura dicotomica dell’opposizione tra “psicologi filosofi” e “psicologi scientisti, schematizzata nei filoni psicofisiologico e introspettivo (Ossicini, 2008) (8), ma soprattutto l’enorme variabilità dei fatti in osservazione e i numerosi contesti di produzione degli esperimenti, non sempre ecologicamente validi, hanno permesso fino ad oggi una linea di discussione agevole tra le varie correnti della psicologia e una maturazione organica della disciplina.

Prendiamo ad esempio la Teoria dell’Attaccamento di John Bowlby. Questa si presenta, secondo la classificazione di Bunge (1973) (9), come una teoria generica semi-interpretata, e cioè una teoria di terzo tipo, all’interno dei tre tipi generali definiti dall’autore. Questa notevole costruzione teorica, dal punto di vista metodologico, può essere verificata solo concettualmente, ma non empiricamente (avete mai osservato nel corso dell’attività clinica, ma non solo, un attaccamento definito sicuro?), a meno di essere specificata in una teoria generica di secondo tipo, più generale, come in effetti questa fa avvalendosi di campi sperimentali e di osservazione più robusti, quali l’evoluzionismo e l’etologia; al tempo stesso stabilisce procedure che facilitano il legame con teorie o modelli specifici di primo livello, per esempio nel momento in cui osserva e “fissa” alcuni pattern di attaccamento specifici. Lo sviluppo della teoria, tuttavia, ha moltiplicato i pattern, in ragione di osservazioni più dettagliate (Crittenden, 2008) (10), esponendo la teoria originaria ad una fluttuazione di identità tra modello o teoria specifica e teoria generica. Potremmo dire che la Teoria dell’Attaccamento si trova in un momento di transito verso l’obiettivo ambizioso di diventare una grande teoria unificatrice in ambito psicologico ed evoluzionistico, ma al momento questo traguardo non è ancora concluso.

Obiettivi di questo contributo

Lo scopo di questo contributo è quello di sensibilizzare l’opinione dei colleghi sul fatto che ogni atto terapeutico o professionale si inscrive assiduamente in un contesto di ricerca, in accordo e ottemperanza degli articoli 3; 5; 7, ma anche 8 del CDPI (Codice Deontologico degli Psicologi Italiani). Purtroppo, a tale contesto spesso mancano le indicazioni e le coordinate per potersi orientare spazialmente e temporalmente, con la conseguenza di impedire ai professionisti di scrivere la storia di tali atti, se non in forme declinate in senso teorico particolare, quando non proprio personale-individuale. Poco male! La personalizzazione degli atti, della loro registrazione e del loro ritorno alla teoria (Semi, 1992) (11) è certamente un aspetto del lavoro e nella ricchezza di linguaggi che mostra è sempre una grande opportunità.

Il problema che si solleva imponente oggi dal contesto “infodemico”, riguarda la manipolazione dell’informazione a scopi economico-politici e, nonostante l’attenzione che possiamo mettere in campo, può indurre ad una deformazione e “inobiettività” del giudizio critico-scientifico dei professionisti della salute, nessuno escluso. Può inoltre avvallare “pratiche culturalmente accettate”, lesive dell’identità e del decoro professionale e individuale, sotto la pressione della dilagante spinta alla “conformità” e alla normatività giuridica di comportamenti definiti di prevenzione o profilassi, quali per esempio l’obbligo vaccinale contro i virus influenzali o contro lo stesso Covid-19, in realtà non ancora sostenuti sufficientemente dal punto di vista scientifico e sperimentale. Il contesto di dilagante crisi economica, radicalizza i dubbi, e fomenta dicotomie profonde: mette in guardia molti da un’eventuale abuso del potere sanitario, fidelizza altrettanti nell’attesa di una soluzione farmacologica definitiva alla paura del contagio.

Uno dei luoghi comuni più abusati in questo periodo recita, un po’ provocatoriamente, che alla fine di questo lockdown ci sarà bisogno soprattutto di avvocati e psicologi, i primi per accompagnare le cause di separazione delle coppie che sono entrate in crisi, i secondi per curare le ferite causate dall’isolamento sociale. È inutile una disamina di tale inesattezza, dal momento che tutto ciò prevedrebbe una società benestante che disponga di generose risorse economiche sia individuali che familiari. Il panorama che sta emergendo in questi giorni, parla invece di avvocati schierati per la difesa dei diritti e contro gli abusi sfrontati del potere e psicologi che lottano per la difesa delle conquiste dell’evoluzione umana.

Questi e altri fattori insistono sulla radicalizzazione del disagio sociale e sull’insistente senso di tradimento da parte delle istituzioni. Inoltre non è certo un mistero che le politiche istituzionali non seguano la direzione del potenziamento delle cure psicologiche e preventive in ambito pubblico, quanto invece una continua precarizzazione, diradamento e sfruttamento dei professionisti psicologi e psicoterapeuti, al punto che l’identità e l’operatività, della professione in tali contesti risulta spesso indirizzata, quando non proprio forzata, a scopi non sempre coerenti con la tecnica della cura e di una vera prevenzione, ma più inclini al versante organizzativo, normativo e dirigenziale, con relativo sovraccarico burocratico.

Part 2

Bibliografia

1. http://commonware.org/index.php/neetwork/930-cittadino-consumatore-e-cittadino-paziente

2. http://www.treccani.it/vocabolario/infodemia_%28Neologismi%29/

3. https://www.ilriformista.it/cosa-e-linfodemia-il-nuovo-termine-coniato-dalloms-43723/

4. Chomsky N. , Herman E. S. (2014). La fabbrica del consenso, la politica e i mass-media. Il Saggiatore, Milano.

5. Chomsky N. (1971). Psicologia e Ideologia. In Basaglia F.; Ongaro Basaglia F. (1975). Crimini di pace. Ricerche sugli intellettuali e sui tecnici come addetti all’oppressione, A cura di, Baldini e Castoldi ed., Milano (Ed.2013).

6. Damasio A. (1995). L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano. Adelphi, Milano (ed. it., 2007)

7. Kuhn T. (1962). La struttura delle rivoluzioni scientifiche. Einaudi, Milano

8. Ossicini A. (2008). La rivoluzione della psicologia. Borla, Roma.

9. Bunge M. (1973). Testability today, in Bunge M (a cura di), Method, model and matter. D. Reidel, Dordretcht, Holland, in Robert M. (1984).

10. Crittenden P. (2008). Il modello dinamico-maturativo dell’attaccamento. Raffaello Cortina Ed., Milano.

11. Semi A.A. (1992). Dal colloquio alla teoria. Raffaello Cortina Ed., Milano

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Alessandro Campailla
LaTI® — Laboratorio Teatro d’Impresa

Psicologo, psicoterapeuta e fisioterapista. I miei campi di studio sono: il rapporto mente-corpo-società, nel suo sviluppo storico e in relazione alla clinica