13 Reasons Why — Il romanticismo della disperazione e l’amore del ricordo

Il nuovo teen-drama made in Netflix cala un poker d’assi sui temi più bollenti dell’adolescenza: amore, bullismo e affermazione di sé. Viaggio doloroso tra le scelte che facciamo e le relative conseguenze.

Enrico Del Bianco
La Caduta 2016–18

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Hannah Baker, 17 anni, si è trasferita da poco a Crestmont: nuova arrivata alla Liberty High School, non è popolare come una cheerleader, ma non è nemmeno invisibile. Ha appena cominciato ad ambientarsi e fare amicizia quando un pettegolezzo da poco innesca una catena di eventi che, uno dopo l’altro, la feriscono e le mettono tutti contro: Hannah diventa una troia per tutta la scuola, e giorno per giorno la sua vita diventa un inferno. Non è così però che viene raccontata la storia della vita di Hannah Baker: la storia di questa ragazzina viene raccontata partendo dal suo suicidio.

«Everybody loves you when you’re six feet in the ground» — John Lennon

Pochi giorni dopo la tragedia, Clay, amico di Hannah e segretamente innamorato di lei, riceve una scatola con 7 cassette al suo interno: da un vecchio stereo, la voce di Hannah rivela che le cassette contengono le 13 ragioni del gesto estremo — e che, se le stai ascoltando, sei una di quelle ragioni. Cassetta dopo cassetta, Clay si promette di andare in fondo alla storia e di vendicare Hannah a ogni costo, pure se il prezzo sarà quello di rivelare tutti i segreti contenuti nei nastri — mentre ovviamente i protagonisti dei 13 racconti proveranno a fermarlo in ogni modo. Questa, in breve, è la storia: ora, evitando spoiler, è bene parlare dei vari temi sollevati da 13RW e delle critiche ricevute.

«My father has some tapes… Erm… Ultravox… Duran… Duran?»

Cominciamo dalla colonna sonora. La OST di 13RW è esattamente quello che la soundtrack di una serie dovrebbe essere: la canzone perfetta, al momento giusto. Si inserisce inoltre in quello che, da qualche anno ormai, si pone come un revival della musica anni ’80 — ma qui non siamo in Drive o in Stranger Things, e la musica ha senso perché si ricollega alla cassetta, mezzo completamente anacronistico e altamente romantico a cui Hannah decide di affidare la memoria del suo suicidio. Joy Division, The Cure, Ultravox, Echo and the bunnymen si inseriscono con nonchalance in mezzo al panorama musicale contemporaneo — perché in fondo parliamo di ragazzi nati nel 2000, che si trovano più a loro agio con Woodkid, Vance Joy, i Chromatics a rifare Neil Young ed i Lord Huron magicamente in repeat per una decina di volte nella stessa puntata — e fanno da perfetta colonna sonora ai ricordi dolceamari di Clay, che rivive la sua storia con Hannah cassetta dopo cassetta.

Una delle peggiori critiche ricevute, invece, è quella che accusa 13 reasons why di glamourizzare” il suicidio: spero che finita la serie tutti si rendano conto che non è giusto pensare una cosa del genere. Finalmente possiamo assistere ad un suicidio che invece di presentarsi come una vergognosa sconfitta si pone come una tremenda vittoria: Hannah la farà pagare a tutti e il suo diario sarà una perenne maledizione per i colpevoli. La sua scelta è la dimostrazione perfetta di ciò che Sartre intendeva con “L’inferno sono gli altri”: dopo che il mondo le ha impedito botta dopo botta di essere soggetto in sé e per sé, relegandola ad oggetto delle azioni e delle intenzioni degli altri, e legandola imprescindibilmente ad essere ciò che è considerata — è solo togliendosela che Hannah può riprendere in mano la sua vita. Può sembrare un paradosso… Però il fatto che lo si percepisca come tale è un buon segno. Perché, al momento di vederlo in atto, non è possibile definire il suicido di Hannah una vittoria: è una cosa sbagliata, terrificante, e non merita nessuna gloria — la regia, qui chiarissima, non ha voluto usare nessun filtro. Hannah è stata distrutta, ma ha scelto la strada più facile: ha scelto di andarsene e porre fine al dolore. La strada più difficile, invece, è quella di accettare il dolore: lasciare che faccia il suo corso e poi vederlo trasformarsi in amore. Non verso chi ha provato a farci scomparire, no di certo: loro meritano di soffrire le pene dell’inferno e sarà compito nostro assicurarcene. Parlo di amore verso sé stessi: Hannah con la sua scelta ha caricato il suo dolore sulle spalle di tutti, amici e nemici, in un gesto violento ed egoista quanto quelli da lei subiti. Arrendendosi, i colpevoli non espieranno mai le loro colpe, e il dolore più grande ricadrà su chi invece di odiarla, Hannah la amava.

Uno dei punti focali della serie, è che probabilmente conosciamo tutti un Bryce, un Justin, una Courtney, un Alex, una Sheri, un Tyler, un Marcus e un Ryan: ognuno di questi ragazzi è un essere umano coi suoi difetti e coi suoi pregi, e la maggior parte di loro non aveva davvero intenzione di fare così tanto male ad Hannah. Molti di loro non sono bastardi senza cuore (ho detto molti, non tutti), ma hanno solo scelto la strada più comoda: quella del fare gruppo o quella dell’ indifferenza — l’episodio di Sheri ne sia testimone. E Justin e Courtney, così soli e bisognosi d’amore, non sono così tanto diversi da Hannah: la loro colpa è quella di innescare e di rinforzare una catena di eventi. E anche se è facile individuare la catena e contare gli anelli come ha fatto Hannah, sta di fatto che è il mondo attorno a permettere certe catene. Un altro argomento che la serie urge ad affrontare, infatti, è il modo in cui si comportano gli adulti intorno: la madre di Clay più che aiutarlo vorrebbe tenerlo sotto controllo (il suggerimento di riprendere con gli antidepressivi non è così amorevole come sembra), il padre di Alex non riesce ad accettare la sua omosessualità, i genitori di Bryce non gli hanno mai detto no, la madre di Justin non riesce a proteggerlo, la mamma-tigre di Zach non gli permette di essere sé stesso, Mr. Porter non riesce a svolgere il suo compito di consulente per ragazzi, e il preside Bolan è obbligato dal sistema a pensare solo ai finanziamenti statali e ad evitare che la scuola scenda in classifica (la dottrina Bolan per ogni tragedia è appendere qualche cartello per la scuola e obbligare gli insegnanti a qualche corso apposito)… Ultimi, ma non per importanza, i genitori di Hannah, impegnati così tanto nel pensare al futuro prossimo da ignorare completamente il presente, loro e della figlia. Saranno loro a subire il colpo più forte da questa catena, trovandosi senza risposte dopo non aver posto abbastanza domande. Questo articolo su come non essere i prossimi genitori Baker, prova ad affrontare l’argomento a cuore aperto:

«Quello che mi ha più colpito è che per tredici episodi Hannah non si rivolge mai ai suoi genitori per chiedere compassione o aiuto. Nemmeno una volta. E lo stesso vale per il resto dei ragazzi e dei loro genitori. […] La ragione per cui parlavo con i miei genitori dei problemi più imbarazzanti e dolorosi della mia adolescenza è solo una: sono loro ad avermi detto che potevo farlo, più e più volte.[…] Quando andavo dai miei genitori con qualche domanda, ricevevo risposte oneste. E quando chiedevo loro aiuto, loro mi aiutavano, per davvero.[…] (Un giorno) Mio padre si è girato verso di me e mi ha detto “Voglio sempre sapere come va per te e tuo fratello, e voglio che sappiate che potete parlarmi di qualsiasi cosa. Io e tua madre siamo qui per aiutarvi con la vostra vita e non c’è nulla di troppo imbarazzante o sbagliato di cui non possiamo parlare.” […] Quando avevo diciassette anni e decisi di fare sesso con il mio ragazzo, ne volli parlare con i miei genitori prima di farlo. […] Non volevo che venissero a sapere che ero sessualmente attiva solo quando fossi dovuta correre da loro perché ero incinta oppure perché avevo beccato qualcosa.»

I genitori di Hannah le vogliono un bene sincero, ma lei sente di essere solo un ennesimo peso per loro, e non vuole che stiano male: pensa di potercela fare da sola, ma è solo una ragazzina. Ed i genitori di Hannah sono presenti *fisicamente* per lei, ma hanno così tanti problemi da non riuscire a distinguerli da quelli di cui si dovrebbero occupare veramente… Perché è importante chiedere aiuto, ma ancora più importante è sapere che le persone a cui lo chiedi saranno lì per dartelo: e quando ci si sente di non poter ricevere aiuto da nessuno, nemmeno dai propri genitori, è lì che ci si sente davvero persi.

La serie si muove per flash-back: i passaggi dal passato al presente sono evidenziati da una cambio di tonalità nelle riprese (calde e brillanti per quando Hannah è ancora viva, fredde dopo la sua morte), ma soprattutto dalla ferita in fronte di Clay, di volta in volta coperta e riaperta — e impossibile da rimarginare prima della soluzione del misfatto. Le inquadrature e le ambientazioni passano anche per certe ingenuità (lo scambio back&forth di inquadratura tra Hannah e Clay al prom fa abbastanza ridere), ma i dialoghi sono vivi e ben costruiti per essere un teen drama e la storia non necessita di particolari effetti speciali per funzionare.

13 Reasons why è una tragedia greca, in cui la lotta tra bene e male, invece che piatta e bipolare, è sferica e discutibile — e porta con sé una morale importante: tutto ciò che fai ha una reazione, sii cosciente e pesa i tuoi passi. E assieme a BoJack Horseman (e poche altre) si rivela una delle serie tv più impegnative e ricompensanti degli ultimi anni, nel comune impegno di aprire gli occhi su certe storture delle nostre vite: per questo, e per il clamore e le discussioni che si stanno alzando attorno ad essa, 13RW è una serie che merita di essere vista, analizzata, compresa e ricordata.

«Una delle differenze maggiori riguardo a 13 Reasons è che stiamo trattando il pubblico come giovani adulti, non come adolescenti.» /«Non c’è niente di cortese in questa storia: vogliamo raccontare una storia che farà partire un dibattito.»

Perché se *sulla carta* siamo tutti d’accordo che è importante parlare di bullismo, di suicidio, di depressione — mettendo in discussione la società e le nostre vite — è anche vero che come dice Clay:

La nuova serie, invece di allusioni e chiacchiere da talk-show, porta un esempio concreto di cosa succede se si lascia vincere il male — facendoci interrogare sui nostri comportamenti e su cosa sia giusto o sbagliato. E se non è questo quello che un classico fa, beh, allora i classici sono fuori strada. 13 Reasons Why è una serie assolutamente da vedere: insegna che comportarsi male è umano. Ma accettarlo, il male, quello sì che è diabolico.

P.S. Ora che internet ce ne dà l’occasione, le serie vanno guardate in lingua originale. ✌🏻

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