Copertina di Francesco Delli Benedetti

A New Wave of Metal — Parte seconda

1994–2017: breve storia di una grande rivoluzione

Matteo Sputore
La Caduta 2016–18
11 min readDec 21, 2017

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Dopo il precedente tuffo nel decennio dell’oscuro iniziano a sfavillare i primi raggi di un nuovo sole. Dalle tenebre si propaga una luce accecante, fatta di nuove proposte e vecchie conferme.

Nuovo millennio, Nuova musica

Abbiamo osservato tutto il fermento scaturito dal fenomeno del black metal e dalla sua caduta, i frutti di questo fenomeno sono stati centrali per la formazione di una nuova generazione di musicisti che non si riconoscevano più nei generi maggiori ma desiderava emulare e ispirarsi a chi, a sua volta, aveva dato libero sfogo alla fantasia. In particolar modo, in Francia, si tenta di reinventare il black metal mantenendo l’idea di nazionalismo e gran parte delle peculiarità stilistiche.

Peste Noire a inizio carriera

Gruppo fondamentale per il propagarsi del balck in europa sono stati i Peste Noire, una piccola fucina di talenti nella quale hanno operato i più celebri nomi del metal d’oltralpe. Il concept della band è palesemente ispirato alla nota pestilenza medioevale e il sound si rifà al lo-fi del black metal old scool, nei testi, oltre che al nazionalismo, si trattano temi quali la morte e la disperazione. In pratica il black metal ormai si era naturalizzato in Francia abbandonando del tutto il satanismo e l’anticristianesimo, dandosi però al nazionalismo più sfrenato. Questi estremismi rasenti il fascismo portarono alcuni componenti della band ad abbandonare il progetto (in alcuni casi vennero letteralmente cacciati) per divergenze non soltanto musicali ma anche politiche e ideologiche. Tra gli ex membri dei Peste Noire spicca su tutti Neige che, in verità già dal ’99, lavora ad un progetto del tutto nuovo. Prima che le sue idee incominciassero a prendere forma e prima che la diffidenza dei colleghi si disperdesse passarono otto anni; nel 2007 finalmente viene lanciato Souvenirs d’un Autre Monde il primo Album degli Alcest. La band ha un obiettivo completamente estraneo al metal: trasportare l’ascoltatore in un viaggio nostalgico, in un mondo infantile dove le fantasie libere e colorate del bambino che è dentro di noi possano prendere vita. Come dichiarato dallo stesso Neige la totalità dei brani che compongono il disco sono stati ispirati dai suoi viaggi immaginari di bambino. Souvenirs d’un Autre Monde, come gran parte della produzione degli Alcest, vede fondersi il post-rock, lo shoegaze ed il black metal rendendo necessario coniare il termine Blackgaze. Indiscutibile e palese è l’influenza dei Novembe soprattutto a partire dalla seconda pubblicazione del quartetto Francese intitolata Écailles de Lune: il suono delle chitarre si inspessisce e vengono introdotti growl che avvicinano ancor più il sound del disco ad una matrice fondamentalmente metal.

copertina di Écailles de Lune realizzata da Fursy Teyssier

Neige è riuscito a reinterpretare in un’ottica personalissima ciò che i Novembre hanno introdotto nel metal, forse troppo precocemente per essere apprezzati negli anni novanta, ma da un punto di vista totalmente estraneo alla formazione italiana: riporta alla ribalta suoni eterei, chitarre pulite e voci angeliche che cantano in francese. Se infatti i Novembre cantano il senso di nostalgia e tristezza della vita quotidiana, Gli Alcest affrontano un viaggio interiore legato alle favole e alla spensieratezza giovanile che il tempo pian piano ci toglie.

Come abbiamo già accennato, il successo e la notorietà non sempre vengono meritatamente concessi, vuoi per contingenza o magari per l’incapacità di apprezzare un prodotto diverso, difficilmente catalogabile. Non si tiene quasi mai conto dello sforzo e della ricerca degli artisti che in anni e anni di sudore riversano i propri sogni e le proprie speranze. Prendiamo i Sόlstafir ad esempio. Fondati nel ’95 riescono dopo numerosi contrattempi a pubblicare il loro debut album solo nel 2002. Í Blóði og Anda però risulta ormai superato. Si mimetizza nel sottobosco del metal di maniera, gran parte del disco è praticamente viking metal: roba che può fomentare un adolescente ma di certo non porta una enorme risonanza. Il disco è quasi un flop totale. Durante la realizzazione di Í Blóði og Anda i cowboy dei ghiacci si fanno aiutare da Sæþór Maríus Sæþórsson chitarrista noto alla band da lunga data, dopo il lancio del disco e il successivo insuccesso la band decide di far entrare Sæþór nella formazione. L’acquisto del nuovo talentuoso chitarrista porta i Sόlstafir a naufragare verso il post-rock: le prime tracce della contaminazione si hanno nel disco Masterpiece of Bitterness pubblicato nel 2005. Soltanto negli anni successivi la band riesce a far breccia nel mercato musicale, grazie alla sempre più marcata fusione di post-rock e metal, che diventa il loro marchio di fabbrica. Tuttavia, nonostante le loro fatiche, il risultato finale risulta ancora piuttosto posticcio e poco originale. Nel 2009, finalmente, dopo anni di perseveranza, gli islandesi riescono a far breccia in chi era rimasto incuriosito da quella stranezza che era Masterpiece of Bitterness, grazie ad un disco che, finalmente, riusciva a dissolvere la diffidenza degli ascoltatori. Marcatamente post-rock, Köld apre ai Sόlstafir le porte dell’ Europa riuscendo finalmente a donare alla band una fanbase solida e che durerà a lungo.

Naturalmente i Big non sono rimasti lì fermi a guardare, si sono rimboccati le maniche ognuno alla propria maniera: in alcuni casi affinando la tecnica e rimanendo fedeli alla linea, in altri stravolgendo l’intero progetto. Dopo la sperimentazione ambient di Themes From William Blake’s the Marriage Of Haven And Hell, uscito nel ’98, gli Ulver operano un taglio netto con il passato abbandonandosi ad una serie di composizioni marcatamente elettroniche e vicine al trip hop. Ed è proprio nel 2000 che la band, che fino ad ora era stata ritenuta l’ultima roccaforte del black metal, sconvolge tutti con la pubblicazione di Perdition City. Ancora oggi è difficile etichettare il disco, riprendendo in maniera minimale l’ambient del precedente album del ’98 Perdition City forza ancora più la mano e non si accontenta di semplici escamotage elettronici.

I drum kit acidi e i sinth opprimenti fanno sì che l’intero disco risulti davvero angosciante, l’uso frequente del sassofono jazz amplifica questo senso di sofferenza che si coglie immediatamente nella prima della tracklist: Lost In Moment. La voce ricopre un ruolo sempre meno centrale per liberare la strada alla drum and bass, alle lead di pano e a tutte le componenti ambient. Il trip hop di band come Massive Attack e Portishead è stato sicuramente illuminante per gli Ulver che sono riusciti a reinventarlo, a portarlo ad un livello superiore. Perdition City, tuttavia, riesce a far storcere il naso a tutti quei fan che si aspettavano quella produzione musicale pesante, o comunque legata all’immaginario dei primi tre dischi, a cui la band li aveva abituati; nonostante questo, l’album porta nuovi fan al cospetto degli Ulver, fan sicuramente meno bigotti del metallaro medio intransigente. Insomma, il lavoro svolto dalla band Norvegese è oggettivamente di una qualità altissima e, forti di ciò, gli Ulver continuano a testa bassa lungo la loro strada. L’ondata di novità che Perdition City ha portato in quello che era un ambiente prevalente Metal ebbe una risonanza sconfinata: se gli Ulver potevano produrre un disco elettronico pur rimanendo coerenti, personali e stimati, allora poteva farlo anche la più sconosciuta delle band all’esordio, insomma perché non provare? I dischi seguenti resero questa idea che incominciava ad insediarsi tra i musicisti metal una realtà, una fonte da cui attingere per trovare ispirazione.

Ovviamente gli Ulver non sono stati il solo gruppo a progredire stilisticamente. La passione per il prog rock di Mikael Åkerfeldt porta a convincere il talentuoso Steven Wilson (Porcupine Tree) a partecipare alla realizzazione di un nuovo album.

Steven wilson e Mikael Åkerfeldt

L’influenza e i consigli di Steven si dimostrarono fondamentali sia in fase di composizione che in studio, pur rimanendo comunque un disco cupo e malinconico come i predecessori, l’ultima creatura degli Opeth spinge fortissimo sul pedale del prog, più di quanto fatto prima. Tutte le scelte furono azzeccate e nel 2001 Blackwatwr Park viene ricoperto di elogi e per molti divenne a pieno titolo l’album migliore della band. Il tetro death metal svedese balla la sua danza macabra assieme al prog rock più classico, mettendo d’accordo sia fan che critica. La risonanza del disco fu mondiale e ciò ha permesso agli Opeth di uscire dallo spietato mondo dell’underground spronando ogni singolo membro ad ottenere il massimo. Insomma, nei primi del 2000, Mikael Åkerfeldt e compagni sono i re incontrastati del metal. Ma nel decennio precedente la band aveva già contaminato le sonorità di molti artisti emergenti e, nonostante le difficoltà nella distribuzione, negli Stati Uniti qualcosa incominciava a prender forma. Ispirandosi al Neofolk di Kveldssanger e utilizzando la struttura irregolare del prog metal degli Opeth gli Agalloch incominciano le prime composizioni e, dopo una prima fase Black, esordiscono con Pale Folklore. Pur conservando le tracce black il debut-album della band dimostra che ormai i fiori sono sbocciati. La contaminazione del black non si limita all’Europa, ma acquista proporzioni mondiali.

Ma non corriamo. I Katatonia nel 2001 pubblicano Last Fear Deal Gone Down ed intraprendono un tour con gli amici Opeth. Il disco riscuote un buon successo non solo tra le pagine delle fanzine. Le numerose influenze accumulate nella fase di crescita della band hanno fatto in modo che si venisse a creare un sound originale e abbastanza riconoscibile ma, per ora ancora acerbo e vago.

Fatto sta che Last Fear Deal Gone Dowm permette alla band svedese di usufruire di un ventaglio di ascoltatori maggiori rispetto al passato. Il tour con gli Opeth funge da amplificatore per la fama della band e tanto gli affezionati, quanto i fan recentemente arruolati, incominciano a nutrire una forte aspettativa per i seguenti lavori dei Katatonia che continuano a subire piccoli cambi di formazione. Spronati dalla crescente fama e dai traguardi raggiunti, il gruppo continua a lavorare incessantemente alla produzione di un nuovo disco: le numerose influenze riescono ad essere convogliate sapientemente riuscendo finalmente a rendere i Katatonia inconfondibili. Quindi, nel 2003, vede la luce un vero e proprio capolavoro intitolato Viva Emptiness, in realtà un album piuttosto discusso al tempo, ma che con il passare degli anni è riuscito a guadagnarsi un posto tanto nel cuore dei cultori che (ovviamente) in quello dei fan. Critiche e polemiche a parte, il disco è fortemente influenzato dalla scena alternative nascente agli inizi del duemila ed è forse questo il motivo principale delle critiche: tutto questo è facilmente rintracciabile in tracce come Criminals e Evidence. Se il precedente album ha permesso agli ambiziosi Katatonia di prender parte ad un enorme tour come spalla Viva Emptiness rende possibile un tour Europeo come headliner, il primo nella loro carriera. La discussione sui successivi lavori dei Katatonia è ancora aperta e piuttosto calda; c’è chi nota un lento assopimento della band, che sembra adagiarsi sulla linea scelta, e chi invece entusiasta vede il procedere coerente della band proprio come da copione, senza sbavature o derive di cui pentirsi in futuro. Insomma, forse i meno “Big” tra i “Big” sono diventati altrettanto influenti e centrali nel percorso non solo del metal, ma dell’alternative nel senso più ampio del termine.

E i Novembre? Beh di certo non sono rimasti indietro; agli albori del nuovo millennio danno ancora una volta prova del loro talento. Proporre un disco all’altezza di Arte Novecento non è di certo una passeggiata, insomma, bisogna pur sempre tenere alto l’interesse nei confronti della band senza scivolare nell’autoreferenza. Forse il precedente tour al fianco dei Moonspell fu illuminante per la band nostrana che si spinse in maniera chiara ma sobria verso sonorità gothic più pesanti e solenni. Nel frattempo, visti i risultati positivi, la band riesce a firmare un contratto con la Century Media Records e sotto l’ala protettrice dell’etichetta statunitense viene prodotto e distribuito il terzo album dei Novembre: Classica. Il disco, anche se di ottima fattura, appare meno coeso e definito del precedente ma riesce comunque ad ottenere un successo discreto. Classica è una vera e propria palestra per Carmelo e Giuseppe Orlando che, l’anno seguente, decidono di operare delle variazioni nella formazione. L’idea dei due fratelli, fedelmente seguiti dal talentuoso chitarrista Massimiliano Pagliuso, è di miscelare il meglio di Arte Novecento (vero e proprio capolavoro della band) e di Classica (disco di sperimentale allo stato embrionale) per definire una linea precisa ed esclusiva in grado di far scalare loro i ripidi gradini dell’olimpo del metal europeo. Il risultato arriva rapidamente ad un anno di distanza dalla pubblicazione di Classica, quindi, nel 2001, i musicisti Italiani riescono a sublimare i tratti caratteristici maturati negli anni riuscendo a sfaccettare il progressive metal con la sapienza e il gusto di un mastro scalpellino. Novembrine Waltz non delude le altissime aspettative che sono maturate attorno al progetto: finalmente i Novembre diventano inconfondibilmente personali. La band può vantare strutture, suoni e composizioni del tutto innovative. Raggiunta finalmente la agoniata maturità decidono di ritornare in studio per reincidere il loro primo disco che, per vari motivi, non vantava una produzione eccellente rimanendo ingiustamente nell’ombra. Dopo qualche modifica nella Track list e piccoli riarrangiamenti Wish I Ould Dream it Again… viene nuovamente lanciato sotto il nome di Dream d’Azur. Il gruppo sembra inarrestabile e continua a lavorare sodo passando dalla Century Meria Records alla più prestigiosa Peaceville Records. Forse una certa nostalgia viene nutrita tra i componenti della band, ne è testimone la seconda incisione del primo disco. Inizia a insinuarsi l’idea di un ritorno al passato sotto nuove spoglie, i Novembre sono cresciuti rapidamente e potevano vantare produzioni al top e l’appoggio di una Major. Insomma dopo circa quattro anni di silenzio le idee sono chiare, bisogna recuperare le atmosfere ariose e nostalgiche di Arte Novecento e Wish I Ould Dream it Again… per lavorare ad un nuovo concept- album. Probabilmente la scelta presa non è la più semplice e sicura da realizzare, ma l’ambizione che ha caratterizzato la formazione italiana sin dagli albori ha avuto la meglio sulle insicurezze. Il rischio è valso la candela e segna un nuovo inizio per la band che sforna uno dei dischi più poliedrici e influenti del tempo. Materia diventa una vera e propria pietra miliare nella storia della musica, una pietra ingiustamente erosa ed ammuffita di cui spesso ci si dimentica. La tragicità del concept mista alla quasi nullo utilizzo del growl da parte di Carmelo crea un’angosciante senso di irrimediabile smarrimento introspettivo. Le linee di chitarra di Massimiliano Pagliuso sono più energiche che mai. Ma il grande successo viene replicato nel 2007 con The Blue che strizza l’occhio al Doom ma rimane fedele e coerente al percorso della band.

Forse The Blue ha goduto maggiormente delle luci della ribalta rispetto al suo predecessore per via della sua maggiore linearità. Ma se questa escalation di successi, ripensamenti, sperimentazioni e collaborazioni può far pensare ad un futuro radioso e prospero la realtà dei fatti ci racconta un’altra storia. Dopo la pubblicazione del settimo studio album i Novembre attraversano un periodo buio, le notizie su di loro si diradano e si parla sempre meno della loro produzione. Si vocifera persino di uno scioglimento occulto, le malelingue parlano di dissapori, litigi, allontanamenti persino trai fratelli Orlando. Voci che si fanno sempre più insistenti e si fanno forti del fatto che Giuseppe Orlando incomincia a collaborare con un’altra band romana, i The Foreshadowing. Fatto sta che dopo qualche anno le voci che trapelano non fanno ben sperare e i Novembre cadono in un abisso senza memoria.

Tra successi e dubbi si è chiuso questo decennio in bilico tra progresso e nostalgia. La silhouette del metal appare sempre meno chiara, i suoi bordi un tempo netti e ben definiti subiscono il fascino di altri generi, di altri temi. Quello che rischiava di diventare il genere della “maniera” si avvicina sempre di più alla vera musica libera da dogmi e regole catapultandoci nel presente.

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