Illustrazione di Beatrice Schena

A pranzo con la seconda stagione di Preacher

Abbiamo deciso di parlarne durante un pasto caldo, in quel magico momento che precede caffè e sigaretta.

Giacomo Alessandrini
La Caduta 2016–18
5 min readFeb 1, 2018

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La faccio breve. Chiamo mio cugino con un problema, del tipo “senti, non ricordo un granché di Preacher, ci vediamo per un confronto? Dovrei scriverci un articolo”. Lui, sicuro “domani a pranzo da me”.
Così eccoci, dopo almeno due etti di riso a parlare di Jesse Custer, Genesis, vampiri alcolizzati e nazismo. Non parliamo d’altro, e senza chiedere attivo il registratore, per una chiacchierata informale tra due spettatori appassionati.
Una breve pausa, mi schiarisco la voce e attacco:

— Da dove vogliamo partire?
— Dalla linearità della serie.
— Stona?
— Sicuramente, rispetto alla prima stagione.
— Promette di essere on the road, cosa che poi non fa; trasferendo l’intera vicenda a New Orleans e dintorni.
— La ricerca di Dio come improvvisazione musicale.
— Il jazz accompagna l’intera stagione.
— Non ricordo.
— Ricordi invece una delle scene più drammatiche?
— Fiore?
— L’interesse per l’angelo è esclusiva della serie televisiva, nell’opera di Ennis non c’è.
— Quell’episodio è emblematico. La morte per mano del Santo degli Assassini è quasi romantica. Scopre la libertà e se ne innamora giusto in tempo per lasciarsi ammazzare.
— Fiore, l’ultimo illusionista.

— Le trame parallele?
— Eugene è di contorno, alla fine la prigione-inferno serve solo a presentare il personaggio di Hitler.
— Tolta dall’impianto generale non fa differenza. Hitler sta lì, in attesa di una sostanziale caratterizzazione.
— Anche per Angelville una presentazione rapida, in vista dell’anno prossimo.
— Avevo grosse aspettative.
— Non capisco, tradite?
— Funziona, ma avrei preferito vederli in viaggio. Il loro è un percorso di redenzione spezzettato da una narrazione complementare non appagante.
— La parte con Arseface nella graphic novel è delirante, qui drammatica e prevedibile.
— Cassidy con il figlio?
— Anche lì, sai già dove andrà a parare. È un trio, la serie è un triangolo amoroso, ogni situazione dovrebbe essere un pretesto per raccontare un travagliato rapporto.
— In parte lo fa.
— Discostandosi dall’opera originale, sono riusciti a renderla contemporanea mantenendone lo spirito. Avrei osato di più con l’America e le sue contraddizioni, in favore di una black comedy più blasfema che sovrannaturale.
— A chi non conosce Garth Ennis?
— Piacerà, coi suoi nei. Lo humor nero è quello, riadattato al target AMC. Tulip, Cassidy, Starr, il santo degli assassini, sono delle fedeli caricature. I quindici minuti dal flashback di Herr Starr, nel settimo episodio, sono uno spasso. Anzi, poi lo rimetti quel pezzo… “Dammi il microfilm puttana, o ammazzo te e la tua famiglia”.
— La videochiamata con Dio è la prima stagione?
— Prima.
— Quando Herr Starr diventerà un simpatico glande?
— Terza, spero.

—Tornando ai personaggi, l’ultimo discendente di Cristo?
— Necessaria e fedele trasposizione: ritardato come nel fumetto.
— La prima stagione non si perde dietro troppe cazzate come la successiva. Il figlio di Cassidy o il riscatto di Eugene non contribuiscono allo sviluppo di un interesse, nel primo caso rafforza una personalità già dirompente e nel secondo introduce un personaggio di rilievo dal carisma inespresso.
— Jesse?
— È il vero martire cristiano, che trova nella dolorosa passione il suo compimento. Dio c’è, da qualche parte, a lui il compito più importante: quello di rimetterlo in riga.
— Quanto ci interessa il fattore religioso?
— Da una serie così? Poco, vale una presa in giro e poco altro. Preacher è bello per Herr Starr, non smetterò di dirlo; il personaggio meriterebbe uno spin-off. Preacher campa di ottime interpretazioni e protagonisti cazzoni, dialoghi divertenti e grotteschi: non si prende, mai, seriamente.
— In conclusione della stagione, e differenze con l’originale, la resurrezione di Tulip ad Angelville potrebbe portare ad un ulteriore plot twist non preventivato dalla narrazione canonica. Nelle pagine di Ennis è Dio a riportare in vita la ragazza, non i L’Angelle.
— Tornando ad analizzare lo spirito iconoclasta e blasfemo, non trovi ridicolo il caso, scoppiato dopo il rapporto sessuale tra il Cristo e Maria Maddalena, della richiesta di cancellazione da parte della One Million Moms (associazione delle madri conservatrici)?
— Non capisco tutto ‘sto casino per una scopata, mentre nella serie ci si chiede, giuro, se Dio possa essere o meno un cane; un dalmata nello specifico.

—Possiamo dire questo, non sarà mai una serie di culto. La struttura portante, satirica, neanche si avvicina a quella del ’95. Il messaggio oggi risuona e basta. Eppure non annoia, e ogni episodio mostra una sua vivace personalità, da Pig a The End of the road. Ripeto, non è questione di fedeltà al fumetto, si tratta di prendere dei personaggi e riadattarli al medium televisivo; diversi ma uguali. In questo senso Seth Rogen ed Evan Goldberg hanno centrato l’obiettivo, il resto è un problema di budget e location. Le storie, le sceneggiature, sono dipendenti dai costi di produzione, lasciando la trama schiava di pochi, specifici, siti di registrazione. Si avverte la necessità di guardare oltre, di allargare i confini di un plot che si muove per sentieri sicuri. Le scene dall’appartamento sono la maggioranza. I protagonisti frequentano esclusivamente club notturni o ville di criminali, per non parlare della storyline di Eugene circoscritta alla grigia e, soprattutto, spoglia prigione infernale.
— Parlando appunto degli inferi. I guardiani, i demoni, non sono altro che dipendenti statali, gl’impiegati sfigati del mese. Hitler è la vera chicca, anche se, e si vede, è un personaggio destinato ad esplodere nella prossima stagione; come accennavamo.
— Sono riusciti a farti empatizzare con il führer, e non è una cosa da poco. Hanno vinto la sfida umanizzando il male. Rappresentare il dittatore nazista come un poveruomo che su una giornata storta ha fondato un’ideale. Adolf non è altro che un povero pittore in cerca di consenso, che trova nella rinuncia all’arte l’eterna sconfitta. La scena con il critico ebreo, nell’atto di denigrare i lavori del giovane tedesco, è un siparietto irrinunciabile.
— Già.
— Preparo il caffè?
— Bueno excellente.

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