Afterhours, la cura di Folfiri o Folfox

Francesca Marini
La Caduta 2016–18

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“L’ho nascosto dentro me

così bene in fondo a me

che la vedo la tua luce, sai.”

La rinascita, intesa come guarigione da una lunga malattia. Un’orchidea che emerge dal nero, uno spiraglio di speranza, di tocco di bianco. Ritrovare i colori dopo una lunga assenza di essi.

E’ questo quello che Manuel Agnelli e soci hanno provato a fare: uscire dal silenzio dopo quattro anni da quel controverso Padania, cambiare marcia, lasciarsi dietro determinati eventi che hanno coinvolto i membri del gruppo, ripartire da questi per poter andare avanti. Folfiri O Folfox è una spaccatura con il passato. C’è rabbia. Una rabbia diversa da quella sempre celebrata dalla storica band, una rabbia che non sfocia in una rivoluzione, ma che deriva da un dolore del tutto interno, un sentimento così intimo da non poter essere condiviso a pieno con gli altri.

Questa volta la guerra è personale, vede in prima linea noi stessi contro nemici invisibili, che scavano dentro e che lasciano profonde cicatrici. La cura la scegliamo noi. Perché si può guarire, possiamo riprenderci, possiamo continuare a vivere.

La cura per gli Afterhours evidentemente è stata chiudersi in studio e sperimentare, toccare sonorità ancora non raggiunte, spingersi più in là ed azzardare, in alcuni casi azzardare troppo. Folfiri O Folfox risulta più aspro e cupo di qualsiasi altro disco della formazione lombarda, più noise, più istintivo ma al tempo stesso più complesso e cerebrale, una lunga rielaborazione del lutto che si protrae per diciotto pezzi.

Elettrico, lucido nella sua follia, questa nuova opera degli Afterhours potrebbe risultare bizzarra, non nelle corde del gruppo, troppo empirica. E può anche essere vero, alcuni elementi sono forse poco necessari (distorsioni, voci eccessivamente tormentate).

Ma forse così deve essere: perché questo disco intende essere la risposta alla morte, quindi deve fare da contrasto e non può che farlo con la vita, con tutte le esperienze che essa comprende e quindi con un bombardamento musicale composto da tante sfumature, troppe sfumature in modo tale da essere più vitale e dinamico possibile, uno scoppio di energia che ribatte all’immobilità dello stare male.

Un urlo che grida all’umanità intera la sua sofferenza, un modo per tirare fuori l’oscurità, per sentirci meglio.

Da Grande, acida ballata dalla voce quasi disturbante, a Il Mio Popolo Si Fa, uno dei singoli, non esattamente pezzo pop ma marcia agguerrita difficile da dimenticare. Da Non Voglio Ritrovare Il Tuo Nome, pezzo più “afterhoursiano” e più classico, all’esasperante cupezza di San Miguel (una specie di canto mistico accompagnato da inquietanti percussioni). Dai toni più limpidi e morbidi di Lasciati Ingannare (Ancora Una Volta) al noise spinto della title track, brano spezzato bruscamente da un pianoforte. Dal caotico stoner di Cetuximab all’introspezione di Né Pani Né Pesci. Folfiri O Folfox è fatto di psichedelie, chitarre mordaci e una voce appesantita dal dolore e condito da pianoforti occasionali e violini aspri. Il disco attraversa un’ampia gamma di sonorità e compie uno studio accurato ma passionale, una ricerca calcolata ma emotiva del suono giusto.

Un equilibrio di base quindi tra sentimento e analisi musicale in questa autentica esplosione di forza. Perché quando il gruppo va su di giri, quando la chitarra si fa troppo elettrica, quando la voce ruggisce troppo, quando il tutto diventa più sporco e caotico è perché anche la rabbia sale e il male si fa insopportabile.

Folfiri O Folfox è insomma l’espressione, la reazione di chi affronta di nuovo la vita dopo un periodo nero come l’inchiosto. Un fiore che rinasce dalle proprie ceneri.

Un caos azzardato ma evidentemente necessario. Il bisogno di esplodere, di sporcarsi le mani di nuovo.

Un ritorno spiazzante ed insolito. Ma non per questo efficace.

Una luce che spacca il buio all’improvviso.

Un lavoro forse difficile da digerire, ma maturo, simbolo di una band che ancora ha tanto da dire e che ancora vuole avere tanto da fare.

Originariamente pubblicato via Facebook Notes il 27 Giugno 2016 sulla nostra pagina Facebook.

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