Black Mirror: quando realtà e distopia vanno a braccetto

Perchè questa serie tv è una figata, e perchè l’ultima stagione non lo è poi così tanto

Nicola Accattoli
La Caduta 2016–18

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Black Mirror è passata, molto recentemente, dall’essere una serie veramente di nicchia, che pochissimi seguivano, a venire trasmessa da Netflix: un passaggio di reti che rispecchia il successo grandioso del progetto. La chiave di una popolarità che è cresciuta a dismisura in così poco tempo è da individuare nelle parole di Charlie Brooker, creatore e scrittore della serie: “Each episode has a different cast, a different setting, even a different reality. But they’re all about the way we live now — and the way we might be living in 10 minutes’ time if we’re clumsy.”(In ogni episodio c’è un cast diverso, un’ambientazione diversa, addirittura una realtà diversa. Ma il tema che li accomuna è il nostro stile di vita odierno, e lo stile di vita che potremmo dover adottare fra 10 minuti se non stiamo attenti.) La chiave sta nella creazione di una distopia verosimile, non lontana nel tempo e che non dipende da un’evoluzione tecnologica impensabile, anzi. La base tecnologica per molti degli episodi di Black Mirror(Specchio Nero) esiste già, o è in via di sviluppo. In questo senso la serie si propone di fare da specchio oscuro della realtà, di proporci una versione negativa del reale che viene percepita dal telespettatore come molto vicina alla sua dimensione, e che per questo motivo acquista un valore immenso, diventa immediatamente più interessante e consente al fruitore un’immedesimazione facilitata e più profonda.

The National Anthem: l’esordio di Black Mirror

Un esempio di quella che chiamerò distopia stretta è visibile nel primissimo episodio della serie, The National Anthem, quello in cui, per capirci senza essere brutali, il primo ministro si scopa un porco in diretta televisiva. La distopia, in quell’episodio, va a braccetto con la realtà del telespettatore, ed è, in questo senso, una distopia stretta: non servono aggeggi fluttuanti, marchingegni incomprensibili, ologrammi a tre dimensioni e viaggi spazio-dimensionali per creare una distopia. E’ l’attenzione degli scrittori nel concentrarsi sull’ossessione dei personaggi per i social media (Twitter, Facebook e Youtube), a creare il negativo della realtà e a dare l’impressione di trovarsi in un mondo distorto, in cui i valori considerati importanti e inalienabili dallo spettatore vegono ribaltati all’interno dello schermo con una facilità impressionante. Chi guarda non può che sentirsi come Glenn su The Walking Dead. Ciò che cambia dalla realtà alla finzione è l’atteggiamento che le persone hanno verso le nuove tecnologie: un uso smoderato e malintenzionato dei social network, di Youtube, ma addirittura della televisione, come testimonia The National Anthem, può portare a conseguenza catastrofiche: il mondo è potenzialmente a un passo dallo scivolare irreversibilmente nel caos, sembra volerci avvertire Charlie Brooker con Black Mirror. Ed è proprio la sensazione di essere “ad un passo da Black Mirror” che ci tiene incollati allo schermo. Ecco perché, in questo contesto, la terza stagione dello show delude, in parte, le aspettative. Personalmente almeno, ho sempre preferito gli episodi a distopia stretta piuttosto che la fantascienza vera e propria.

The Waldo Moment: il cartone/comico si butta in politica

Per questo motivo ho veramente apprezzato episodi come The Waldo Moment, nel quale il richiamo a Beppe Grillo, al Movimento cinque stelle m’ha fatto venire la pelle d’oca; o White Bear, sempre dalla seconda stagione, in cui la popolazione mondiale si è tramutata in un’orda di voyeurs ossessivi, che, invece di aiutare la protagonista a sfuggire alla violenza dei suoi persecutori, cerca in ogni modo di riprenderla con il cellulare, ricordandomi da vicino delle notizie sentite dal telegiornale; e, ovviamente, The National Anthem, per ovvi motivi.

La classifica è basata sul principio di distopia stretta, che, a mio parere, è indice della riuscita dell’episodio. Più l’episodio è lontano dalla cima, meno è in grado di ingaggiare un rapporto stretto con la realtà, perdendo quindi quella forza e originalità che da sempre sono il marchio di fabbrica di questa serie tv.

6. Nosedive

Fa un po’ brutto, ma è stato un episodio così banale, mediocre e rosa che non ne vorrei parlare proprio.

5. Hated by the Nation

Si parla di un mondo in cui le api si sono estinte, e una compagnia inglese ne ha creato una replica robotizzata. Il presupposto è originale, nella sua stranezza, ma il dispiego della trama da questo punto in avanti è un mix di Civil War, con tutta la questione della libertà, la privacy e la sicurezza trattata molto superficialmente, e quello sciame di film sulle api assassine iniziato negli anni ’70 con The Savage Bees e proseguito fino al 2007 con Black Swarm. La furia delle api però, in Black Mirror, non è cieca, ma guidata da un sistema di hashtag ideato da un hacker misantropo. Praticamente si vota chi si vuole uccidere sui social network, e la persona che ottiene più voti morirà per mano delle api. A questo punto non vi svelo altro, non ce n’è bisogno: quest’episodio sfiora il ridicolo in diversi frangenti, l’unica nota positiva è la recitazione di una grande attrice come Kelly Macdonald, la cui presenza si deve probabilmente al recente matrimonio di Black Mirror con Netflix.

N.B. Alla posizione 6 e 5 ci sono i due peggiori episodi della terza stagione. Tra questi e le posizioni 4 e 3, il salto di qualità, per quanto non sia notevole, è comunque apprezzabile.

4. Men Against Fire

Il lavaggio del cervello delle ideologie era già stato distopizzato in innumerevoli occasioni nel mondo del cinema. Uno dei film più popolari che tratta questo tema è Essi Vivono di John Carpenter, nel quale, con un paio di occhiali speciali, si riescono a vedere i messaggi subliminali di controllo mentale che la società, il sistema economico e quello religioso nascondono, per esempio, dietro degli innocui cartelloni pubblicitari. In Men Against Fire i progressi della tecnologia permettono di impiantare un sistema, chiamato Mass, che rende il lavaggio del cervello un processo molto più fisico che psicologico. Dopo una semplice operazione, infatti, il soldato riceve tramite il sistema delle informazioni visive e auditive viziate appunto dall’ideologia, che lo portano a voler sparare ai roaches, degli esseri umani solo in apparenza deformi, che devono essere eliminati per evitare il pericolo di una loro eventuale riproduzione e contaminazione della razza umana. Un po’ di eugenetica, che quando si parla di distopie non fa mai male. E’ il meccanismo di Essi vivono, ma al contrario; è un lavaggio del cervello impiantabile anatomicamente grazie al supporto di una tecnologia avanzatissima e al contempo poco verosimile, troppo avanzata per far presa sullo spettatore, per tenerlo in tensione da “a un passo da Black Mirror”.

3. San Junipero

Anche San Junipero, il quarto episodio, manca il bersaglio. A differenza delle stagioni precedenti, nelle quali la distanza tra la tecnologia del reale e quella della finzione era praticamente ridotta a zero, in San Junipero esiste un sistema tecnologico molto avanzato, ma poco credibile, sul quale si regge tutto l’episodio. La possibilità di una vita digitale eterna, percepibile dall’individuo come il proseguimento del continuum della vita reale, è qualcosa che, sebbene tutti vorremmo, non possiamo nemmeno immaginare con la tecnologia odierna. Se l’esistenza di questa tecnologia fosse spiegata e in qualche modo inserita nel diagramma della verosimiglianza, l’episodio avrebbe avuto il suo effetto, ma così non è. Ecco dunque che la potenza della possibilità viene castrata in partenza dai presupposti dell’episodio. Per la prima volta, inoltre, Black Mirror descrive un mondo non distopico, bensì utopico, in cui la vita eterna è possibile, tradendo così la sua natura di Specchio Nero, la cui funzione era quella di rispecchiare la realtà in negativo, speculando sulle possibilità della Dark Side del reale.

N.B. Da questo punto in poi rispetto gli episodi di Brooker appieno, e, a differenza di quanto ho fatto prima, spiattellandovi le trame di ogni puntata, per le prime due posizioni, ricoperte dai due episodi più riusciti in questa terza stagione, che cercherò di non spoilerare troppo.

2. Playtest

Il secondo episodio ci parla di realtà aumentata, una branca dell’industria videoludica in grandiosa espansione, e delle probabili conseguenze nel videogiocatore. La tensione si taglia con il coltello, non si riesce più a distinguere cosa è reale e cosa no, e si scopre che il survival horror in augmented reality può essere davvero pericoloso.

1. Shut up and Dance

Questo è il terzo episodio in ordine cronologico (concezione che con Black Mirror trasmesso a pacchetto stagionale su Netflix si va un po’ a far benedire) e uno dei più difficili da sostenere per il telespettatore. Si parla solamente di ricatti e truffe sul web: un clic di troppo, un ad che conteneva un virus e la privacy dell’utente se ne va a rotoli. Una distopia molto stretta, possibilissima, che fa uso solamente di telecamere, sms, coordinate gps e poco altro. Più che una distopia è un’idea per il malfattore che sta guardando la puntata. Da brividi.

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Nicola Accattoli
La Caduta 2016–18

Non scrivo solo di cinema, musica, serie tv e videogiochi