Brian Eno: Invito all’azione

Ovvero «come uno studente d’arte è diventato il musicista d’avanguardia preferito di tutti»

Enrico Del Bianco
La Caduta 2016–18

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Prima di cominciare vorrei costruire una premessa. Questa monografia su Brian Eno, sintetica ma pregna come una tuta Adidas inzuppata, è nata partendo dalla recensione dell’ultima sua fatica Reflection: nel momento in cui ho capito di non poter scrivere una recensione obiettiva senza considerare tutto il percorso retrostante — e resomi conto che nemmeno Wikipedia inglese (e cioè la Bibbia Luterana del critico musicale) riusciva a inquadrare tutto il suo percorso in maniera soddisfacente mi sono messo giù ad ascoltare, informarmi e considerare. Un lavoro certosino, in cui ho ascoltato più volte tutto quello che ho consigliato, tralasciando (volutamente) certe parti e rivalutandone invece altre — perché (in confidenza) troppe volte la critica ha montato i paraocchi. Ho voluto inoltre soffermarmi su certi artisti che incrociata la via di Eno hanno operato miracoli — e su certi momenti e intuizioni che, sembrando a volte semplici, contengono invece un bel bagliore capace di illuminare. Questa dunque non è la storia della vita di Brian Eno — d’altra parte non sono il suo biografo — né il catalogo delle sue opere: è solo il modo migliore che ho trovato per introdurre alla sua figura.

Brian Peter George St. John le Baptiste de la Salle Eno (1948) — più comodamente Brian Eno — è di sicuro uno dei personaggi fondanti e più importanti del secondo novecento musicale, grazie a una presenza (da collaboratore, protagonista e poi produttore) nelle pagine più importanti della musica non-solo-rock, cominciata negli anni ’70 e continuata fino ad oggi — senza mai fermarsi; e pur potendo essere lui stesso un personaggio di culto, ha preferito mettersi al servizio di altri piuttosto che salire sui palchi e sui giornali: e non perché non ne avesse la stoffa, ma per seguire una concezione di musica che, uscita dalla forma-canzone, potesse aprire nuovi orizzonti di modernità. E questa nuova concezione di modernità musicale venne al giovane Eno mentre, studiando arte all’università di Winchester, seguì una lectio magistralis di Pete Townshend degli Who venuto a raccontare dei vari utilizzi anche non musicali che potevano essere fatti del registratore a nastro. In quel momento esatto Brian comprese di poter creare musica pur non essendo un musicista: e, invece di una chitarra o di un violino, scelse come strumento del cuore il tape recorder, con cui comincerà i suoi primi esperimenti sonori (rallentamenti, accelerazioni, sovrapposizioni di tracce…) e che rimarrà sempre il suo più fido strumento. Svariati esperimenti dopo (gruppi di improvvisazione, tirare palle da tennis al pianoforte insieme al professor/pittore Tom Phillips) Brian si convinse a entrare nella Scratch Orchestra del compositore Cornelius Cardew (che utilizzava la notazione grafica invece di quella musicale) pur senza conoscere alcunché di teoria musicale — una mancanza che non sentirà neppure arrivato al suo periodo di sound-scaping.

«One of the interesting things about having little musical knowledge is that you generate surprising results sometimes; you move to places which you wouldn’t do if you knew better»

Laureatosi nel 1969, due anni dopo si ritrovò in pianta stabile nei campioni del glam rock Roxy Musicgrazie ad un incontro fortuito nella metro di Londra con il loro sassofonista Andy MacKay Se non avessi preso quel treno probabilmente oggi sarei un insegnante d’arte»): Eno rimase nel gruppo tre anni, giusto in tempo per aiutare a costruire con sintetizzatore e cori i primi due album della band, tra cui l’indimenticabile For Your Pleasure, probabilmente il disco con più classe di tutti gli anni ’70. Grazie ai suoi vestiti stravaganti e al suo estro creativo arrivò però al punto di oscurare la figura dandy di Bryan Ferry, (vero compositore del gruppo), e passato dall’essere un collaboratore esterno ad essere l’elefante nella stanza — decise di abbandonare il suo ruolo per il bene del gruppo.

Indovinate chi è dei cinque il giovane Brian…

Batti il ferro finché è caldo si dice, e Brian nel 1973 pubblica subito il suo primo capolavoro, Here Come the Warm Jets, un disco ancora glam rock, come è giusto che sia, ma che non ha alcuna intenzione di seguire le regole: l’atmosfera classy del disco infatti è filtrata attraverso il cervello e lo studio di Eno, accorsi in aiuto gli ancora Roxy Music Phil Manzanera e Andy Mackay e il mago della chitarra Robert Fripp — dictator e unico membro fisso dei King Crimson e per il momento già autore di due dei massimi vertici del progressive rock (ovvero In the Court of the Crimson King e Islands). Un anno dopo Eno ritornò con il cerebralissimo e stratificato Taking Tiger Mountain (by Stategy), ispirato a delle cartoline di una commedia cinese della Rivoluzione Culturale comunista, e per la cui composizione in studio ideò il set di carte Oblique Strategies, ognuna con una considerazione atta a superare con successo i blocchi creativi incoraggiando il pensiero lateraleWhat would your closest friend do?»; « What to increase? What to reduce?»; «Ask your body»; «Work at a different speed»). Gli ospiti del disco anche questa volta superano le aspettative, con alla chitarra ancora Manzanera, mentre alle percussione e voce troviamo invece il recentemente incidentato Robert Wyatt. L’ex batterista dei Soft machine (sentitevi Third), caduto ubriaco dal quarto piano e ora in sedia a rotelle, appena mesi prima di lavorare con Eno aveva avuto modo di finire il disco più sognante di tutti gli anni ’70, Rock Bottom, un viaggio negli abissi del mare e della follia, necessario tuffo prima di risalire su. Alla batteria troviamo un’ospitata invece di Phil Collins, che nello studio affianco stava registrando con i suoi Genesis un altro caposaldo del progressive, The Lamb Lies Down on Broadway.

Il 1975 è l’anno dell’acme per Eno: entrato in studio senza idee, esce con il capolavoro che chiude il suo periodo glam e apre quello della sperimentazione totale, Another Green World. Brian per la prima volta fa un leap of faith alla Indiana Jones:

«You must believe, boy… You must believe…»

la maggior parte delle “canzoni” non ha testo, le chitarre non suonano come chitarre, e Brian può finalmente utilizzare lo studio al massimo delle sue potenzialità per creare una musica che esiste solo nella sua testa. Ed è proprio qui che comincia il viaggio più importante di Brian: nello stesso anno fa uscire Evening Star e Discreet Music, primo passo deciso nella direzione della musica ambient. Se il primo è una dolce collaborazione con Robert Fripp per creare musica da sottofondo, il secondo è un avvicinamento molto più risoluto verso l’avanguardia: costretto in ospedale per un incidente d’auto, Brian si alza dolorosamente e va a mettere su un vinile, ma appena ritorna a letto si accorge che il volume è troppo basso. Impossibilitato a rialzarsi e facendo di necessità virtù, Brian si trova a riconsiderare la musica di quel momento, non più come elemento di distacco dal luogo, ma come parte costituente di esso. Ispirato dunque da questa esperienza e dalla musique d’ameublement (musica d’arredamento) di Erik Satie — che voleva accompagnare le cene di amici per coprirne gli imbarazzanti lunghi silenzi — Discreet Music è da ascoltarsi a volume bassissimo, in modo che possa divenire parte integrante del momento in cui è suonato. La lunga composizione omonima è anche un esperimento di musica generativa, cioè di musica creata tramite un primo input umano e poi trasformata dalle macchine in qualcosa di nuovo. Il processo è illustrato qui sotto:

Pornografia per ingegneri del suono

Due anni dopo, 1977: L’interesse di David Bowie per Discreet music fu tanto da fargli chiedere a Eno di raggiungerlo a Berlino dove si era trasferito per smettere con la cocaina.

«I moved out of the coke centre of the world [ovvero Los Angeles dove non si ricorda nemmeno di aver registrato Station to Station] into the smack centre of the world»

Il frutto della collaborazione tra il triangolo magico Bowie-Eno-Visconti è la cosiddetta trilogia berlinese di Bowie, che pur non essendo stata registrata completamente a Berlino riesce ad evocare la città come topos comune a tutte tre le narrazioni, una città divisa e ferita, ma viva di una vita accesa e bruciante. Il primogenito si chiama Low (in base all’umore e al profilo del Bowie attuale) e mentre la prima parte può ancora richiamare i demoni di Station to Station, la seconda parte alza un muro di enorme desolazione, complice la stupenda Warszawa in apertura, scritta da Eno mentre David era via. Il secondogenito Heroes mostra ancor più del precedente la fascinazione di David per il krautrock (V2 Schneider è dedicata a Florian Schneider dei Kraftwerk, mentre Michal Rother dei Neu! aveva declinato l’invito a suonare nel disco — poco male, essendo stato sostituito da Robert Fripp, che renderà la title-track indimenticabile), mentre il terzo Lodger mostra un’ammirabile apertura verso la world music che poi verrà approfondita da una miriade di artisti a venire negli anni ’80 (Peter Gabriel, David Byrne e lo stesso Eno).

Che bei nasi…

In Germania, finita questa collaborazione, Eno si fermerà a collaborare coi Cluster di Moebius&Roedelius con cui rilascerà due sperimentazioni d’ambiente tra il krautrock e l’elettronica (ricordiamo il magico After The Heat), mentre sempre nel ’77 rilascerà Before and After Sciencecon cui finalmente si toglierà lo sfizio autoriale di scrivere un disco perfetto dall’inizio alla fine, così magnifico che, anche avendo scritto solo questo, probabilmente oggi parleremmo comunque di lui. Dalla prima traccia, primo esempio del funk bianco che verrà sviluppato poi da gruppi come Gang of Four e Talking Heads (la quinta traccia King’s Lead Hat è un chiaro anagramma), al pop spectoriano di Here He Comes, fino alle atmosfere rarefatte delle opere maestre Julie With… e By This River, Brian decide di scrivere la sintesi del suo pensiero fino ad ora: un giusto preparare le valigie, prima di imbarcarsi nell’esplorazione che lo trasformerà da genio della rock music a genio della musica tutta.

Nel 1978 Eno pubblica infatti Ambient 1/Music for airports, primo disco di una lunga serie, con cui idealmente culmina il percorso della scuola minimalista Americana, tirandone le estreme somme in un disco tanto accessibile quanto intelligente. Già ispiratosi per le carte di Oblique Strategies alla musica aleatoria di John Cage (che nel 1951 aveva composto Music For Changes facendosi consigliare dall’I Ching su come organizzare tempo, suono, dinamica e polifonie in una desacralizzazione zen del compositore, non più creatore del suono — ma suo semplice liberatore) e qui ispirato alla drone music di La Monte Young, Eno riesce finalmente qui a mettere su carta quello che gli ronzava nella testa da tre anni almeno: una colonna sonora per ambienti che valorizzasse la spazialità di un luogo invece di standardizzarla, apprezzabile nel suo esserci/non-esserci — una musica «as ignorable as it is interesting». L’ispirazione delle quattro composizioni senza nome venne durante le lunghe attese nell’aeroporto tedesco di Colonia: affascinato dall’aeroporto come non-luogo dove nessuno è destinato a restare, Brian scrisse per alleviare lo stress di chi si ritrova ad aspettare in un luogo di passaggio dove tutto sembra come sospeso. L’album venne addirittura testato per un periodo nell’aeroporto LaGuardia a New York (e uno dei suoi più grandi desideri resta ancora oggi l’avere a disposizione una stanza dell’aeroporto di Heathrow a Londra dove poter risuonare «musica attuale per un aeroporto moderno»). L’idea di una musica finalmente ambient continuerà negli anni a venire sviluppata in idee sempre interessanti (Ambient 2/The plateaux of mirror, Ambient 3/Day of radiance, Ambient 4/On land, Apollo: Atmospheres and Soundstracks, The Pearl e Thursday Afternoon) e di fatto non si concluderà mai praticamente, con un Brian Eno che ritroveremo per vent’anni a perfezionare la propria arte personale, anche a costo di non scrivere più niente di sconvolgente.

La sua attività principale negli anni ’80 infatti diventò quella di produttore, trovandosi dietro al mixer di alcuni degli album più importanti della decade intera. Nel 1978 aveva infatti cominciato a proiettare la sua longa umbra su tutta la scena post-punk newyorkese, producendo tre dischi di fila ai Talking Heads: stiamo parlando di quel capolavoro di post-punk ballabile che è More Songs About Buildings and Food, del cervellotico Fear of Music e di quella pietra miliare degli anni ’80 che è Remain In Light (in cui lo stesso Eno doveva finire in copertina come quinta Testa Parlante). Il gruppo, che non voleva più essere considerato singles machine dopo il successo di Psycho Killer, si rivolse alla sapienza ideativa di Eno — per gestire delle canzoni che fossero l’unione dell’intellettualismo decostruttivista occidentale con il primitivismo dei ritmi africani (simbolo ne sono le maschere di pixel in copertina) ed il risultato fu un disco cerebralissimo e insieme ballabile, un rituale primitivo e assieme contemporaneo.

Intanto sempre nel 1980 Eno si era messo a lavoro sulla musica world insieme a Jon Hassell — creatore del seminale disco Vernal Equinox (1977) — che si immaginò un «mondo color caffè, un mondo globalizzato, costantemente integrato e ibridato, dove le differenze venissero celebrate» e insieme ad Eno provò a realizzare la sua musica su Fourth World, Vol. 1: Possible Musics, unendo i concetti opposti di nord e sud, intesi culturalmente come melodia e ritmo, mentre l’anno dopo vide la luce una collaborazione tra i soli Eno e Byrne, My Life In The Bush Of Ghostsdove i due mischiarono nastri di voci registrate da radio africane, mediorentali e americane a canzoni scritte per l’occasione, lasciando che le voci altrui prendessero il posto d’onore. In questo ultimo album è scritta la musica del villaggio globale di McLuhan prima ancora che Internet la realizzasse nella musica plunderphonics degli anni 2000 (vedi Since I Left You, The Grey Album, Untrueo tutti quei mash-up che ogni giorno spuntano in rete), e nonostante non siano stati di certo Eno e Byrne ad inventare il sampling, sta di fatto che la decisione di dare ai nastri il posto del cantante sia stata riutilizzata da tutta la cultura nera degli anni ’80, dall’hip-hop alla house music.

Eno & Byrne

Prima parlavamo del lavoro di Eno a New York, che nel 1978 infatti fu curatore di una speciale compilation di artisti Newyorkesi emergenti legati al movimento della Downtown Music — sponsorizzato da Yoko Ono e La Monte Young: negli anni ’60 infatti Yoko aprì il suo loft al 112 di Chambers street a delle performance artistiche troppo bizzarre per essere accolte con favore nell’elegante parte uptown della città. Si trattava di opere legate al concettualismo (come Wall piece della Ono dove i performers devono sbattere la testa contro il muro ripetutamente), al minimalismo di Philip Glass e Steve Reich, all’improvvisazione libera di Terry Riley, Pauline Oliveiros e John Zorn, e infine al rock sperimentale di Glenn Branca che finirà nella no-wave di DNA, Sonic Youth e Swans — (il termine nasceva come ironica presa di distanza dalla commerciale new-wave del periodo). Eno, che si trovava nel pubblico durante un concerto di DNA, Contortions, Mars e Teenage Jesus and the Jerks, si convinse che questo movimento dovesse essere documentato a tutti i costi e quindi chiese a tutti e quattro i gruppi di venire in studio per farsi registrare: ne uscì No New York, documento — se non definitivo, perlomeno completo e coraggioso — delle istanze no-wave. Sempre nello stesso anno Brian, Bowie e Iggy Pop, sentiti i demo di una band dell’Ohio, i Devo, ne rimasero entusiasti: Bowie dichiarò che erano «la band del futuro» e Brian pagò il volo per Köln e lo studio dove produsse il primo disco della band, Q: Are We Not Men? A: We Are Devo! Concettualmente, i Devo osservano e scimmiottano una società americana che sta DE-VOlvendo, vivendo una vita infelice e schifosa dove le differenze tra un ritardato e una persona normale sfumano — in un mondo di schiavi senza cervello («He was a mongoloid, mongoloid, happier than you and me […] and he wore a hat, and he had a job, and he brought home the bacon, so that no one knew»): l’unica differenza è che — non avendo i mezzi per capire — almeno il mongoloide può sorridere ed essere accettato dagli altri decerebrati, mentre i pochi schiavi saggi si ritrovano a piangere lacrime amare.

DE-VOLUTI

Nel 1984 Brian ritorna finalmente all’ambito rock per un compito non da poco: produrre il disco della più importante rock band al mondo del momento, gli U2. Impauriti dall’enorme successo del loro War e intenzionati a non diventare l’ennesima next big thing da spolpare, Bono e compagni avevano deciso di contattare Eno per avere dalla loro un genio che potesse far uscire la loro vera voce interiore. Accompagnato dall’allievo Daniel Lanois che Eno voleva consigliare in sua vece, Brian fu convinto invece da Bono a restare — nonostate il capo della Island Records temesse che l’approccio avant-garde di Eno avrebbe affossato una band appena diventata famosa. Invece il mago— assieme al suo fido vice, affidato alla parte tecnica del lavoro — riuscì a donare un suono finalmente coeso alla band togliendo le redini dalle mani di The Edge e Bono e ponendole nelle mani di tutti: The unforgettable fire fu un successo e stabilì Eno come stella del mattino della band (con cui lavorerà infatti, tra alti e bassi, per altri 7 album — tra cui il meraviglioso The Joshua Tree).

Ma quello lì è J-Ax..?

Negli anni ‘90 Brian continuerà la sua ricerca sonora in uscite come Nerve Net (con la sua elettronica semi-rave vicina alle successive sperimentazioni drum’n’bass di Bowie) e continuerà a impegnarsi dietro il mixer — con album come Achtung Baby (canto del cigno degli U2) e 1.Outside (concept-album industrial rock atto a rilanciare la carriera di Bowie — anche se il rilancio durerà poco). Venne addiritura incaricato dalla Microsoft di comporre il suono d’avvio del Windows 95: un compito davvero impegnativo e stressante per un’artista abituato alle miglia marine, quello di condensare la propria poetica in sei secondi netti — e per cui preparò addirittura 84 pezzi, con un attenzione maniacale per il microsecondo. Il sempre britannico Brian, a lavoro ultimato dichiarò infine: 1. di non amare i computer e 2. di aver lavorato al pezzo su un Macintosh…

Entrato negli anni 2000 — mentre la maggior parte gli artisti anni ’70-‘80 era in riabilitazione/casa di riposo e quelli degli anni ’90 già finiti dopo un album («You either die a Cobain, or you live long enough to see yourself become a Corgan») — forse per il suo non essersi mai dovuto preoccupare di spettacoli dal vivo, vendite, promozione, fotografie sexy e dove trovare la prossima dose — quel treno in corsa di Brian Eno non accenna a fermarsi, tra installazioni artistiche, arte audiovisiva e colonne sonore. Arrivato al 2008, mentre produce Viva La Vida (Or Death and All His Friends) dei Coldplay — dimostratosi poi la prova del 9 che nemmeno un team di alchimisti (e parliamo della trinità Brian Eno + Andy Wallace + Bob Ludwig ) possa trasformare il ferro in oro — si rimette al lavoro con David Byrne per creare un disco di gospel elettronico composto a distanza, David a New York e Brian a Londra. E il disco (davvero gospel, «non come quell’altro “disco gospel” che mi ha quasi fatto perdere il lavoro…») si rivela soprattutto una splendida occasione per questi nerd di utilizzare le nuove tecnologie (dalla copertina in computer-grafica, a Cubase, al file-sharing utilizzato per superare la distanza).

Nel 2010 Brian continua il suo approccio alle nuove tecnologie con Small Craft On a Milk Sea, collaborazione con i suoi allievi Jon Hopkins (!) e Leo Abrahams, licenziata per — udite, udite — la Warp Records, l’etichetta con più occhi addosso di tutte. La label sarà stata ovviamente fiera di aggiungere un nome del calibro di Eno al roster, ma sta di fatto che la decisione non sia stata fatta per pura immagine: Brian infatti è uno degli artisti al momento più interessati alle nuove possibilità tecnologiche — essendo sempre stato più un tecnico che un musicista — e infatti in questa direzione vanno le app iOS di musica generativa da lui ideate, Scape, Bloom e Trope (in vendita a 3,99€ sull’App Store) che creano musica tramite algoritmi stimolati dal tocco delle dita sull’Ipad/Iphone. Dopo il suo LUX, installazione d’ambiente per la galleria della Reggia di Venaria a Torino, è nata una una collaborazione fe-no-me-na-le con Karl Hyde degli Underworld (che non hanno fatto solo il pezzo di Trainspotting — ma comunque che pezzo!!): finito il primo sbalorditivo disco Someday World Brian non sente ancora che la coppia abbia detto tutto, e tornata subito in studio — dopo una gemma a tratti grezza tirano fuori un diamante perfetto, High Life. Ma è possibile che tutto quello che tocchi diventi oro? A quanto pare il vero King Midas Sound è quello che esce dallo studio di Brian Eno…

Ma siamo sicuri che Karl Hyde non sia il terzo fratello Gallagher..?

Nel 2016 Brian riesce ancora a spiazzare tutti, con un disco maestoso e vichingo, The Ship, che lo vede in forma smagliante, con gravi canti gregoriani a snodarsi su tappeti di sintetizzatori in apertura, ed in chiusura uno spoken word che svolta in una cover dei Velvet Underground (probabilmente il pezzo più solare che Eno abbia fatto da una trentina d’anni). Chi ancora della vecchia generazione di musicisti riesce ad innovare e rinnovarsi così tanto ogni volta? Oltre a Scott Walker e agli Swans pochi altri vengono alla mente…

L’anno dopo, e cioè l’anno corrente, e quindi per ora questo articolo si conclude, Brian Eno rilascia Reflection, l’ultimo tassello del suo mosaico ambient, e — lo dice lui stesso — il più complicato. Già, perché Reflection non è un album, bensì un’app (39,99€ sull’App store) che tramite algoritmi produce una musica generativa — diversa a seconda del momento della giornata e diversa ogni giorno. Questa musica discreta, che idealmente conclude il percorso ambient di Eno, è in realtà la scintilla che brucia tutta la vecchia ambient e ne permette la rinascita! La musica ambient del domani infatti non sarà più confinata in un formato fisso, ma libera di adattarsi ad ogni evenienza — grazie al magico mondo virtuale dove tutto è permesso (agenzie governative permettendo). E non sta a me predire il futuro, ma sono sicuro che cresceranno app come questa, con dei settaggi sempre più fini e particolareggiati per permetterci finalmente di vivere la vita come un film, e avere la perfetta colonna sonora per OGNI. MALEDETTO. MOMENTO. Magico, vero?

Chiusa. Considerazioni sulla muzak del futuro a parte, guardando alla musica di Brian Eno in chiave totale — il fatto che certe opere risultino “migliori” di altre, alla fine dei conti non conta più di tanto, nell’ottica del considerare che dietro molti dei suoi lavori è l’idea che prende forma a meritare la nostra attenzione. La cosa da osservare è questa: Brian Eno, un ragazzo inglese che studia arte, un giorno ha deciso che sarebbe diventato un musicista pur senza studiare strumenti e storia della musica. Inseritosi per caso in un gruppo, con la forza delle sue sole idee si è costruito una carriera solista — che è andato puntualmente ad annientare per comporre musica d’avanguardia. E mentre sviluppava la sua passione Brian ha seguito e contribuito alla genesi di alcuni dei capitoli fondamentali della musica mainstream dell’epoca — e grazie al suo continuo impegno nello scoprire nuovi suoni, nuove idee, nuovi approcci e concezioni la musica di oggi è profondamente diversa da quella che sarebbe potuta essere. Brian Eno è un modello poi, anche perché non ha mai voluto assurgere al grado di idolo, sapendo bene che gli idoli devono stare fermi per non perdere la propria immagine — come David Bowie, che ha dovuto cambiare mille maschere senza poter mai essere sé stesso, se non di fronte alla morte — in una vita immolata all’arte. Brian invece è una persona comune, con una passione per la musica diversa da quella di David — che da lei è trascinato e per cui farebbe di tutto: Brian la smonta e la rimonta la musica, come vuole lui. Lui si sente come un bambino davanti ad una palla di Pongo, pronto a creare tutto quello che gli frulla per la testa e che non si ferma mai un attimo — anche perché non si è mai fatto fermare da nessuno: si è solo fidato di sé stesso ed ha sempre creduto in quello che faceva, invitando anche le persone in cui credeva a fare lo stesso. Questo artista è riuscito a trasformare la musica seria degli adulti in un gioco da bambini, facendo della sua passione per il creare la sua spinta vitale: infatti domani come ieri lo vedremo sempre vispo e allegro, pronto a creare qualcosa di nuovo e a fare impazzire con il suo pensiero laterale tutte quelle macchine imbronciate che domani devono andare a lavoro e che vivono di se…, ma…, forse… e domani… Brian Eno continua a farci presente che per una vita diversa, basta un pensiero diverso.

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Le canzoni sono state selezionate accuratamente e sono dei biglietti da visita per il resto del disco. Se un disco è contrassegnato dall’emoji 😍 vuol dire che l’ascolto oltre ad essere consigliato è fondamentale per una vita lunga e rigogliosa. Buon ascolto.

1973. Here Come the Warm JetsNeedles in The Camel’s Eye 😍

1974. Taking Tiger Mountain (By Strategy) — Third Uncle

1975. Another Green World St. Elmo’s Fire 😍

1975. Evening StarEvening Star

1975. Discreet Music Discreet Music 😍

1977. Before And After Science No One Receiving + Julie with… + By This River 😍

1977. Low — Warszawa 😍

1977. HeroesHeroes + Blackout + Moss Garden

1978. LodgerRed Sails

1978. Ambient 1: Music for Airports1/1 😍

1978. After the heatLuftschloß + The Shade 😍

1978. More Songs About Buildings and FoodWith Our Love + Artists Only😍

1979. Fear of music I Zimbra

1980. Remain in LightThe Great curve + Once in a Lifetime 😍

1980. Ambient 2/The Plateaux of MirrorArc of Doves

1980. Fourth World vol. 1: Possible musics Ba-benzelé

1981. My Life in The Bush Of GhostsMea Culpa 😍

1981. Ambient 3/Day of RadianceThe Dance #1

1984. The Unforgettable FireA Sort of Homecoming

1987. The Joshua treeI still haven’t found what I’m looking for 😍

1992. Nerve Net Fractal Zoom

2005. Another Day on EarthAnd Then So Clear + This

2008. Everything That Happens Will Happen TodayStrange Overtones + The River 😍

2010. Small Craft On a Milk SeaHorse + 2 Forms of Anger

2014. Someday WorldThe Satellites + Witness 😍

2014. High LifeLilac + Return 😍

2016. The ShipThe Ship 😍

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