Chi ha paura di Woody Allen?

Navigando tra i commenti delle celebrità su Twitter cerchiamo di ricostruire lo scandalo delle molestie che vede protagonista Woody Allen

MP
La Caduta 2016–18

--

Voglio parlarvi degli ultimi eventi concernenti la “caduta” reputazionale e parzialmente professionale di Woody Allen di questi tempi, soprattutto negli Stati Uniti. Dovuta principalmente a una sorta di revival delle vecchie accuse di molestie ai danni della figlia, rimaste sì isolate ma ritornate con una forza mai avuta prima, questa nuova “visione” del regista ha avuto nuova forza tra dicembre e gennaio. Da allora le cose si sono calmate, ma non prima di svilupparsi attraverso un numero incredibile di articoli scritti contro, pro, o né l’uno né l’altro sulla faccenda, un buon numero di attori, donne e uomini che si pentono pubblicamente di aver lavorato con lui, accuse di pedofilia, di essere un predatore, un porco ecc., tutto questo rinforzato dallo scandalo Weinstein e dai movimenti metoo e Time’s Up. Al di là della sfera giudiziaria, altre questioni come il tradimento a Mia Farrow, il matrimonio con la giovanissima Soon-Yi, le lamentele di Mariel Hemingway che dice essere stata molestata da Allen quando era appena 18enne (lamentele del 2015 rispolverate in questi ultimi tempi), e per finire un articolo del Washington Post in cui si rileggono alcuni suoi appunti custoditi in una biblioteca e, per via di alcuni “personaggi” minorenni gli si dà dell’”ossessionato dalle ragazzine”. Ma andiamo con ordine.

Non è mia intenzione annoiarvi o condizionare i vostri giudizi — troppi fanno così, soprattutto sul web. Questo articolo vuole semplicemente analizzare come la figura di Woody Allen sia vista sul web e negli ambienti hollywoodiani, ma personalmente prenderei tutto con un grano di sale. Hollywood e l’Internet non sono posti propriamente “seri” o moderati, quindi vanno considerati per quello che sono: spettacolo, farsa, cultura pop. Per evidenziare questi aspetti ho deciso di avvalermi di screenshot estrapolati soprattutto da Twitter e articoli di giornale.

Tutti sappiamo chi sia Woody Allen e di cosa è (stato) accusato. Nell’estate del 1992 la compagna Mia Farrow gli imputa di aver molestato la figlia Dylan di 6 anni. Dico Mia Farrow e non Dylan perché quest’ultima era solo una bambina, e ovviamente non ha lo status legale per accusare formalmente qualcuno. Questo succede non appena Mia scopre una tresca di Allen con la figlia ventenne, adottiva di lei, Soon Yi. Fatti arcinoti. Allen ha sempre negato, due team di esperti hanno dichiarato che nessun abuso fosse mai avvenuto — ma il procuratore di New York ha sempre ribattuto la necessità di portare Allen a processo, ma non lo ha mai fatto. Da lì più nulla di nuovo.

Negli anni ’90 le accuse di molestie non ebbero un grande effetto, fu anzi soprattutto l’incredibile differenza di età con Soon-Yi a fare scalpore — cosa probabilmente reprensibile e tuttora un unicum ad Hollywood, ma pur sempre legale e per questo priva di grosse conseguenze. Mia Farrow non la fece tanto lunga e, anzi, si eclissò. Allen sicuramente sfruttò bene la rete di conoscenze ed amici che aveva e continuò tranquillamente a lavorare, anche negli anni delle indagini e delle battaglie legali. Piano piano le cose rientrarono nella normalità. Ad oggi Allen e Soon-Yi sono sposati da più di vent’anni e hanno due figlie adottate assieme.

Nel 2014 però Dylan Farrow accusò il padre per la prima volta in prima persona attraverso le pagine del New York Times, e da lì le cose sono cambiarono. Allen non ha mai ritrattato le proprie versioni dei fatti, ma “Il mondo” sì. I media tendono spesso ad esagerare le reazioni — tant’è che nonostante tutto Allen è sempre riuscito a fare film con ottimi attori — ma l’atmosfera non era più quella e da quel momento in poi ogni attore è stato costretto ad affrontare la questione delle molestie. Una domanda di rito e via, tanto tutto è costume e tutto è immagine (questo pare essere sfuggito ai giornalisti).

Questo stalking agli attori di Allen era in parte “giustificato” dal fatto che Dylan avesse attaccato alcune attrici di film recenti di Allen, come Emma Stone e Scarlett Johansson. Allen replica immediatamente ribadendo la sua innocenza e dando la colpa di tutto a Mia Farrow, rea di aver fatto il lavaggio del cervello alla figlia. Inoltre, ed è stata una carta che paradossalmente neanche nell’era del metoo ha poco funzionato, cita l’altro figlio, Moses Farrow che sposa la tesi del padre e che accusa a sua volta la madre di averlo picchiato per anni, e non solo lui. In una società normale si sarebbe dichiarato un “pari e patta” e noi tutti saremmo potuti andare avanti con le nostre vite, invece no.

Di dicembre è la seconda opinion piece che Dylan Farrow scrive, stavolta per il Washington Post, in cui chiede pubblicamente perché il movimento #metoo ha ancora risparmiato suo padre. Ancora una volta, la terza per l’esattezza, si scaglia contro alcune attrici per aver lavorato con lui nei film recenti: le Scarlett Johansson, Diane Keaton ed Emma Stone della op-ed del 2014 vengono sostituite da Blake Lively e Kate Winslet. A nessuno viene in mente di replicare che in realtà non sono proprio cazzi loro, ‘ste povere donne, e che i processi via tweet anche no, grazie. Da allora la pressione è aumentata anche se né il metoo né il Time’s Up hanno preso posizione. Infine: anche se dubito che Dylan abbia scritto il pezzo in un impeto di razionalità, le andrebbe ricordato che, a prescindere dell’ipocrisia di Hollywood o meno, poco importa lo stato penale del regista: fintantoché c’è un mercato, i film li può fare. Penso per esempio a Roman Polanski o a Victor Salva, condannato nel 1989 per aver violentato un ragazzino e per averlo filmato e che negli anni 2000 con Jeepers Creepers 1 e 2 hanno fatto cento milioni a testa nel solo mercato americano. Tenendo poi presente Polanski, semplicemente uno si guarda i suoi film perché è un bravo regista, non un bravo stupratore. La distinzione uomo-artista si fa da sempre, giustamente, altrimenti toccherebbe bruciare i Caravaggio. Gradirei poi ricordare L’Arte Deviata di Hitler: non cerchiamo insomma nemici e problemi dove non ce ne sono.

Ritorniamo a noi: Ellen Page in lungo post su Facebook è stata la prima a inizio novembre a dare alle danze il walzer delle rinunce pubbliche al Woody internazionale, dicendo neppure troppo velatamente che andava processato e punito senza il suo avvocato ad aiutarlo.

I did a Woody Allen movie and it is the biggest regret of my career. I am ashamed I did this. I had yet to find my voice and was not who I am now and felt pressured, because “of course you have to say yes to this Woody Allen film.” Ultimately, however, it is my choice what films I decide to do and I made the wrong choice. I made an awful mistake.

I want to see these men have to face what they have done. I want them to not have power anymore. I want them to sit and think about who they are without their lawyers, their millions, their fancy cars, houses upon houses, their “playboy” status and swagger.”

Ironicamente, è solo nelle dittature che una persona viene processata senza avvocato, e tendono ad essere regimi poco tolleranti nei confronti dei gay, ma immagino ad Ellen non interessi ragionarci troppo su. In fin dei conti, dare del pedofilo a uno sui social non è nulla di che, succede tutti i giorni. E non mi soffermerei troppo a ragionare sul fatto che nel 2014 per X Men — Giorni di un Futuro Passato abbiamo lavorato col regista Bryan Singer, che ha patteggiato per un’accusa di stupro a un giovane uomo. Lui è abbastanza ok, finora, perlomeno paga bene.

Da allora, più di una mezza dozzina di attori ha preso le distanze da Allen (https://www.glamour.com/story/actors-on-working-with-woody-allen; https://broadly.vice.com/en_us/article/xw4783/what-actors-have-said-about-continuing-to-work-with-woody-allen; https://nylon.com/articles/woody-allen-justifications-working-with-him) per fatti noti da vent’anni e che quasi tutti loro conoscevano quando hanno lavorato per lui. Ma tale ipocrisia non è stata propriamente affrontata — tutti erano troppo occupati ad osservare estasiati lo spettacolo. Da dicembre fino a due mesi dopo quasi ogni settimana c’era un articolino, una think piece, un “si può separare l’arte dall’artista?”, “In La Ruota delle Meraviglie c’è una figlia adottiva che inizia una tresca con l’amante della madre — CAPITO!?!?”!1”. Tant’è che ora non ce ne sono più — il mercato ha visto la domanda essere finalmente soddisfatta, e si può passare ad altro.

Un’altra cosa interessante, e la vedremo tra pochissimo, è notare quanto effettivamente sempre più personalità di Hollywood (Judd Apatow, Patricia Arquette, Ellen Pompeo) abbiamo preso a lanciare i loro strali a Woody. Con l’avvento di Twitter è sempre più normalizzato l’insulto o il commento salace quanto questo o quell’artista, oltre che le litigate online delle celebrità, ma fa eccezione questa costante intensità contro Allen. Come se la stessero covando da un po’ e volessero sfogarsi, o come se si fossero pentiti di non averlo fatto prima e volessero rimediare.

Della diversa reazione “europea” parliamo in fondo all’articolo. Ribadisco poi che queste sono tutte cose da prendere con le pinze — it’s Hollywood, darling, e non ha senso prenderla seriamente bensì per quello che è: spettacolo. Nella realtà, Allen a prescindere rimane un regista punto e basta, che può piacere o meno e i suoi film sopravvivranno e di gran lunga, allo scandalo.

Ora basta serietà, divertiamoci un po’.

No Patty, Allen non ha sposato sua figlia adottiva, bensì la figlia adottiva di qualcun altro, come di norma accade. Non è legale in nessun Paese sposarsi le proprie figlie adottive, nemmeno in Iran. Pensavo fosse risaputo, ma l’internet serve anche a toglierti certezze. In quanto al secondo tweet, è in sostanza vero, ma non considero normale pensarci per più di trenta secondi. Oltre, chiamerei i sanitari.

Suppongo tu Patti abbia esperienza nel settore delle adozioni e che non stia assolutamente facendo delle sparate tanto per. Giusto?

Fair enough, ma almeno non fa film di merda.

Apatow non resiste alla tentazione di farsi i cazzi altrui e rimprovera Diane Keaton, ex compagna di Allen e tuttora sua amica per averlo ri-difeso. A parte il “narcissism” che fa sganasciare dal ridere, non immaginavo di dover leggere nel 2018 attacchi alla pornografia tra amanti. Infine, “the child” aveva vent’anni, e l’unica cosa di cui gli si può entrambi accusare è di avere pessimi gusti in termini di amanti.

Il messaggio della Keaton cui Apatow si riferisce è questo:

Il tweet richiama all’unica intervista che Allen a rilasciato in cui si difende, per il resto silenzio assoluto o quasi. È meraviglioso vedere così tanta gente anche famosa scannarsi tra di loro, contraddirsi, insultarsi, ecc., mentre lui si fa i cavoli suoi. Dà l’idea della follia di tutta la faccenda.

Sempre a dicembre, il noto comico americano Louis C.K. ammette di essersi masturbato davanti a 5 donne senza il loro consenso. Una giornalista poco intelligente se ne esce dicendo che, visto il numero molto alto di battute sulla masturbazione di C.K., questo doveva essere un campanello di allarme. Apatow, che a questo punto ha problemi seri a casa o in testa, grazie alle vocine che gli dicono cosa fare si ricollega e dà del predatore seriale a Woody Allen per ragioni che lui stesso non si sente di farci partecipi.

Cioè, in Manhattan (1979) il personaggio di Allen ha una breve relazione con una 17enne, e lavora spesso con attrici molto giovani, così come, ehm, direi tutti i registi del mondo, incluso Apatow. Ma loro sono ok e lui invece un mostro. Ilare.

(Ho lasciato fuori molti tweet di Apatow — scopriteli voi se vi regge il fegato.)

Tale verve contro Allen fa notizia perché di certo non è l’unico ad Hollwood ad essere stato accusato di qualcosa senza conseguenza, penso a Johnny Deep, Christopher Plummer, Emma Roberts o Josh Brolin. Tutta gente che lavora molto, e con profitto. Giustamente, un’accusa non equivale a condanna ma allora perché solo ad Allen fanno scontare il cold case?

Dylan ha concesso un’intervista televisiva il 18 gennaio in cui è ritornata a parlare delle accuse al padre. Non ho notato particolare interesse su Twitter, appunto forse perché la faccenda era interessante prima perché se ne parlava poco, ma ora che così non è più il giocattolo si è rotto e Dylan stessa serve poco alla “causa”. Le famiglie Allen-Farrow continuano a darsele di santa ragione per un pubblico festante e twittante, e siamo un po’ tutti colpevoli, me incluso.

A parte questo, la replica del già nominato fratello Moses, che invece sta col padre (roba da telenovela messicana, ‘sta intera faccenda), non si è fatta attendere e ha affidato ai social i suoi pensieri, con tanto di hashtag (nessuno è perfetto). Ce ne sarebbe abbastanza per dire: “Ok ragazzi, pari e patta, lasciamoli perdere che se la gestiscano loro”, ma figurati.

In Europa la situazione è radicalmente diversa. Attrici inglesi come Cherry Jones e Emily Mortimer hanno difeso l’idea di innocenza fino a prova contraria, come gli spagnoli Antonio Banderas e Penelope Cruz, mentre Javier Bardem ha detto di sentirsi stranito per l’improvviso trattamento riservato al regista (ma non è lui a scrivere questo articolo, anche se non mi dispiacerebbe essere sposato a Penelope Cruz). In Italia poi, negli ultimi tempi ho potuto notare come la classe intellettuale del Paese sia Alleniana, tra cui Francesca Archibugi e Valeria Bruni Tedeschi.

Anche Vittorio Storaro, uno dei migliori direttori della fotografia e che ha lavorato per Allen per tre film di fila, ha difeso a spada tratta il regista. Insomma, se negli States butta male, Allen può emigrare a Trastevere e regalarci un film migliore de To Rome With Love — ci vuole poco.

Tutto bene a casa?

“Angry Black Lady”: ipse dixit. Gli attori che lavorano con un uomo tecnicamente innocente vanno boicottate. La loro immagine è completamente rovinata. Parlavo prima della voglia da parte di molti di trovare colpevoli a destra e a sinistra — questo è uno dei tanti esempi.

Ci sarebbe altro di cui discutere per questa volta finiamola qui per ragioni di tempo e spazio. Un’ultima cosa veloce: prima stavo dicendo che in realtà queste polemiche contano poco e forse ho torto. Il prossimo film di Allen, A Rainy Day in New York forse non verrà distribuito più da Amazon, almeno negli USA. Infatti, la casa di distribuzione sembra avere l’intenzione di ritirarsi dall’accordo firmato col regista dopo la sostanziale perdita a causa degli ultimi due film, soprattutto de La Ruota delle Meraviglie. E gli scandali, le polemiche, tutto questo non aiutano. Sembra una scena de Il Dittatore dello Stato Libero di Bananas.

--

--