Cosa imparare dalla morte di Paragon

Il gioiello di Epic Games lascia il posto al fenomeno Fortnite, senza mai aver decollato. Una breve storia di errori, ritardi e indecisioni

Lorenzo Mondaini
La Caduta 2016–18

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Da quando Internet è entrato con prepotenza nelle stanze e nei computer dei videogiocatori, il rapporto tra utente e produttore è cambiato radicalmente. Si è passati da un certo immobilismo forzato — dove l’unico modo per avere contatti con gli sviluppatori era leggere, sulle riviste dell’epoca, le interviste o i diari di studio dei protagonisti — ad un attivismo senza pari e dai risvolti variabilissimi, grazie all’immediatezza e alla velocità di connessione interpersonale fornita dalla rete. Con l’arrivo dei forum, in una prima fase, implementato in un secondo momento da YouTube, dai social network e da piattaforme come Steam, il controllo dell’utente sullo sviluppo dei videogiochi ha subito un forte capovolgimento, raggiungendo un grado di potere davvero notevole. La possibilità di interagire, nelle fasi di pre-pubblicazione, con gli stessi creatori dei giochi ha certamente rappresentato un passo in avanti nel rapporto tra consumatore-produttore. Allo stesso tempo, però, è aumentato esponenzialmente il tasso di incisività del giudizio in corso d’opera di ogni utente: al giorno d’oggi ogni recensione e commento possono, spesso inconsapevolmente, influenzare il futuro di un videogioco. E nella maggior parte dei casi, con esiti drastici e negativi. (D’altronde, siamo pur sempre in un regime commerciale e le case di produzione devono vendere i loro prodotti se vogliono sopravvivere.) Una delle più recenti vittime di questo rapporto a doppio taglio è il MOBA di nuova generazione Paragon, titolo di Epic Games prossimo alla cancellazione, prevista per il 26 aprile. La storia di uno dei battle arena più interessanti degli ultimi anni, è caratterizzata da un’evoluzione mai completata proprio a causa dall’incessante pioggia di feedback ricevuti dalla sua community — ma anche, bisogna dirlo, di una complicità voluta (e un po’ forzata) di Epic Games.

Annunciato nel 2015 alla Playstation Experience di San Francisco, Paragon venne rilasciato, in modalità pay-to-play (e poi in free-access), nella primavera del 2016. Il gioco si presentava al ristretto pubblico di curiosi di PC e PS4 — una delle qualità del gioco era proprio il crossplay nel multiplayer online — come una sorta di esperimento: se da un lato la visione in terza persona, l’impostazione molto action e la grafica next-gen donavano a Paragon una veste molto moderna, dall’altro la struttura del gioco riprendeva massicciamente le dinamiche MOBA più classiche, cioè mappa asimmetrica con tre lane più giungla, farming dei minions e la solita presenza di torri, inibitori e nucleo finale.

Personalmente ho avuto modo di provare il gioco per un lungo periodo, durante la fase iniziale dell’open beta, nell’estate del 2016. Grazie a questo suo dualismo tra tradizione e innovazione, la fruibilità del gioco era davvero stimolante. Pur essendo in una fase di costante ricerca di equilibrio (tra modalità di gioco, cambio di regole, durata di vita delle torri e dell’Orb, caratteristiche degli eroi), la Epic Games era riuscita a trovare, di base, una formula funzionante che mischiava azione e strategia senza risultare un pastrocchio. Un gameplay tecnicamente elevatissimo poi, con un punta-e-clicca ben trasportato anche su console (nei limiti del possibile, ovviamente), rendevano l’esperienza di gioco molto godibile e, da una prospettiva, unica nel suo genere. Le partite avevano solitamente una durata molto alta (tra i 45 e 70 minuti), principalmente a causa delle lunghe fasi di potenziamento del proprio personaggio e della grandezza della mappa originale, chiamata Agorà (poi rinominata Legacy). Pur essendo un aspetto leggermente negativo per tutti coloro che ricercavano più frenesia, questa lentezza permetteva alla squadra di studiare gli avversari e di concepire delle tattiche precise per raggiungere il nucleo e distruggerlo. L’organizzazione sul campo di gioco, infatti, era l’unica cosa che importava davvero. Per via di questa complessità, le capacità del singolo venivano quasi del tutto glissate da un lavoro di squadra che doveva assolutamente essere imperativo se si voleva raggiungere la vittoria. Lo dimostravano, in special modo, le feroci battaglie che coinvolgevano l’Orb Prime, uno degli elementi più geniali del gioco. Con l’uccisione, sempre molto faticosa, di questo potente Custode, potevano essere acquisiti poteri temporanei o ricostruiti gli inibitori difensivi. Dato che il buff, per attivare questi effetti speciali, doveva essere portato in delle zone specifiche della mappa, situate all’opposto della dimore della grande creatura, nella maggior parte dei casi si scatenavano delle vere e proprie battaglie fulminee tra le due squadre. Questi scontri rappresentavano i momenti più intensi e gratificanti di ogni partita a Paragon, dove le capacità organizzative che, in un secondo piano, quelle singole venivano tutte messe alla prova contemporaneamente. Last but not least, il comparto di progressione del proprio eroe veniva gestito attraverso un sistema di carte poco intuitivo ma molto stratificano, il quale aumentava la profondità dell’organizzazione pre-match.

Dunque, in un periodo che vedeva il successo di giochi come Overwatch o Paladins, entrambi dei MOBA molto influenzati dalla rapidità degli FPS, Paragon si candidava ad essere uno dei progetti più stimolanti del settore, con la possibilità di evolvere enormemente. Purtroppo però, come anticipato, il fallimentare approccio della Epic Games nei confronti della sua community ha decretato la morte del progetto molti mesi prima della drastica decisione di abbandonare il titolo. La Epic Games ha sempre ricercato e poi mantenuto un rapporto strettissimo e dettagliatissimo con il proprio pubblico. Gli aggiornamenti da parte dello staff avvenivano su base settimanale e le discussioni sul forum di proprietà erano sempre molto attive. Ma l’errore, grave e sorprendente, commesso dallo studio è stato quello di aver dato incondizionatamente ragione alla community per cercare di soddisfarla. Specie se quest’ultima è composta da un branco di testardi che non si accontentano mai e che vogliono sempre qualcosa di diverso. Per spiegare la situazione, prendiamo l’esempio più eclatante, quello del cambio mappa di fine 2016. L’impostazione iniziale di Paragon nella mappa Agorà era qualcosa di davvero innovativo per il panorama di genere, ma per una fetta di pubblico le partite erano troppo lunghe, troppo lente, troppo complesse. Dopo mesi di discussioni, la Epic Games invece di scegliere di fare di testa propria, decise di accontentare la massa, cambiando radicalmente il gioco con l’inserimento di una nuova mappa, Monolith.

Più piccola, più asimmetrica, più ricca, Monolith si presentava come un banale regalo da parte di Epic Games alla community affamata — anche se una piccola parte, tra cui il sottoscritto, voleva il ritorno di Legacy. Per quanto costruita con la qualità che contraddistingue, da sempre, ogni lavoro di Epic Games, la nuova mappa metteva letteralmente in disparte tutta l’innovazione portata dalla precedente, in favore di tecniche di gioco più classiche, appartenenti a qualsiasi MOBA standard di turno — tanto che sembrava di giocare a uno Smite sotto steroidi. Nei mesi a venire seguirono l’inserimento di molti elementi di contorno, tra cui quelli utili a monetizzare, ma nessuno dei tanti cambiò la situazione di stallo e di lento declino del titolo. La troppa confusione intorno allo sviluppo del gioco aveva oramai rovinato tutto l’hype che c’era dietro Paragon.

Contemporaneamente il fenomeno Fortnite cominciava a conquistare il mondo videoludico—non a caso la sua gestione sta impegnando, al momento, quasi la totalità dei 700 impiegati di Epic Games. A conti fatti, semplicemente, non valeva più la pena tenere in vita Paragon.

A pochi giorni dalla morte ufficiale del gioco possiamo decretare come quello di Paragon sia stato un esperimento molto promettente ma completamente buttato via. E in questa disfatta le responsabilità della Epic Games sono importanti se non assolute. Per questo fanno un po’ sorridere le recenti dichiarazioni di Tim Sweeney, CEO di Epic Games, ai microfoni di Glixel:

“I’m not sure what lessons to learn from Paragon. We achieved some great things, but it’s real hard to diagnose what happened there. If we didn’t have Fortnite perhaps we could have continued to experiment with Paragon and found some magical direction, but that’s really impossible to know.”

Se non è chiara a Sweeney la lezione da imparare da un fallimento del genere, forse la situazione era più caotica di quello che si poteva pensare. La prossima volta, comunque, basta non dare troppo retta alla fan base. Addio Paragon.

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