Da questa vita non si fugge più — Intervista a Edda

Un incontro in occasione del live al Carroponte nella sua Milano. Tra parole sulla musica di oggi e di ieri, tra passato e futuro

Edoardo Piron
La Caduta 2016–18
9 min readSep 11, 2017

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Quando ho saputo della disponibilità di Stefano Rampoldi, in arte Edda, a concedersi per qualche domanda — sarò sincero — ero molto emozionato e anche un po’ in ansia. Sì, perché la sua discografia mi ha sempre graffiato un po’ l’anima e, il suo ultimo disco Graziosa Utopia l’ho amato, e lo sto tutt’ora amando moltissimo. L’orario d’incontro fissato è quello tra la fine del soundcheck e l’inizio della cena, approssimativamente tra le 19.30 e le 20. Io arrivo al Carroponte un po’ prima, per farmi coccolare tra un piattino di frutta fresca di Kola e una birra ghiacciata, in attesa della telefonata del tour manager di Edda. Il telefono squilla alle 19.33, con Daniele che mi chiede “Dove sei? Che così ti porto Stefano”. Ci troviamo ai tavoloni davanti al forno della pizza e ci spostiamo diretti nella zona backstage, scappando dai volumi altissimi dello stand del Biko che avrebbero coperto troppo le nostre voci nel microfono del mio telefono. Mi presento e fin da subito inizia a chiamarmi Edo, facendomi sentire a mio agio. Nel percorso fino al backstage mi tiene sotto braccio, facendomi delle domande e dimostrandosi molto curioso. Con la maglietta di Liberato, pantaloncini della tuta ed infradito, ci sediamo su una struttura di legno e, di fianco al palco sul quale si esibirà, comincio con le domande (terrorizzato dal fatto che il mio Huawei un po’ scassato non funzionasse e che la musica proveniente dal palco coprisse tutto).

Devo farti due premesse prima di iniziare: ho ascoltato e letto tante tue interviste e devo dire che dopo un po’ le domande mi sembravano sempre le stesse, per questo ho provato a ragionare un po’ e trovarne alcune in qualche modo diverse, ma ti dico già ora che mi puoi serenamente dire che: a) i miei ragionamenti sono stupidi e sto dicendo una marea di cose senza senso; b) se non hai voglia di rispondere ne hai tutto il diritto.

Ti ringrazio, effettivamente stavano diventando un po’ ripetitive…

Ok, incominciamo allora. Domanda tecnica: sei a casa tua e scrivi i tuoi pezzi, quali strumentazioni usi e come scrivi i tuoi testi?

Sarà brutto da dire, ma lo dico a te, Edo. Anzi, in realtà l’ho già detto: io copio, ascoltando musica di altri se quel brano mi apre una finestra lì mi ispiro e la canzone nasce. Prima butto giù la melodia e poi arrivano le parole. Uso la chitarra, anche l’elettrica senza amplificatore, tanto per il chitarrista che sono…

Ok, se nei primi album in cui c’era la chitarra che giocava su power chords, ora con Graziosa Utopia, ad esempio un pezzo come Spaziale che sembra uscito dalla cultura italiana degli anni ’60, sembra essere cambiato il tuo approccio alla scrittura.

Quella musica è la prima che ho ascoltato nella mia vita, gli anni ’60 e ’70, e si vede che mi è rimasta in circolo. Era una gran musica e probabilmente molto difficile per me da approcciare, perché sono molto primitivo nella scrittura dei brani.. Spaziale non l’ho copiata, è tutto mio, sia il giro che la melodia della voce.

Edda — Spaziale

Pensavo: nei primi dischi parli molto di madre e padre, mentre sembra che con l’ultimo tu abbia superato la loro figura in qualche modo, dedicandoti ad un argomento più “normale” che è l’amore. Perché? È un momento della tua vita particolare?

Probabilmente è perché mi sto avvicinando alla musica leggera italiana di cui parlavamo prima. In quegli anni, prima dei cantautori impegnati, si parlava di banalità come è l’amore, per il quale sono state comunque scritte canzoni interessanti. Non essendo io un filosofo o un politico, non ho un messaggio per la nazione, parlo di cose semplici con un lessico familiare, e quindi parlare d’amore e di ciò che gli sta intorno viene più facile.

Ma illuminami: hai imparato/scoperto qualcosa sull’amore?

No, semplicemente trovo che sia il tema su cui la musica leggera fa perno da sempre. Dai: l’amore, il sesso…

Nei primi dischi si sente uno sfogo nei tuoi confronti, come se provassi una sorta di odio verso te stesso; ora, con questo cambio verso l’amore, come vivi te stesso? Come ti vivi? Hai trovato una serenità o l’avevi già trovata anche prima ma sentivi la necessità di buttare fuori tutto?

Ce l’avevo anche prima, se allora facevo un po’ l’arrabbiato, ora mi mangio le penne all’arrabbiata al massimo. Non è mai il caso di prendersi troppo sul serio, sono una persona normale e sì, sicuramente prima venivo fuori da un periodo non tanto bello, non che adesso sia meraviglioso, però ho trovato un po’ più di equilibrio.

E qui hai trovato la voglia di parlare di cose un po’ più leggere.

Esatto, anche prima però avevo risalito la china.

Ora vorrei farti una domanda non comodissima diciamo, ma se non hai voglia di rispondere dimmelo pure eh.

Io rispondo a tutto, tranquillo.

Ok allora vado; nel tuo passato ci sono storie di droga che conosciamo tutti in qualche modo e nei tuoi testi si trovano ancora molti riferimenti a questa; io vorrei sapere che tipo di rapporto hai con le persone che intorno a te si fanno, anche perché è comunque un ambiente in cui la droga gira, e come questo tuo vissuto ha influenzato non tanto i primi lavori, in cui è palese, ma l’ultimo.

Partiamo dall’influenza della droga sull’ultimo disco: semplicemente non ne ha avuta. Sì, c’è qualche riferimento, ma così, tanto per scherzarci sopra. Per quanto riguarda l’argomento droga, da quando esiste l’uomo esiste la droga o comunque l’intossicazione, anche perché penso che la vita sia stata sempre qualcosa di difficile da affrontare. Le scappatoie ci sono sempre state, è una cosa davvero vecchia come il mondo, c’è chi purtroppo ci finisce dentro, ben sapendo che è una trappola però ti dici “sai chi se ne frega tanto il conto lo pago più avanti”.

E come la vivi la droga nell’ambiente musicale?

Il panorama è un po’ cambiato, se negli anni ’70 entravi in un parco a Milano e i tossici li vedevi stesi per terra o sulle panchine, adesso mi raccontano che è tutto più “discoteca, cocaina, pastiglie, ecstasy, chimica” in cui però ci si trova sempre la stessa spinta che ti porta a farlo: cambiano le droghe ma le motivazioni sono sempre quelle. Il disagio, la paura di affrontare la vita, la voglia di non soffrire, come le ho avute io a venti/trent’anni è ovvio che i ragazzi ci si ritrovano dentro. I vent’anni sono sempre vent’anni di tutti credo, no?

Lo credo anche io…

Non so come fossero i vent’anni nell’antica Sparta o di cosa si facessero, ma pure loro immagino avessero le loro vie di fuga.

Cambiamo argomento. Noi tendiamo molto ad idealizzare gli artisti di cui siamo fan e ci piace sempre quando torniamo con i piedi per terra, scoprendo che sono essere umani esattamente come noi. Com’è la giornata di Edda?

Io prima lavoravo e passavo la giornata dell’operaio a fare i ponteggi. Lavorare mi dava un certo equilibrio perché finalmente mi sentivo inquadrato in società, pagavo l’affitto, insomma mi aiutava. Ora sono tornato ad essere completamente trasversale: essendo un musicista non di successo devo venire a compromessi e, se a vent’anni era più semplice, ora che ne ho 55, in realtà 54, mi sento un coglione.

Perché?

Perché a quest’età in qualche modo ti piacerebbe avere la tua casa, la tua macchina, il cane, la famiglia, passare per uno che può provvedere a se stesso e agli altri e invece siamo tornati nella totale precarietà. Però vabbè, diciamo che almeno questo talento me lo riconosco ed è giusto coltivarlo.

Quindi dai…fai la giornata del musicista!

Sì, più o meno. Ho molta disciplina per una mia esigenza personale e religiosa, cerco di alzarmi presto perché mi piace molto la mattina, canto il mantra Hare Krishna e ultimamente ho provato ad aiutare la mia ragazza, che fa l’interprete, a tradurre delle cose sue. Mi arrabatto. Ora col tour e il nuovo disco da fare sono sempre impegnato in realtà.

Già il nuovo disco?

Quando sono in tour preparo già il prossimo disco perché sono immerso nella musica e mi viene più facile.

Ora vorrei affrontare un tema a me molto caro: la musica di oggi. Ti ho sentito parlarne tante volte, però vorrei capire una cosa: vieni da una scuola che è quella dei Ritmo Tribale, che in qualche modo ha aperto la strada alla scena underground italiana degli anni ’90 (Afterhours, Marlene Kuntz). Tu che hai visto tanta musica, come la trovi la scena odierna? Io confusissima.

Il mio album si è piazzato in qualche modo in un trend di musica che è un periodo in cui va molto, anche se non è stato voluto, e proprio per questo ho potuto vedere tanti musicisti della scena odierna. A me sinceramente piace, magari non va più tanto il rock, ma tira più il pop; ecco, a me piacciono le canzoni, le melodie. Le ballate rock degli Afterhours certo che mi piacciono, come i Marlene e i CCCP, però mi piacciono anche i Thegiornalisti e Calcutta, e non lo dico per essere paraculo. Oddio, in realtà un po’ lo dico sperando di avere un giorno il loro successo e magari mi sistemo (ride). Quando ho sentito Cosa mi manchi a fare ho pensato che fosse proprio una bella canzone. Mi piace la canzone che sta andando adesso dei Thegiornalisti, mi piace la canzone che ha vinto Sanremo (Occidentali’s Karma di Gabbani).

Ecco oddio, carina quella canzone eh... Un po’ banalotta direi...

Una canzone pop melodica perfetta. Ah, mi piacciono anche le cose nuove che ha presentato Samuel per esempio. Forse il rock alla Afterhours non c’è più, ma a me non dispiacciono ‘ste cose.

Sentire Gabbani che butta merda su Manuel Agnelli a me sinceramente ha fatto male al cuore però...

Io penso che Manuel Agnelli sia un monumento, trent’anni di carriera ed effettivamente uno non può dirgli una cosa del genere.

Arriva il pischello e si permette, con un po’ di ignoranza aggiungerei, di parlare male di un monumento come dici tu…

Lì effettivamente ha fatto una figura di merda, questo è sicuro. Perché chiunque farebbe una figura di merda in confronto a Manuel Agnelli. Devo dire però che quella sua canzone pop della scimmia la trovo una grandissima canzone.

Ti vedo ottimista sul futuro della nostra musica allora. Io non riesco tanto ad esserlo, se ascolto il tuo disco ci sento un tipo di lavoro diverso, a partire dagli arrangiamenti fino alla tua voce. L’impressione è un’altra qualità.

Mi sa che non facciamo successo perché il cantante è brutto allora. Io in realtà ho rispetto per qualsiasi musicista e se si evita di fare a gara a chi ce l’ha più grosso è sempre meglio e si fa una figura migliore. Ben venga la musica. Non voglio essere superficiale ma a me piace tanta roba, sia quella più impegnata che quella più semplice. Quando una canzone è bella è bella, magari poi nell’album nove brani su dieci fanno cagare eh…

Su questa cosa mi trovi d’accordo. Mi sono trovato però a confrontarmi con mondi un po’ opposti musicalmente parlando e non ci sto capendo più niente.

Ci ragiono poco e mi godo le canzoni che mi piacciono, nulla di più. Magari alle volte è difficile che passino in radio le belle canzoni, un tempo la ascoltavo moltissimo ora mi guardo solo dal passarle vicino... Il panorama italiano lo trovo in qualche modo stimolante, mi sono guardato Sanremo e ho trovato due o tre cose che mi sono piaciute, la canzone che ha vinto mi è piaciuta tantissimo e Manuel Agnelli rimane senatore a vita e per fortuna che c’è. (Partono gli Ex-Otago dalla playlist del Carroponte). Ecco anche loro, non sono nati dal nulla ma si sono fatti la loro bella gavetta e hanno fatto la loro fortuna. Mi fa felice la fortuna degli altri e spero arrivi anche la mia prima o poi.

Dai non dire così, il tour sta andando bene!

Sì ma non ci passano in radio... Poi gli addetti ai lavori hanno apprezzato quindi va bene così, mi dà speransa.

Vista la tua maglietta, per concludere: chi è Liberato?

Io lo so chi è. Siamo in pochi a saperlo e mi hanno castrato, non posso dirlo. In realtà dai, te lo dico: potrei essere io.

L’accento non mi convince.

Forse hai ragione, o forse no.

Un assaggino del concerto al carroponte

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