Dai Moba ad Overwatch, come il gioco online forma una nuova tipologia di gamer

Raffaello Fratini
La Caduta 2016–18
6 min readAug 31, 2016

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Ormai è diventato palese a tutti che il panorama videoludico ha subito, e continua a subire, un’alterazione che va verso l’irreversibile. Da quando League of Legends è riuscito a sdoganare il gioco online e trasformarlo in qualcosa che vada oltre al semplice gioco competitivo, ci siamo trovati di fronte anche all’evoluzione del giocatore stesso. In effetti proprio grazie alla forza aggregante dei MOBA anche le software house maggiori si stanno rapidamente rendendo conto che, forse, il futuro del videogioco online si trova in forme semplici e di ampia attrazione.

Cominciando con calma, il genere MOBA guadagna diffusione al pubblico tramite Warcraft 3, il titolo di strategia della Blizzard che molti conoscono. Eravamo nel 2002 e in quel periodo nessuno sospettava che una mod personalizzata potesse dare una scossa del genere al mondo del videogioco online, ma a posteriori analizzarne i motivi del successo non risulta poi così difficile. Già alla sua nascita DOTA aveva un grande fascino, dato dalla capacità di unire le caratteristiche gestionali di un GDR a quelle (seppur con ovvie differenze) del gioco arena competitivo come Unreal Tournament o Quake 3. Il gameplay si rivelava essere un mix bizzarro, ma efficace, di tre generi: Strategico, GDR e action arena. Ma Warcraft 3, per quanto potremmo elogiarne le qualità di gioco e anche quelle della modalità DOTA, era comunque di vecchia generazione. Nel suo design non c’erano richiami e potenzialità tali da poter attirare a se altro tipo di interessato al di fuori dell’amante del fantasy, del fissato con la strategia e magari dicendolo con ironia, dello sfigato occhialuto. Era il 2002 ed era pieno di sfigati occhialuti nel genere videoludico, teniamolo bene a mente.

La Riot sa come catturare l’attenzione

Poi nel 2009 arriva la grande rivoluzione, League of Legends (sempre abbreviato in LoL). Come fa un gioco che riprende semplicemente il gameplay di DOTA ad effettuare col tempo una vera rivoluzione culturale all’interno del microcosmo dei videogiocatori? Lo fa utilizzando una strategia di marketing interessante, essendo gratis tranne che per contenuti opzionali, ma sopratutto lo fa con un’opera di apertura concettuale e stilistica al mondo “normale”, quello proprio al di fuori del sopracitato microcosmo. LOL è colorato come ti aspetteresti da un’opera Disney, i personaggi sono caricature e stereotipi “cannibalizzati” da altre opere e per nulla omogenei tra di loro ma in cui praticamente chiunque può trovare un eroe tratto dal suo genere preferito. Non c’è una storia da seguire e neanche ore di filmati in CG da guardare per capirci qualcosa, l’ambientazione non è coerente con se stessa ma al nuovo arrivato, a quello a cui del GDR interessa poco o semplicemente a chi cerca un passatempo gratis non importa assolutamente nulla di tutto questo. LoL Taglia fuori il noioso e lo specialistico, lasciandone una minima parte per i veri appassionati, mentre fa più che l’occhiolino al giocatore occasionale o ancor meglio al non giocatore. Diventa tutto rapidamente un vortice, il gioco a squadre basato sulla collaborazione e un formato unicamente PVP sono tutto quello che serve ad attirare il fanatico della competizione, ma il design neutro e l’atmosfera allegra permettono a chiunque di interessarsi al gioco a colpo d’occhio. Diventa un’esplosione inarrestabile, dato che fama tira fama, e la Riot (la casa di sviluppo) ne cavalca l’onda in maniera magistrale. Nel giro di pochi anni tutti conoscono LoL, ed ecco che ci ritroviamo ad avere lo scenario di oggi, con giocatori professionisti che partecipano a mondiali seguiti da decine di migliaia di persone, forniti di sponsor e con tanto di cori da stadio a fargli da sottofondo assieme all’immancabile carro di cosplayers al seguito.

In tutto questo è emerso un vero e proprio nuovo tipo di giocatore. Difficile da definire e impossibile da individuare, annienta il costrutto dello sfigato occhialuto di Warcraft 3 essendo perfettamente integrato nell’ambiente circostante. Non abbiamo più il frequentatore di fumetterie e ludoteche vestito con abiti vecchi di almeno dieci anni che (s)viaggia mentalmente fra Tolkien e l’animazione giapponese, che si isola dalla realtà nel mondo virtuale all’interno di un piccolo gruppo di pari, come potevano essere le gilde e i clan dei primi MMO. Il nuovo giocatore della generazione MOBA è rappresentato dalla ragazza carina e curata che frequenta l’università, in grado di destreggiarsi all’interno di una serata in discoteca tanto bene quanto sul campo di battaglia virtuale; è il trentenne che lavora con poco tempo da dedicare al gioco online ma che non ha scordato le sue radici da videogiocatore su Starcraft; è il il ragazzino minorenne che mastica gaming gratis a colazione ma tiene una vita sociale più attiva della mia. In poche parole, il nuovo giocatore online non è certamente qualcuno che fugge dal mondo reale in una nicchia fantastica per pochi eletti, ma è anzi qualcuno che cerca quanta più aggregazione possibile con chiunque condivida quell’unica passione con lui. Con estrema facilità ci capita di sentire la frase <<Ah giochi anche tu? Dammi il tuo nick che ti aggiungo!”>> scambiata tra due persone esteriormente e magari anche mentalmente opposte, ma collegate semplicemente dal filo del gioco virtuale. Particolarmente significativo è il fatto che i social più diffusi, come Facebook e Whatsapp, stanno soppiantando Teamspeak e altri canali specialistici, dandoci un’idea molto importante di come il mondo del videogioco e quello reale sono stati messi in contatto da questo nuovo esemplare di videogiocatore.

Dove sono finiti i miei colori?

Dopo il fenomeno LoL, diversi altri hanno tentato di seguirne la via, con risultati mai equiparabili (per quantità di iscritti ed effetto culturale) a quelli dell’originale. DOTA 2 è si simile al suo concorrente, ma più complesso e dai tempi più lunghi. Che sia questo il motivo della grande differenza di giocatori? Non credo, o almeno non basta solo questo. Non lo è neanche la community interna al gioco, spesso venefica come il cianuro proprio come accade anche sul suo concorrente. A mio parere è il design, la scelta stilistica che accompagna DOTA 2 a non permettergli di avere lo stesso impatto sulla massa rispetto a League. Basta guardare la singola mappa dai toni scuri e pesanti, gli eroi clonati in maniera quasi identica a quelli del fantasy classico (si potrebbe anche dire stantio) che era Warcraft 3, e in maniera ancora più superficiale l’organizzazione dei menù e dell’interfaccia. Gli manca il tocco di colore, l’ambiente spensierato e brillante di LoL, oltre che la miriade di piccoli dettagli infilati all’interno di esso per renderlo gradevole a prima vista, skin e gadget buffi inclusi. Non voglio dilungarmi sugli altri MOBA gratis, ma vorrei spostare in ultima analisi l’attenzione su Overwatch della Blizzard. Qui devo dire che ci troviamo veramente di fronte all’opportunità di avere a che fare con un nuovo successo su ampia scala. Mischiando ancora una volta meccaniche provenienti da altri giochi, attingendo a man bassa agli stereotipi tipici del genere supereroistico e dando al tutto un tocco colorato, quasi bambinesco senza però tralasciare la presenza di armi e sparatorie a più non posso, Overwatch ha quello che serve per poter attecchire su un pubblico di ogni età, genere e preferenza. Non guasta il buon lavoro di marketing fatto dalla Blizzard, che sommato al gameplay solido e divertente può riuscire ad attecchire completamente su questa nuova generazione di giocatori.

Pixar style

In conclusione, abbiamo parlato di come siamo arrivati ad avere questa nuova coscienza globale del videogioco online, che ha portato a sviluppare un tipo diverso di videogiocatore. Sulla ormai assillante domanda che ci viene spesso posta, quella riguardo a se tutto questo sia un bene o no per l’industria videoludica, ci sarebbe da parlare ancora a lungo. Per ora, posso limitarmi a dare una breve sintesi e il mio verdetto: ebbene si, l’intrattenimento non esce danneggiato dagli eventi recenti. Tutto quello che è accaduto sta portando a quella che è una evoluzione del videogame, e spostarci da un fenomeno di nicchia ad uno aperto al grande pubblico può creare importanti variazioni in un sistema che rischia di stagnare. Mi chiedete se c’è il rischio di una banalizzazione? Certamente si, ma per ora la prospettiva per il futuro non rimane poi così tetra.

Originariamente pubblicato via Facebook Notes il 5 Luglio 2016 sulla nostra pagina Facebook.

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