Donne Stellari: Rogue One e la “Forza” femminile
Da Star Wars a Hunger Games, da Wonder Woman a Lara Croft, la forza è donna. Ma è già stereotipo?
Quando da piccola giocavo al computer con Tomb Raider, speravo e sognavo che un giorno sarei diventata come Lara Croft. Non aspiravo tanto alla ricchezza o a una quarta di reggiseno (questioni che avrebbero preso vigore con gli anni), quanto alla sua forza, non solo fisica, ma che si esprimeva anche come intelligenza e determinazione. Lara era quel “supereroe” nel quale potevo immedesimarmi davvero, perché probabilmente non avrei mai avuto la sua prestanza fisica, né sarei mai stata impelagata in complotti interdimensionali per appropriarsi del potere di chissà quale divinità sterminatrice delle isole della Papua Nuova Guinea, ma una cosa sicuramente avevamo in comune: sì, esatto. Un po’ meno volgarmente, però, potremmo dire la femminilità, inteso come “essere donna”.
Negli ultimi anni, nel piccolo e nel grande schermo, soprattutto nel genere fantascientifico e supereroistico più commerciale, sembra prendere piede un nuovo modello femminile che richiama, anche se involontariamente, l’eroina del videogioco. Rogue One: A Star Wars Story segue la scia e trasforma Jyn, una combattiva ragazza acqua e sapone, nella guida carismatica della fazione più idealista dei ribelli idealisti. Poi sapevamo tutti come sarebbe andata a finire. Prevedibilità della trama a parte, l’eroina dello spin-off di Star Wars si fa portatrice di alcuni elementi che la rendono un buon modello di analisi per questa nuova figura della cultura pop contemporanea. Le nostre giovani donzelle hanno caratteristiche ben specifiche che cercherò di riassumere in modo breve e schematico.
La questione finale, tuttavia, è una e una sola: possiamo già parlare di stereotipi?
Nota bene: com’è ovvio, non tutte le eroine possiedono ognuno di questi fattori, ma molte di esse ne condividono in quantità.
- Belle, ma non troppo. Gli ultimi film mostrano delle eroine che sono belle, sì, piacenti, ma non fighe-stellari. Jyn Erso, interpretata da Felicity Jones, è certamente bella, ma non bella-bellona-bellissima alla Lara Croft nella versione Angelina Jolie. È una bellezza un po’ più pacata, un po’ più funzionale. Per tutto lo spin-off, inoltre, non ci viene mostrato un solo centimetro di pelle della protagonista.
E Natalie Portman? Bella ed elegante, l’abbiamo vista con quella schiena scoperta che aveva fatto fremere un po’ tutti, non solo Anakin Skywalker. Ma quando Padmé deve entrare in azione, ecco tornare in scena la famosa, pratica tutina bianca, già indossata dalla principessa Leia. Se un certo cambiamento, dunque, sembra già presente nella seconda trilogia, qualcosa accade nel settimo episodio. La femminilità di Rey, quel tipo di femminilità seduttiva e sessuata, ancora oggi sistematicamente accentuata nei film supereroistici, viene camuffata sotto spessi strati di fasciature, sotto quel faccino sporco che pare richiamare appositamente la giovane Lara Croft di Rise of the Tomb Raider, i capelli sapientemente spettinati dal vento del deserto e gli scarponi che (finalmente) sostituiscono i tacchi improponibili della Catwoman di Nolan.
Una bellezza “normalizzata”, dunque (sarà un caso che le ultime eroine del cinema, Star Wars e Hunger Games compresi, non siano bionde, ma castane?). “Ma il vestito da schiava sexy della principessa Leia?”, mi chiederete. Niente di più femminista. C’è bisogno di ricordare la principessa che, proprio vestita da odalisca, strangola con la catena che la rende schiava il lumacoso Jabba the Hutt? Esiste qualcosa di più metaforico?
- Prestanza fisica. Le nuove eroine sono forti, agili e sanno come usare un’arma, sia essa l’arco di Katniss Everdeen, la spada laser di Rey, o il blaster di Jyn.
- Chiamiamola tenacia, ma è proprio testardaggine. Se si chiede a Padmé di rimanere a Naboo per la propria sicurezza, a Jyn di non guidare la ribellione, a Eowyn di rimanere entro le mura di Rohan, sappiamo tutti come andrà a finire. Sono donne testarde che non vogliono rimanere chiuse entro i confini del ruolo che la società patriarcale impone loro.
Donne che escono dalla staticità del personaggio classico femminile per appropriarsi del dinamismo, della mobilità tipica della figura maschile. D’altra parte è la stessa Disney a dettare le regole di mercato e dubito serva ricordare che, sì, anche Star Wars è ormai un prodotto di Topolinia. L’anticonformismo delle protagoniste disneyane si esprime attraverso i ricci selvaggi di Merida in Ribelle: The Brave e nell'ultimissimo Oceania, in cui una giovane donna tahitiana incarna l’eroina celebrata in tutte le leggende del suo popolo.
- No all’amore (almeno fino alla fine del primo tempo). A differenza dell’eroe forte maschile che, un po’ alla James Bond, espande al massimo la propria sessualità e virilità con ogni cambio di location, la donna forte ripudia l’amore e guarda con disprezzo quel co-protagonista maschile che sembra rubarle la scena. Almeno fino a metà film, come dimostrano Leia e Han Solo, Padmé — “no, Ani, sono una senatrice e tu sei solo un padawan” — Amidala e Anakin, Rei e Finn (?), Jyn e Cassian (loro sì). In generale, rifiutare l’amore significa imprimere forza al proprio ruolo di donna.
- Un passato difficile. Sì, questa è una storia vecchia come il mondo. Gli eroi hanno un passato complicato, conflittuale, di solitudine e violenza. Nulla di nuovo, i supereroi ci combattono da un secolo. Ma il passato delle donne stellari è imprescindibilmente legato alla figura paterna. Il rapporto padre-figlia, in particolare il distacco dei due, è fondamentale nello sviluppo della trama e di quel minimo di piatto approfondimento psicologico dei personaggi femminili. Se nella prima trilogia di Star Wars è la relazione padre-figlio a essere dominante, qui la questione è del tutto rovesciata. Oltre a Rey e Jyn, ricordiamo la piccola assassina di casa Stark, Arya.
Menzioni super-speciali. Il discorso è poco valido per le supereroine Marvel e DC. La bellezza di Gal Gadot, protagonista del prossimo Wonder Woman, rispecchia tanto i canoni divini di Hollywood, quanto quelli della tradizione (spesso concepita da uomini per uomini) fumettistica. Un esempio recente?
Margot Robbie (Harley Quinn) in Suicide Squad è un classico esemplare di figa-stellare, interprete d’eccezione dello snaturamento di un personaggio che, nelle pagine di un fumetto, avrebbe usato quelle calze a rete per tentare di accalappiare Batman, non il pubblico in sala.
Conclusioni. È proprio il mondo dei supereroi a offrirci una chiave di lettura finale. Come ho scritto poco fa, i fumetti sono stati spesso tacciati di proporre una visione maschilista della donna, del suo corpo e della sua funzione, spesso accessoria. Per avvicinare il pubblico femminile al mondo dei comics è stato necessario rimodernare la selezione di personaggi sia su carta (vedi Spider-Gwen e Jane Foster, la “lady-Thor” annunciata da casa Marvel nel 2015), sia al cinema, e le nuove Wonder Woman e Harley Quinn della DC si muovono in questa direzione. Per essere ripetitiva ricordo che anche nella Marvel Entertainment scorre sangue disneyano. Coincidenze? La nuova figura femminile del cinema sembra seguire i dettami introdotti dalla Disney per ampliare finalmente il proprio mercato al pubblico femminile non solo con i cartoni animati, ma anche con i film di supereroi e le grandi saghe, vere e proprie cornucopie commerciali. Queste figure di donne forti e intraprendenti (più o meno nude) lanciano un nuovo modello nel quale le spettatrici possono immedesimarsi, ma la necessità di renderle prodotti commerciali non può che produrre protagoniste stereotipate e poco diversificate.
In ogni caso, sempre meglio Jyn Erso delle calze a rete di Harley Quinn.