Il doppiaggio è uno strumento obsoleto?

Matteo Ciacci
La Caduta 2016–18
4 min readSep 23, 2016

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Quella del doppiaggio è una realtà ormai consolidata in Italia sin dai tempi del Neorealismo, in cui a posteriori veniva sostituita o semplicemente ritoccata la voce degli attori recitanti per correggere non solo i toni “sgradevoli” ma anche le impurità lessicali che avrebbero reso difficoltosa la comprensione dei dialoghi. Una lunga tradizione, insomma, che ha portato la scuola dei doppiatori italiani ad essere fra le più apprezzate ed esperte al mondo; tant’è che ad oggi qualsiasi cosa entra nel nostro paese viene doppiata prima di essere distribuita. Film, serie tv, documentari, libri e non solo subiscono un processo di riadattamento, talvolta parzialmente fedele all’originale, talvolta del tutto fuorviante e fortemente “italianizzato”. Curioso ad esempio è stato il destino del film Eternal sunshine of the spotless mind la cui traduzione in Se mi lasci ti cancello desta ancora perplessità, nonché un grande interrogativo nei cuori di chi ha cercato di sbrogliare questo divertente rompicapo linguistico. Un altro capolavoro del passato che ha subito questa sorte è stato Dial M for Murder di A. Hitchcock, noto al pubblico italiano come Il delitto perfetto: un titolo più accessibile per i fruitori del cinema di genere, ma una scelta povera di stile, che abbandona l’impatto dell’originale. Un’altra pratica interessante, invece, è quella di accoppiare al titolo in lingua originale un sottotitolo con intento esplicativo. Questo esperimento ibrido si potrebbe definire un buon compromesso, se non fosse per il fatto che spesso gli accostamenti sono così azzardati e improponibili da stravolgere il senso generale.

In italiano tradotto come “ Il delitto perfetto

L’arte del doppiaggio porta con sé tante difficoltà, in effetti, ma anche molte contraddizioni. Non si tratta, infatti, di tradurre semplicemente da una lingua ad un’altra; doppiare significa riadattare, reinterpretare, ahimè trasfigurare. È un processo che modella contenuti visivi e sonori per rendere più appetibile una frase, un’espressione, una pellicola intera a chi la fruisce, cioè a chi decide di pagare il biglietto per vedere il film. Il fruitore passeggia in centro, guarda la locandina, legge il titolo: se il titolo lo attira, il fruitore paga e guarda il film (doppiato). In un certo senso il doppiaggio non è un’arte, ma un servizio: lo è e lo è sempre stato.
Sono ormai più di ottanta anni che il doppiaggio ha dato la possibilità agli spettatori di cinema e televisione di venire a contatto con culture diverse e ha stimolato curiosità per situazioni che stanno al di là dal contesto locale, ma tutto questo ad un prezzo non indifferente. Possiamo vedere di tutto, possiamo arrivare a decifrare tutto, ma stiamo osservando la realtà attraverso un filtro. Il doppiaggio è bene, il doppiaggio è male. Ci possiamo fidare? La risposta è che dobbiamo prendere le giuste precauzioni. Viviamo in un’era in cui la tecnologia è diffusa capillarmente in ogni aspetto della vita, a partire dalle mansioni quotidiane. Basta collegarsi per seguire in diretta l’inseguimento di un narcotrafficante per le vie di Sacramento e sapere quando verrà arrestato con la stessa facilità con cui si scopre chi ha vinto le amministrative. I nuovi mezzi di comunicazione hanno accorciato, anzi azzerato qualsiasi distanza: possiamo ancora considerare il doppiaggio come uno strumento per abbattere le barriere culturali? Abbiamo ancora bisogno che qualcosa venga filtrato prima di essere fruito? Edward Sapir, noto linguista asserì che «la lingua è una guida alla realtà sociale» e perciò ciascuna struttura linguistica rappresenta una realtà differente; così anche ogni piccolo gesto, dallo stringersi la mano al comportamento a tavola, è diverso da cultura a cultura. Certo, al mondo esistono centinaia di lingue, impossibile conoscerle tutte, tanto meno padroneggiarle a livelli tali da poter tenere il filo del discorso; soffermiamoci però sul cinema anglofono. Esso è una bella fetta del repertorio cinematografico mondiale e il più distribuito in Italia. Se tempi indietro la conoscenza della lingua inglese era il valore aggiunto del singolo, oggi saperla capire e parlare è ormai una necessità e una competenza imprescindibile. Eppure continuiamo ad andare in giro a dire «Qua sono io che faccio le domande!» oppure «Ho i federali incollati alle chiappe!» magari facendo anche la voce grossa per imitare meglio il nostro attore preferito che è americano ma guarda caso parla in italiano! Sembrerebbe tutto così perfetto, se non tirassimo in ballo una logica di mercato che ci reputa pigri e talvolta ignoranti.
In sintesi, il doppiaggio è stato fondamentale nel corso degli anni, sempre lo sarà, ma non è comunque uno strumento che permette di sviscerare aspetti e tematiche profonde. Dover sbirciare ogni volta la parte bassa dello schermo per leggere i sottotitoli è una bella scocciatura, rende la visione più difficoltosa senza dubbio. Tutto dipende dall'uso che vogliamo fare di un’opera: possiamo fagocitarla senza troppi complimenti o, al contrario, tentare di assimilarla (magari vedendola e rivedendola) cercando di trarre dall'opera anche quel significato non mediato da nessun diaframma: quella realtà priva di filtri, per alcuni forse sgradevole, ma autentica.

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