Al (Paper Boi) e Earn

Dovreste tutti guardare Atlanta: Robbin’ Season

La serie di Donald Glover ha già raggiunto la sua maturità ed è la miglior cosa trasmessa in TV quest’anno

Tommaso Tecchi
La Caduta 2016–18
7 min readMay 15, 2018

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I messaggi contenuti nel video di This Is America di Childish Gambino hanno fatto talmente tanto scalpore da attirare persino l’attenzione dei media mainstream italiani; nel frattempo Donald Glover, se ancora qualcuno non avesse imparato a riconoscerlo, nella sua veste ufficiale ha presentato una puntata intera del leggendario Saturday Night Live e ha interpretato Lando Carlissian nel nuovo spin-off di Star Wars, Solo. Eppure la sua opera più importante sembra ancora non aver fatto presa sul pubblico del nostro paese. Sarà che abbiamo già abbastanza problemi interni per poterci preoccupare anche di cosa accade nel sud degli Stati Uniti — meglio ripiegare sulle care vecchie storie di mafia che ci fanno sentire così protetti. Sarà che Netflix ci toglie tutto il tempo bombardandoci di originali, tanto invitanti quanto inutili, di cui ci dimenticheremo nel giro di qualche settimana — quanti di voi hanno tolto Sky? Sta di fatto che la seconda stagione di Atlanta, appena conclusa sul canale statunitense FX, andrà in onda su Fox da questo giovedì. Evidentemente gli ascolti della prima stagione in Italia non hanno costretto nessuno a decidere di trasmetterla in contemporanea, spingendo ogni spettatore dotato di computer e connessione a internet a guardarsela tutta in streaming (illegalmente).

La prima stagione di Atlanta (di cui vi abbiamo parlato qui) raccontava la vita Earn (Glover), che tra una difficile paternità e una situazione economica precaria decide di diventare il manager di suo cugino Alfred, il rapper emergente Paper Boi. Sullo sfondo delle vicende che legano questi due personaggi, l’eccentrico amico Darius e la compagna di Earn Vanessa, c’erano le stranezze della città: razzismo quotidiano, polizia violenta, spaccio di droga, sparatorie; tutte raccontate con coraggiosa ironia e schiettezza. Il formato comedy da meno di mezz’ora si scontrava abbastanza con le tendenze del momento, ma la brillante regia di Hiro Murai (sempre lui dietro la clip di This Is America) riusciva a dare un punto di vista credibile anche sulla breve durata. I punti di forza di Atlanta erano la leggerezza e la semplicità con cui mostrava situazioni normalmente drammatiche e complesse, così con la seconda stagione gli autori hanno deciso di stravolgere tutto e di renderla la cosa probabilmente più strana andata in onda quest’anno. Sicuramente la più valida. Il titolo di questo nuovo capitolo è Robbin’ Season (la stagione delle rapine), espressione che ci viene subito spiegata da Darius nei primi minuti: “Natale si avvicina e tutti devono mangiare”. Così il primo cambiamento è un aumento della violenza e delle armi, influenzato anch’esso — così come il singolo di Childish Gambino — dalle recenti stragi che stanno portando il popolo americano all’esasperazione.

Darius

Subito dopo, però, Atlanta prende una piega ancora più imprevista, mette da parte il filo narrativo generale per dedicarsi alle singole giornate di uno o più personaggi alla volta. Conosciamo il nuovo arrivato Tracy, un energumeno senza cervello in cerca di lavoro e col vizio del furto. Vediamo sempre meno Paper Boi alle prese con la sua carriera e sempre più Al in mezzo a disavventure a tratti comiche (Episodio 5: Barbershop) a tratti terrificanti (Episodio 8: Woods). Seguiamo i momenti di intimità nel difficile rapporto tra Earn e Van in un episodio (Episodio 4: Helen) ambientato ad una festa a tema Baviera e pieno di litigi volutamente lunghi e logoranti. L’apice viene probabilmente toccato in occasione della giornata-tipo di Darius che, pur rimanendo la figura più geniale dell’intera serie, in questo caso è poco più che uno spettatore come noi. L’episodio 6, il più lungo di tutti (41 minuti), è infatti un vero e proprio cortometraggio dalle tinte horror, in linea con il successo di Get Out (in cui peraltro compare lo stesso attore che interpeta Darius, Lakeith Stanfield) e ambientato nella casa di un vecchio pianista ritiratosi dopo una carriera piena di successi. Il protagonista si trova lì per acquistare un pianoforte con i tasti colorati e si ritrova davanti un inquietante personaggio con più di un’affinità con Michael Jackson (la voce acuta, la pelle bianca in modo finto, il difficile rapporto con il padre): Teddy Perkins. Il musicista è interpretato da un irriconoscibile Donald Glover, che a quanto riportato dai presenti è rimasto nel personaggio anche sul set fino alla fine delle riprese. Da questo momento in poi Atlanta si è evoluto in qualcosa di diverso, ha raggiunto la sua maturità e ha dimostrato che chi ci lavora ha praticamente carta bianca da parte del network. Ciò spiega la libertà con cui si passa drasticamente da un genere all’altro, si cambia totalmente situazione e punto di vista, andando addirittura indietro di decenni fino ai tempi in cui i due cugini protagonisti frequentavano le medie (Episodio 10: FUBU).

Teddy Perkins

[Il paragrafo seguente contiene alcuni spoiler delle ultime puntate della stagione]

Certo, alcuni capisaldi del primo Atlanta sono ancora presenti. I rimandi alla cultura popolare e alla scena rap sono ancora più sottili, come dimostra la puntata interamente dedicata a Drake (Episodio 7: Champagne Papi) o la parodia della “mamma arrabbiata che se la prende per i testi espliciti di Vince Staples” nell’intro del terzo episodio. Lo struggle continuo di Earn è ancora al centro di tutto ogni volta che la narrazione rientra su binari più ordinari e la sua vicenda personale assume lati ancora più complessi, facendo sì che lo spettatore un momento provi empatia per lui e quello dopo lo veda come un totale coglione. L’aspetto che viene però sviscerato in maniera più esplicita è ancora una volta la questione razziale, specialmente nelle ultime due puntate, che ci lasciano un messaggio ben poco confortante. In occasione del grande throwback alle scuole medie di FUBU, un episodio di bullismo legato alla sospetta autenticità di una divisa da football genera delle terribili conseguenze; l’unica massima che la madre di Earn riesce a trasmettere al figlio una volta tornato a casa è questa:

“Sei un uomo nero in America, quando incontri nuove persone devi avere un bell’aspetto. I tuoi vestiti sono importanti”.

L’episodio ripercorre le origini del particolare legame che c’è tra Earn e Al (Paper Boi), altro punto chiave di questa Robbin’ Season. Earn, nonostante l’epilogo della prima stagione ci aveva fatto ben sperare, non è in ottima forma e suo cugino è costretto a metterne in discussione la posizione all’interno del suo entourage. Un manager dovrebbe accompagnare la crescita di un artista, non limitarla, e le recenti scelte del protagonista sicuramente non sono state tra le più azzeccate. Fino al finale di stagione Earn si tormenta in attesa della decisione ultima del rapper, ed è qui che Darius dimostra ancora una volta tutta la sua saggezza:

“Siete entrambi neri, questo significa che entrambi non potete permettervi di fallire”.

È anche grazie a questa delucidazione che Earn trova la forza per mutare il suo comportamento e dimostrarsi un vero uomo agli occhi del cugino. In partenza per un tour europeo, durante i controlli in aeroporto il protagonista si accorge di avere ancora con sé una pistola comparsa per la prima volta ad inizio stagione. Con un istinto di sopravvivenza mai visto prima sposta l’arma dal suo zaino a quello di Clark County, rapper headliner del tour (nonostante Paper Boi meritasse di ricoprire questo ruolo). Due piccioni con una fava: evitare l’arresto e contemporaneamente permettere ad Al di scavalcare il suo collega nelle gerarchie della tournée.

“I n***i faranno tutto ciò che serve per sopravvivere perché non hanno altra scelta. Neanche noi abbiamo scelta. Sei l’unico che sa di cosa parlo. Ti importa, a me serve questo”.

Con queste parole Al riferisce a Earn di essersi sbagliato sul suo conto e toglie di mezzo ogni dubbio sul futuro del loro rapporto lavorativo. Peccato però che anche Clark County sappia benissimo cosa bisogna essere disposti a fare per “sopravvivere” e poco dopo sale a bordo del volo, lasciando intendere la facilità con cui ha scaricato la pistola al suo stesso manager facendolo arrestare al posto suo.

La morale generale di Atlanta: Robbin’ Season è così rivelata ed è tutto tranne che rassicurante: un uomo nero ad Atlanta deve sapersi difendere su più fronti; da una società che non sembra voler fare passi avanti in merito alla sua integrazione, da una maggioranza di persone bianche che gli sbattono in faccia la loro posizione privilegiata e infine da quelli che dovrebbero essere i suoi fratelli, pronti a rubare e uccidere pur di mangiare e restare in vita. La stagione precedente è riuscita a farci sorridere mentre ci informava su quanto il mondo faccia schifo; quest’ultima ha preferito farci passare attraverso storie esemplari, autoconclusive, spesso più metaforiche che realistiche, ma sempre raccontate con un linguaggio visivo e un’originalità che non si vedono tutti i giorni in televisione. Dopotutto è stato proprio Donald Glover ad ammettere di voler fare un “Twin Peaks con i rapper”, anche se — aggiunge Nick Love in questo articolo — “i n***i non sanno niente di Twin Peaks”.

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