Enter Devilman

Netflix con “Devilman Crybaby” ha centrato il bersaglio. Vediamo perché, ripassando la storia del seminale manga di Go Nagai.

Michele Bellantuono
La Caduta 2016–18

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Sarà colpa di un’abitudine alla diffidenza indotta da non poche produzioni deludenti, il fatto che per una buona fetta di abbonati sia difficile digerire le notizie che riguardano le nuove produzioni “made by Netflix”. Specialmente se le novità riguardano una delle categorie sulle quali la piattaforma di streaming ha deciso di investire più concretamente: quella degli anime. L’offerta al momento include storie nuove (Neo Yokio), ma anche cult del passato e, cosa in assoluto più temuta, nuove produzioni ispirate a franchise (Castlevania) o manga (Death Note) di successo. Concentriamoci su quest’ultimo punto, esprimendo un giudizio sul nuovo adattamento animato di uno dei manga più celebri della storia del fumetto giapponese, il Devilman firmato Go Nagai. Parliamo allora di quello che da molti appassionati è stato precocemente definito l’anime dell’anno, uscito su Netflix nei primi di Gennaio: Devilman Crybaby. Prima però di affrontare la natura di questa trasposizione decisamente libera, costituita da 10 episodi totalmente fuori dagli schemi che rileggono la storia originale in chiave pop, vale la pena di capire l’importanza dell’opera originale. Partendo proprio dal suo autore.

Go Nagai

Sarebbe davvero ingiusto non riconoscere ad un autore come Go Nagai il titolo di mangaka leggendario. Probabilmente, tra gli appassionati di manga sparsi in tutto il mondo, coloro che ignorano le sue opere si possono giusto contare sulle dita delle mani: non si può nemmeno portare avanti un discorso sull’evoluzione del manga senza chiamare in causa il nome di Nagai, tra i più celebri, omaggiati e soprattutto citati maestri nipponici del fumetto. Questo è un elogio che non va certo preso con leggerezza; l’ingresso in una fase più matura e moderna del manga, in particolare del formato rivolto alle fasce d’età giovani (shōnen), avvenne a cavallo tra la fine degli anni ’60 e i ’70 sulla spinta offerta dal successo immediato di opere controcorrente e rivoluzionarie, quali quelle prodotte all’epoca dal mangaka di Wajima. Attraverso i manga di Nagai il target predefinito dello shōnen (ragazzi d’età compresa tra i 12 e i 18 anni) viene a contatto con una realtà del tutto nuova, che all’epoca riuscì a suscitare non poco scandalo: l’erotismo velato e implicito di La scuola senza pudore (Harenchi Gakuen), primo manga di successo dell’autore, apre la mente dei giovani giapponesi e dà veramente inizio ad una fase nuova per tutta l’industria del fumetto.

Un passo fondamentale è stato compiuto e Nagai, incurante delle polemiche attorno a quello che oggi potrebbe essere considerato il primo fumetto hentai (“perverso”) della storia, procede a gran ritmo sfornando nello stesso anno, il 1972, quelli che possiamo considerare i suoi lavori più seminali: Mazinger Z e Devilman, seguiti a breve distanza da Cutey Honey. Oggi, passati con questo 2018 cinquant’anni dall’inizio di carriera di Go Nagai, ci bastano questi tre titoli per capire la profonda influenza che l’autore ha avuto nell’opera degli artisti successivi. È evidente l’impronta femminile di Cutey Honey su una serie shōjo (shōnen per il gentil sesso) come Sailor Moon, anche considerando il fatto che fu Nagai a inventare la topica trasformazione magica della donna in eroina (sfruttando la situazione per introdurre alcune scene di nudo). Ancora più forte è l’eco di Mazinger Z, classico fumetto “di robottoni” (il genere mecha cha ha fatto impazzire un po’ tutti i maschietti occidentali) in cui però viene introdotto un elemento nuovo, destinato a segnare gli sviluppi futuri del popolarissimo genere: la presenza del pilota umano. Un particolare che ha indicato la strada ai vari Gundam e alle mille e proficue declinazioni del genere prodotte da allora fino ad oggi. Lo stesso Hideaki Anno, ideatore dell’anime di culto Neon Genesis Evangelion, ha dichiarato quanto sia stata fondamentale l’influenza del manga di Go Nagai sulla sua seminale rivisitazione del mecha; ma Anno e il suo Evangelion devono molto anche a un altro lavoro prodotto da Nagai nel ’72: l’infernale manga di Devilman.

Primi volumi di Mao Dante e Devilman

Nato come rivisitazione di una trama sviluppata in precedenza, quella di Mao Dante (un mecha-horror ispirato alle incisioni della Divina Commedia a cura di Gustave Doré), Devilman è il manga progenitore di un filone a tema demoniaco e apocalittico che vedrà successivamente una grande fortuna, specialmente in quegli anni ’90 nei quali la creatività degli autori dell’orrore esplose in anime e fumetti per adulti, dal contenuto maturo, caratterizzato da toni pessimistici, erotismo violento ed elementi “splatter”. È Kentaro Miura a realizzare alla fine degli anni ’80 la perfetta combinazione di questi ingredienti, regalandoci uno dei manga più violenti di sempre: Berserk, capolavoro che probabilmente non avrebbe visto la luce senza un precedente del peso di Devilman. La ragione di questa influenza è presto detta; Devilman integra in una trama tutt’altro che complessa alcuni degli elementi che hanno permesso a Nagai di rivoluzionare l’arte del fumetto: il risultato è un racconto senza freni, ricco di sequenze di violenza e denso di richiami erotici e satanici. La narrazione presto assume un ritmo frenetico, quello di una danza infernale che conduce dritti nell’Apocalisse, nella quale ogni uomo si trova a fronteggiare la propria nemesi: il proprio “demone” interiore.

L’influenza di Devilman (tavola di destra) sulla variegata fauna demoniaca del manga Berserk (a sinistra) di Kentaro Miura è evidente.

La storia ruota attorno a due poli, paralleli ma assieme contrapposti: due amici d’infanzia legati da un forte legame, Akira Fudo e il misterioso Ryo Asuka. Akira è un giovane tranquillo, poco incline alla violenza: un individuo dal cuore puro. La sua vita cambia improvvisamente quando l’amico Ryo gli confida un terribile segreto appreso dal padre archeologo, morto in circostanze macabre: i demoni non sono fiabe per bambini, ma esistono e vivono proprio sulla Terra. Il potere dei demoni risiede nella loro capacità di possedere corpi di altri esseri viventi, mutando la propria forma per scopo di sopravvivenza. Per sconfiggerli è necessario raggiungere il loro livello di potere; questo è possibile attraverso una speciale fusione tra uomo e demone, in cui il primo deve ottenere il sopravvento sul secondo. Akira, su spinta disperata di Ryo, accetta di affrontare questa prospettiva per il bene dell’umanità: durante un Sabba, un party disinibito di uomini e donne suscettibili alla possessione demoniaca, Akira si lascia inconsciamente possedere da un potente spirito, il demone guerriero Amon.

Devilman vs Sirene. Le tavole di Nagai esprimono frenesia, violenza e crudeltà senza censure.

Akira Fudo diventa così Devilman, un diavolo dal cuore umano e dall’immenso potere ereditato dall’entità infernale che gli consente di trasformarsi in una crudele controparte bestiale. Il suo scopo è combattere in segreto le armate infernali presenti sulla Terra, ma i piani di Ryo presto prendono una piega diversa. L’amico lo tradisce, mostrando in mondovisione il video della sua trasformazione: la popolazione, ora a conoscenza del mistero dei demoni, cade nel panico più totale e, da parte loro, i demoni iniziano il loro personale massacro. Ne segue una guerra di proporzioni mondiali, nella quale non possiamo più distinguere tra uomini, devilmen o demoni, tra inferno e paradiso: è davvero l’inizio dell’Apocalisse.

Niente di simile si era mai visto sulle pagine di uno shōnen. Diavoli femminili a seno scoperto, corpi martoriati dalla tortura, folle in preda al panico, teste mozzate di adulti e bambini: le tavole di Nagai lasciano pochissimo spazio all’immaginazione del lettore dando all’incubo forme così precise da essere facilmente riconoscibili anche nella loro trasfigurazione in opere di autori successivi. Possiamo ad esempio immaginare che i disegni più macabri e luciferini di Nagai abbiano colpito l’immaginazione di un incredibile illustratore di violenza quale Kentaro Miura, tanto da aver probabilmente ispirato la stessa Eclisse di Berserk, forse la più raggelante rappresentazione del caos infernale che abbia mai toccato carta stampata. Per quanto riguarda l’immaginario demoniaco, la combinazione horror-erotismo (che in contesto nipponico ha già una sua ben definita tradizione nel genere denominato ero guro) sembra poi partire da Nagai per raggiungere ed influenzare molti lavori degli anni ’80 e ’90, ad esempio gli anime tratti dai romanzi di Hideyuki Kikuchi diretti da Yoshiaki Kawajiri, nei quali oltretutto ritorna il tema della lotta secolare tra razza umana e diabolica (La città delle bestie incantatrici, Demon City Shinjuku).

Devilman, La città delle bestie incantatrici, Vampire Hunter D: i demoni certo non mancano nei manga e anime giapponesi. Il contributo di Go Nagai è stato fondamentale per la formazione di un nuovo immaginario demoniaco in fumetti e opere d’animazione.

Stesso discorso può essere esteso ai vari Hellsing e Vampire Hunter D. Infine torniamo a Neon Genesis Evangelion. Sì, perché quell’immaginario celeste e infernale chiamato in causa da Devilman, filtrato dalla dichiarata fonte dantesca, si riversa rielaborato in chiave occulta e psicanalitica nel rivoluzionario mecha di Hideaki Anno. Anche Neon Genesis Evangelion parla di “angeli” antagonisti e di un’umanità sulla soglia dell’Apocalisse, inserendo nella storia di Shinji e compagne riferimenti simbolici alla religione cristiana, alla Cabala e al mondo esoterico.

Devilman è dunque questo…e molto altro. Messa da parte la crosta d’intrattenimento, fatta di sanguinose battaglie tra mostri buoni e cattivi, il messaggio di fondo è di natura tutt’altro che manichea. Nagai sbatte in faccia al suo lettore una tragica rappresentazione della formula latina homo homini lupus, costruendo un mondo bipolare popolato da uomini che, alla prima occasione, rinunciano ai propri freni morali per dare sfogo alla propria paranoia, uccidendo indiscriminatamente diavoli e membri della propria specie. Lo shōnen di Nagai diventa allora terreno di indagine per denudare vizi e peccati della contemporaneità; dai bombardamenti nucleari alla guerra fredda, dall’Inquisizione alla discriminazione razziale, senza tralasciare la sfera più direttamente quotidiana, passando quindi per bullismo e violenza domestica. Questi elementi concorrono a rendere il messaggio di Devilman sempre attuale e permettono persino di trasportare la vicenda in un contesto rinnovato: ovvero, nella società odierna nella quale i vizi qui nominati non sono certo stati sconfitti. Anzi, ne sono davvero emersi di nuovi sulla spinta di un progresso non sempre felice. L’eredità del manga di Go Nagai è quindi pronta per passare nelle mani del regista Masaaki Yuasa e dello scrittore Ichirō Ōkouchi, che danno vita a Devilman Crybaby.

Akira Fudo/Devilman in “Devilman Crybaby”

Ribadiamo subito una cosa: quella di Yuasa e Ōkouchi (noto sceneggiatore di Berserk — L’epoca d’oro e Code Geass) non è una trasposizione “fedele”, come invece tutto sommato erano le precedenti versioni anime (quella uscita nei lontani anni ’70 e quella del 1987). Il che davvero non vuol dire nulla; siamo nel 2018 e ormai dovremmo tutti aver capito che, nel contesto di un’operazione di adattamento, il criterio della perfetta aderenza al modello conta molto poco al fine di giudicare la qualità del prodotto finale. Lo sforzo che gli autori compiono per ri-contestualizzare la trama di Devilman nel nostro presente è degno di stima, oltre che pienamente coerente. La storia delle arti, della settima in particolare, ci ricorda che la grandezza di un autore sta anche nella possibilità di riprodurre la sua opera in contesti cronologici (o geografici) a essa estranei. Basti pensare alle tante ottime attualizzazioni dell’opera shakespeariana, dal Il trono di sangue di Akira Kurosawa al Titus di Julie Taymor.

Morte di Akira Fudo…nascita di Devilman

Gli autori procedono dunque in questa direzione, consapevoli che lo scenario apocalittico immaginato da Nagai non può perdere consistenza nel contesto contemporaneo. Le tecnologie e i “vizi” del nuovo millennio, specialmente smartphone e social network, trovano il loro spazio all’interno di una storia concepita negli anni ’70 senza che vi sia contrasto. La trama non perde in definitiva nulla, né il suo incedere dinamico né la sua tragicità, seguendo fedelmente lo stesso binario di violenza, emotività e distruzione che correva lungo le pagine del manga. La variazione più sostanziale riguarda piuttosto due aspetti: l’impatto visivo e la caratterizzazione dei personaggi.

Go Nagai non risparmia nessuno nel suo macabro racconto, nemmeno i bambini. “Devilman Crybaby” si dimostra comunque all’altezza del modello, con le sue sequenze crude e situazioni di grande drammaticità.

Affidi l’animazione di Devilman a un Masaaki Yuasa (regista di anime visivamente unici come Mind Game o The Tatami Galaxy) e cosa ottieni? Un delirante caos avvolto da visioni psichedeliche, un’allucinazione che ignora qualsiasi equilibrio cromatico o proporzionale per inondare lo schermo di sagome grottesche; tutto questo alternato a sequenze dominate da un pacifico senso di quotidianità, in cui comunque può far breccia qualche briciola di assurdità. Il livello dell’animazione forse non è al top, ma non si sente al necessità di un’immagine più realistica; lo stile di Yuasa è disarmonico ed eccentrico e può incontrare l’antipatia di molti spettatori, ma il tono crudo del manga è pienamente conservato, mentre la rappresentazione del caos finale è persino sublimata dalle allucinanti sequenze illustrate da Yuasa: Devilman Crybaby non è certo una visione per “stomaci deboli”, vista la quantità di svisceramenti, stupri e omicidi a sangue freddo che non risparmiano nessuno, bambini inclusi.

Completa il quadro una colonna sonora suggestiva e anch’essa in parte bipolare, capace sia di evocare atmosfere diaboliche che fare da sottofondo a momenti di forte emotività. Il contesto contemporaneo permette di inserire pezzi di dubstep dalla cadenza drammatica, oppure brani di musica elettronica dal sapore retrowave governati da potenti bassi che si alternano a cori solenni, mentre passaggi di musica rap giapponese, recitati da un gruppo di giovani personaggi, descrivono gli sviluppi della trama. La perfetta scelta musicale, già ampiamente contestata dai puristi, aiuta moltissimo ad immergersi a fondo nella vicenda, ma soprattutto fornisce un ritmo incalzante e infine tragico a ciascun episodio: grazie alla colonna sonora composta da Kensuke Ushio a momenti si ha davvero la sensazione di essere coinvolti in un Sabba infernale. L’effetto è angosciante e al tempo stesso, quando accompagnato dal ritmo di una melodia particolarmente epica come quella della traccia “D.V.M.N.”, esaltante. Nel repertorio non manca nemmeno un rifacimento del brano utilizzato nella sigla storica, “Devilman no Uta” (canzone tra l’altro già pronta a diventare meme).

“Devilman Crybaby” gioca, anche più del manga, su un’alternanza di immagini e situazioni di natura opposta: da un lato domina la violenza, legata all’influsso demoniaco, dall’altro si inquadra la serenità quotidiana e il mondo degli affetti

Finora sono emersi un buon numero di aspetti positivi e già si può intuire il giudizio finale su questo anime: Devilman Crybaby è davvero un adattamento eccellente del manga di Go Nagai. L’essenza di Devilman risiede però soprattutto nei suoi personaggi, che sono poi il veicolo di carne e ossa che veicola il messaggio di cui parlavamo. Devilman Crybaby non delude neanche sotto questo punto di vista e, oltre a rispettare con attenzione molti passaggi chiave del manga, presta particolare attenzione ai dettagli e ai momenti di emotività. La mano mozzata di uno dei rapper, scorta per pochi secondi, tradisce la natura demoniaca della sua carnefice, che poi è la ragazza di cui si era innamorato. Oppure il commosso abbraccio tra due ragazze rivali prima della carneficina, attimo fondamentale in una narrazione segnata dalla demonizzazione della competitività tra individui. Oppure ancora la lacrima suscitata dal selfie dell’amante morto, ucciso in un momento di delirio demoniaco. Lacrime che non sono affatto prerogativa degli esseri umani, così come non lo è l’amore (lo dimostra il sacrificio del demone Kaim per proteggere la sua amata Sirene).

La paranoia collettiva è sufficiente a trasformare gli esseri umani in creature dagli istinti bestiali, privi di ragione.

Devilman, tanto il manga quanto l’anime, si interroga costantemente sulla significato ultimo dell’umanità, illuminandoci costantemente sul fatto che quella linea di confine tra umano e diavolo è davvero sottile; la calpestano solo i devilmen, i demoni che hanno mantenuto controllo sugli istinti e sul proprio cuore: a loro spetta dunque scegliere tra l’illusione di un Paradiso e la certezza di un Inferno in cui poter comunque regnare, una circostanza certo più miltoniana che dantesca.

Ōkouchi, responsabile della storia, inserisce nell’anime molti più personaggi rispetto a quelli presenti nel fumetto di Nagai, e ciò gli permette di estendere il raggio delle relazioni umane ed approfondirne ulteriormente i rapporti. Particolare attenzione è rivolta ai protagonisti, Akira e Ryo, coppia che funge da vero fulcro per sviluppare il messaggio morale di Devilman; la loro amicizia è un legame che resiste fino agli ultimi episodi, nei quali vengono scoperti i piani dello stesso Lucifero, incline a lasciare che l’intera razza umana si estingua in una guerra intestina sulla spinta della paranoia. D’altra parte l’aggiunta di personaggi secondari permette alla sceneggiatura di arricchirsi di nuove situazioni, approfondendo in particolare quei legami affettivi tra gli individui ai quali Nagai lascia meno spazio (avendo a disposizione solo gli affetti costituiti dalla famiglia adottiva di Akira).

Ryo e Akira

In Devilman Crybaby è inquadrato in particolare il rapporto profondo tra Akira e la “sorella” adottiva Miki, la cui cruenta morte spingerà Devilman a sfidare lo stesso Lucifero. Tra i personaggi secondari, sono pochi a non restare impressi nello spettatore, sia per il loro tragico destino sia perché la caratterizzazione ad opera di Yuasa è sempre coinvolgente. Basti pensare ai simpatici rapper di strada, che intrattengono lo spettatore con le rime del loro J-rap.

J-rapper in azione

Oppure al bellissimo personaggio dell’atleta Miko (completamente assente nel manga), ragazza che per invidia dell’amica più veloce (Miki) si lascia vincere dall’odio, permettendo ad un demone di regalarle un’accelerazione disumana. Personaggi noti ai lettori di Nagai si alternano dunque a volti nuovi, rendendo la trama se possibile ancora più dinamica e ricca di interazioni. Trattandosi di Devilman, questo però significa anche mettere altri corpi sull’altare dell’Apocalisse.

Miki e Miko

La potente immagine finale (forse una citazione dello scenario post-apocalittico di End of Evangelion, quasi a confermare uno scambio di eredità tra l’opera di Nagai e quella di Anno) lascia forse l’amaro in bocca. Ma in fondo è il punto terminale obbligato di un percorso che, passando per istinti bellici, odio, corruzione morale, egoismo e xenofobia approda infine alla tragica distruzione di tutto ciò che all’uomo è caro: il proprio pianeta, la propria pelle, i propri affetti. Ecco perché è fondamentale che questa nuova incarnazione animata del Devilman di Nagai sia un “crybaby come specifica il titolo, cioè un “piagnone”. L’anime di Yuasa e Ōkouchi coglie con questo dettaglio un aspetto chiave espresso nelle intense pagine di Nagai: la consapevolezza che gli uomini, unici veri mostri di questa Terra, piangono sempre quando ormai è troppo tardi, ripetendo ciclicamente gli stessi gravi errori. Una ciclicità che, se aspetterete la fine dei titoli di coda dell’ultima puntata, vedrete sottolineata da una breve ma potente scena finale.

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