Far Cry 5: il proselitismo nella pax americana

Far Cry 5 mostra uno dei mille volti di un paese socialmente instabile e riconcepisce il brand proponendo un titolo di cui la saga sentiva il bisogno.

Stefano Cappuccelli
La Caduta 2016–18

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Un denominatore comune in molte produzioni videoludiche è quello di disporre il giocatore di un comparto antagonista dotato di particolari elementi fisici, estetici e comportamentali. Nel corso dell’ultima decade, uno dei franchising che più ha incarnato questa metodica di scrittura è sicuramente Far Cry.

Quando nel marzo del 2004 Ubisoft rilasciò Far Cry, la stampa di settore ebbe modo di rodare un titolo che, per quanto abbastanza standard alle più canoniche tecniche di gameplay tipiche degli shooter di primissima epoca millennial, presentava importanti innovazioni riguardanti la stesura dello script narrativo. Non fu un caso che a coadiuvare la Crytech di Cevat Yerli, Ubisoft affiancò nientemeno che Alexis Nolent, noto scrittore hardboiled transalpino. L’introduzione di un plot duro, prorompente e testosteronico, rese Far Cry una piccola perla, limitata ai tempi unicamente dalla mancanza di un porting per console, che avvenne solo quattro anni più tardi, proprio alle porte di Far Cry 2.

Il secondo capitolo del brand a mio modesto avviso è da sempre il più bistrattato. Benché non innovasse molto — nonostante il coding offerto dagli hardware del periodo — Far Cry 2 proponeva un comparto narrativo largamente più duro e realista, analizzando e affrontando il delicato tema delle guerre insaguinate che da sempre tormentano ogni angolo d’Africa. Far Cry 2 andrebbe annoverato per essere stato il preludio al più peculiare aspetto che da Far Cry 3 è divenuto un marchio di fabbrica: il male geniale espresso nella follia.

La creazione del personaggio di Vaas Montenegro, rappresenta in toto la massima espressione di scrittura creativa. Non a caso dalla sua uscita nel novembre del 2012, Far Cry 3 non solo divenne lo standard di qualità della saga, ma persino uno standard stilistico di scrittura. Il terzo capitolo del franchising è da sempre il più blasonato e apprezzato, non solo per un rinnovato comparto tecnico, caratterizzato da una versione migliorata del Dunia Engine 2 (introdotto timidamente nel capitolo precedente), ma anche e soprattutto, da una metafisica costantemente presente e percepibile; merito anche di un grandioso Brian Tyler, che con le sue composizioni a metà fra il neoclassico e l’EDM dava una meravigliosa profondità al gioco. Una nota di margine andrebbe fatta anche per il suo DLC, Blood Dragon, a mio avviso una delle espansioni più belle di sempre, nonché un’enorme manifesto alla più stereotipata e bella cultura pop americana anni ’80, costernata perennemente da forti atmosfere Synthwave in pieno stile Power Glowe (firmatari della ost tra l’altro).

L’immenso successo conseguito da Far Cry 3, ebbe però uno spiacevole effetto rebound. Quando nel novembre del 2014 venne rilasciato Far Cry 4, l’opinione generale su di esso si divise letteralmente. Le aspettative riguardo il nuovo capitolo — il primo su next-gen — erano molto alte, in particolare a causa dell’enorme bagaglio culturale ereditato dal superlativo terzo capitolo. In casa Ubisoft decisero quindi di limitarsi a seguirne i passi, riproponendo l’intera gamma di punti di forza che l’avevano reso un cult. Per ovvie ragioni, uno di quei punti, orbitava proprio sulla stesura di una figura che per il pubblico potesse ricordare la folle eredità di Vaas Montenegro. Scrissero così la figura di Pagan Min. Far Cry 4 presentava un setting completamente opposto alle soleggiate spiagge del tre, questa volte sostituite dalle bianche vette dell’Himalaya. Seppur gradevole, Far Cry 4 oltre a delle suggestionali panoramiche — garantite dall’evoluto Dunia Engine 2 — non offrì nulla di realmente nuovo, riproponendo molti dei più diffusi aspetti del brand. Come se ciò non bastasse, seppur apprezzabile, l’iconografia di Pagan Min non era nemmeno lontanamente accostabile a quella del suo predecessore.

Giunti a questo punto, bisognerebbe aprire un’ulteriore parentesi al progetto diametrale — che per comodità chiameremo ugualmente spin-off — che prede il nome di Far Cry Primal. Sorge però un problema piuttosto basilare: non ho superato le cinque ore di gioco. Non disponendo del materiale per poterne adeguatamente parlare, passo oltre, a quello che potremmo definire il vero proselitismo della follia: Far Cry 5.

Fin dalla sua prima presentazione all’E3 del 2017, Far Cry 5 seppe sdoganare quel sentore di maledizione che Far Cry 3 sembrava avere attirato sul franchising, presentando un villain più reale di quanto Vaas lo sarebbe mai stato.

Siamo negli Stati Uniti, più precisamente nel cuore del Montana, nella fittizia località nota come Hope County, la classica contea di montagna dal forte aroma redneck. Qui, impersoneremo un’agente federale che nelle fasi di prologo dovrà consegnare un mandato di arresto/cattura al reverendo John Seed, un soggetto dai forti richiami Battisti che proprio a Hope County ha eretto la sua comunità: la Eden’s Gate.

Far Cry 5 presenta un impianto tecnico notevolmente migliorato, sia per quanto riguarda il comparto grafico, sia per la dinamicità garantita dallo storico motore fisico Havok. Il gameplay è di stampo classico, con un affermato sistema di shooting in prima persona congiunto a un sistema di progressione punti caratterizzato dall’immancabile skill set. A differenza dei precedenti capitoli, qui è possibile definire la morfologia fisica del proprio personaggio attraverso una finestra di editor, dando al giocatore la possibilità di costruire il/la proprio/a protagonista (sì, è possibile definirne anche il sesso) con in un classico GDR. Il setting map è più grande dei precedenti, mostrando un’area divisa in tre zone, tutte occupate dai rispettivi membri della Seed family. In ognuna di esse, si dovranno conseguire un determinato numero di quest principali e secondarie, che a loro volta daranno accesso alle rispettive boss fight. Altro elemento distintivo è la presenza di una sostanza psicotropa meglio nota come gaudio. Esso sarà presente in alcune località, e oltre a offuscarvi, renderà alcuni NPC (fra cui degli animali) più pericolosi e aggressivi. La flora e la fauna, come da tradizione, sono largamente presenti in Far Cry 5, costituendo un perfetto anello di giunzione fra gameplay ed elementi scenici. Altro valido elemento d’aggiunta è la pesca: in Far Cry 5 sarà infatti possibile pescare una discreta varietà di pesci, tutti distinti da specie, peso, difficoltà di cattura e collocazione geografica.

A differenza dei vari capitoli precedenti, in Far Cry 5 sono state eliminate le famose torri radio, essenziali per il rivelamento della mappa; qui non dovremo scalare sistematicamente e tediosamente le torri, ma ci toccherà percorrere via terra il segmento di mappa che vorremo rivelare. Al contrario, un aspetto storico del brand Far Cry che è stato conservato sono gli avamposti. Questi non si limiteranno ad essere essenziali per far diminuire l’influenza di un boss regionale, ma saranno dei porti franchi dove poter acquistare equipaggiamento e veicoli, acquisire missioni, oltre a sbloccare mercenari che potremo impiegare nelle azioni di combattimento.

Naturalmente Far Cry 5 non è affatto esente da difetti: presenta talvolta dei cali di frame piuttosto evidenti, glitch e piccoli ma comunque fastidiosi bug. Inoltre alcune quest potrebbero risultare ridondanti, in particolare per chi è abituato a sandbox più elaborati. Ciononostante il vero pugno nello stomaco risiede nel suo comparto multiplayer, ahimè indispensabile per chi è interesssato a trofei e achievements. Il multigiocatore è qualcosa di imbarazzante, inserito nel gioco più come palliativo che come piazza competitiva. Non c’è nulla di salvabile se non nella modalità Far Cry Arcade. In questa modalità è possibile completare degli scenari realizzati ad hoc dalla stessa Ubisoft o persino dagli stessi giocatori. Sarà possibile infatti strutturare degli scenari mediate l’uso di un editor mappe (la cui interfaccia è piuttosto caotica). L’unica nota realmente positiva dell’online è il co-op, sempre e comunque divertente.

IL PROSELITISMO IN FAR CRY 5

L’aspetto senza dubbio più interessante risiede proprio nella lore, ma perché?

Far Cry 5 a differenza dei suoi predecessori non mostra soldati o terroristi, ma bensì dei cultisti, membri di una setta neo-religiosa, il cui fenomeno è tutt’altro che di fantasia. Negli States, in un paese devastato da lotte sociali intestine, dove la xenofobia è combinata con la povertà e dove la ricerca dei diritti umani era ed è rappresentata da una democrazia militare, la storia contemporanea che si dipana dal secondo dopoguerra, nella famosa pax americana, è costernata da fenomeni di presunto stampo deistico. Proprio in questi ambienti, a partire dagli anni ’60/’70 cominceranno a comparire individui carismatici che raccoglieranno i lamenti del ceto basso, consolandoli e usando la parola di dio come veicolo manifesto. Non è difficile dedurre a chi è ispirata la figura di John Seed. Il reverendo Jim Jones è stato senza dubbio una delle figure più ambigue della storia contemporanea americana: sfruttando la discrepanza razziale che imperava negli USA sul finire degli anni ’60 riuscì ad esercitare un proselitismo imponente.

foto di repertorio da sx verso dx: adepta del Tempio del Popolo. Storico scatto ritraente Jim Jones. Fotografia del reverendo con degli adepti.

Nacque il People’s Temple (Il Tempio del Popolo). Più il suo verbo si diffondeva, più discepoli erano pronti a seguirlo, tant’è che nei primi anni ’70 spostatosi in California, il suo culto annoverava quasi mille adepti. Questi ultimi, adulati dalle grandi capacità oratorie del santone, erano conviti che fosse capace persino di compiere miracoli, senza sapere che lo stesso Jones, si era avvalso più volte di collaboratori per fingere grazie e aumentare così il suo seguito. Il suo verbo, che assumeva di giorno in giorno parvenze sempre più socialiste, portò lo stesso Jones a spostare il proprio culto nella Guyana francese dove il santone eresse una comunità chiusa: Jonestown. Il resto è storia. Jones cominciò a delirare e a ostracizzare i suoi adepti dal mondo, praticando quotidianamente molestie e tortura. Più la sua demenza aumentava, più i suoi deliri assumevano parvenze apocalittiche. Nel 1978, il deputato Leo Rayan assieme a una troupe della NBC, si recò a Jonestown per verificare lo status dei suoi occupanti. Egli inizialmente non percepì nulla di inumano, finché una notte, uno dei membri della troupe fu avvicinato da un’abitante che chiese loro di portarli via da lì. Una volta informato, Ryan accusò Jones di schiavitù e reclusione. Quest’ultimo trovandosi sotto accusa, disse che chiunque avesse voluto avrebbe potuto lasciare il campo. Non appena Ryan, la troupe e diversi adepti abbandonarono il campo alla volta dell’aeroporto locale, Jones ordinò al suo braccio armato di ucciderli per tradimento. Il deputato Leo Ryan morì quel giorno per un colpo di arma da fuoco. Ciononostante, quello che si stava per consumare aveva dei caratteri ben più devastanti. Jones, in preda alla paranoia e al delirio, disse a tutti i suoi adepti di abbandonare il proprio corpo per difendersi dal male, così facendo fece ingerire a tutti del cianuro. Quello che è passato alla storia come il Massacro di Jonestown, è ricordato come uno dei più terrificanti suicidi di massa della storia: morirono 909 persone. Jim Jones si suicidò sparandosi in testa.

foto di repertorio: scatto aereo ritraente il triste ammassamento di corpi a seguito del suicidio di massa di Jonestown.

Nel corso del gioco vedremo come gli “edeniti” siano particolarmente militarizzati. Cosa in parte paradossale penseranno molti di voi. Purtroppo no.

Nel febbraio del 1993, un’unita della ATF (il dipartimento che regolamenta le armi da fuoco, il tabacco e l’alcol) fece irruzione in un casolare appartenente ad una setta meglio nota come i Davidiani nei pressi di Waco, Texas. Il capo d’accusa era la detenzione di armi da fuoco non registrate e ricalibrate, esplosivi oltre ad altri capi d’accusa che sfociavano nella pedofilia e nella detenzione di stupefacenti. Quando gli operatori fecero irruzione nel manufatto, questi si ritrovarono coinvolti in una sparatoria da loro inaspettata. Il bilancio finale fu di 4 agenti uccisi insieme a 6 davidiani. La gestione passò quindi al F.B.I che mise in stato d’assedio l’edificio per oltre 50 giorni. La questione fu molto più delicata del previsto, in quanto fu calcolato che un numero non precisato di donne e bambini risiedevano proprio nell’edificio. Il loro leader spirituale, David Koresh (al secolo Vernon Howell), in maniera non proprio dissimile a quella di Jim Jones, predicava la fine dei tempi, autodefinendosi il nuovo messia. Quando i federali irruppero nell’aprile dello stesso anno, all’interno del casolare divampò un forte incendio (probabilmente appiccato dagli stessi Davidiani o causato da alcune granate lanciate dai federali) che costò la vita ad oltre 75 persone. Fra di loro c’erano 20 bambini.

foto di repertorio da sx verso dx: operatori A.T.F durante la prima irruzione, scatto ritraente David Koresh. L’abitato dei Davidiani durante l’incendio.

In conclusione, Far Cry 5 pone una domanda piuttosto sensibile: può un’opera videoludica rappresentare uno spaccato di società? Dopo aver letto questo articolo, lasciamo a voi le conclusioni.

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