From the Vault — Savatage: I fantasmi tra le rovine

Il gruppo fondato dai fratelli Oliva è stato uno dei più sottovalutati della scena hard’n’heavy a cavallo tra gli ottanta e i novanta

Luca Badaloni
La Caduta 2016–18

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Where’s the light, turn then on again

One more night to believe and then

Another note for my requiem

A memory to carry on

The story’s over when the crowds are gone

Verso la fine degli anni settanta in Florida i fratelli Jon e Criss Oliva decisero di dare vita ad uno dei progetti hard’n’heavy più innovativi e allo stesso tempo sottovalutati dalla comunità dei metalheads: i Savatage. Questa band ha compiuto un percorso stilistico tra i più peculiari del panorama senza ricevere la fama adeguata, anche a seguito della performance del Wacken 2015. Il primo embrione risale alla demo City Beneath the Surface del 1983 (dove troviamo lo storico batterista Steve “Doc” Wacholz), embrione il cui nome è ancora Avatar e da cui prende definitivamente forma la band e forse un intero genere musicale nella sua dimensione più pesante: il progressive metal. Le prime produzioni dei Savatage sembrano più legate agli stilemi di un classico heavy metal anni 80’ con richiami epici; anche se in alcune scelte essi prendono il distacco dovuto sia dalla imperante NWOBHM sia dal nascente thrash. Proprio in quei anni iniziano a prendere vita le prime formazioni canonicamente prog metal come Fates Warning, Queensryche, Crimson Glory e Watchtower e proprio questi grandi nomi non fanno altro che seguire le stesse operazioni compiute precedentemente dai fratelli Oliva. I Savatage proprio con il primo Lp Sirens propongono un heavy semplice nelle sue strutture e che basa tutto il suo impatto sulla voce teatrale di Jon Oliva e sugli assoli al vetriolo di Criss. Da questo primo album ancora immaturo si può già percepire chiaramente il richiamo alla fantasticheria lirica ed alla sperimentazione musicale.

La formazione nel 1983

Il successivo EP The Dungeons are Calling è invece il subissamento definitivo della band verso un orientamento da nerd a la D&D: eppure anche in questo il richiamo dello stilema power metal non è abbastanza forte e forse le “Legions” (come chiamavano i Savatage i propri sostenitori) sembravano trascinare il tutto verso una cattiveria inusitata per il genere che stava prendendo il nome di prog metal.

We’re coming out tonight

We come from the darker light

Join your hands and pray

Maybe you can all be saved?

Questo esordio permette alla band di ingaggiare l’ottimo bassista Johnny Lee Middleton stabilizzando così la propria formazione e soprattutto permette di passare dalla Combat Records alla ben più importante Atlantic. Arrivano i denari necessari per registrare magistralmente Power of the night e accontentare il gusto dei propri fans oltre che il proprio: il richiamo delle tenebre e di quello che è fantasmagoria dell’heavy metal. Il trascinare le legioni di fan non consente di esprimere al meglio il potenziale della band e il successivo Lp Fight for the rock prosegue sulla stessa linea perdendo ancor di più il mordente aggressivo che caratterizza la sezione ritmica della chitarra. Insomma i presupposti per la solita band-fantasma heavy, destinata alla scomparsa dopo due o tre album, c’erano tutti. Nel mentre altri nomi nel panorama heavy e power/epic americano cominciano a sfornare le loro migliori produzioni: l’omonimo dei Crimson Glory, Noble Savage dei Virgin Steele, The Spectre Within e Awaken The Guardian dei Fates Warning, Rage for Order dei Queensryche ed Energetic Disassembly dei Watchtower. Proprio quando il calo sembrava ormai iniziato e l’ascesa di altri grandi iniziata, qualcosa cambia.

Backprint dell’Lp Hall of the Mountain King 1987

Il glam, perlomeno nella sua componente stilisticamente di peso, aveva preso Jon e Criss. Essi però sembrano comprendere l’evoluzione dell’heavy e mantengono la mera componente esteriore glam e riabbracciano il nerd interiore: 1987, anno di Hall of the Mountain King. Si tratta di un album che si è fatto canone di ogni metal di stampo epico e i cui riff e il cui cantato portano il metallaro in chiodo e jeans a sigaretta nel viaggio verniano di streghe, spade e re. Presto i fan si scoprirono che il tempo delle “legioni” era finito e quel grande album era solo un retour de flamme destinato ad estinguersi.

It’s a gutter ballet

Just a menagerie

Still the orchestra plays

On a dark and lonely night

To a distant fading light

Per i Savatage si apre un nuovo panorama grazie al genio compositivo di Jon Oliva: la musica classica. La band è però composta da alcuni metallari che si interessano di musica classica; proprio grazie a questo interesse apporta le prime esplorazioni di stampo neoclassico e sinfonico. Le nuove influenze sfociano inevitabilmente in un approccio caratteristico che sembra mediare in una maniera forzosa la musica classica con il metal: la debolezza rivela invece la propria forza nella fragilità di questo inusitato intreccio. Esperimento mentale: cosa succederebbe se Mikkey Dee entrasse alla Royal Albert Hall per vedere un concerto di musica classica e per qualche oscuro motivo decidesse di lasciarsi influenzare dalle composizioni di Wagner, Stravinsky e Mussorgskij? Fine esperimento mentale e ritorno alla realtà: Mikkey Dee nella sua estrema tamarraggine avrebbe ruttato a fine esecuzione e avrebbe espresso frasi di apprezzamento con chewing gum in bocca. Questo ambizioso e difficile progetto di consonanza è infatti venuto in mente al ben più “fine” Jon Oliva. E proprio in questa nuova direzione la band si muove senza discostarsi troppo in quanto a scelte prettamente compositive delle parti di chitarra di Criss. Il prodotto di queste scelte è Gutter Ballet: ancora oggi non è possibile trovare nel mondo metal qualcosa che assomigli a quest’album senza il plagio. L’ispirazione da parte del Fantasma dell’Opera da parte di Jon Oliva sono nette e la melodia comincia ad assumere un aspetto centrale nella composizione a discapito della rabbia delle precedenti uscite. Eppure questa band floridiana non ha ancora mostrato tutte le sue capacità.

Savatage durante il periodo di Streets: A Rock Opera

L’avvento di Chris Caffery come secondo chitarrista e di Paul O’Niell (fin dal 1987) hanno segnato importanti cambiamenti che troveranno pieno sviluppo nel capolavoro Streets: A Rock Opera. Questo Lp uscito nel 1991 segna l’avvento di una dimensione teatrale nelle genere unico creato dalla band; trattasi di un concept album narrante la storia di una rockstar immaginaria in continue difficoltà (D.T. Jesus).

So I plot and I plan, hope and I scheme

To the lure of a night filled with unfinished dreams

And I’m holding on tight to a world gone astray

As they charge me for years… I can’t pay.

Streets è il richiamo dell’opera, una sorta di musical uscito da Broadway e andato a cozzare con l’epic Metal, il tutto condito da una autobiografica dipendenza dalla droga. L’Lp uscito nel 1991 è per i Savatage la massima forma rappresentativa. Eppure le sventure dei componenti non soggiacciono solo alla dipendenza narcotica ma continuano ad assillare la band in altre forme; in primis l’impossibilità di Jon Oliva di cantare (visto anche lo sforzo richiesto dai pezzi). Neanche questo sembra fermare la capacità incredibile di ricrearsi dato che l’avvento di Zachary Stevens, il nuovo cantante, non fa altro che dare una linfa vitale e uno stile tutto nuovo alla band. La voce di questo talentuoso nuovo componente è decisamente calda e particolarmente adatta sia alla profonda malinconia che fa da sfondo alla band sia ai strabilianti colpi di coda votati all’anabasi. Jon Oliva continua comunque il suo lavoro come compositore e tastierista.

Il cantante Zachary Stevens sopperisce ai problemi di Jon Oliva dal 1993 fino al 2000

Il prodotto di tale nuovo cambio di formazione è un altro album memorabile; Edge of thorns richiama in parte l’atmosfera epica delle origini con una sorta di teatrale disincanto, quasi nella consapevolezza dell’annullarsi della fantasticazione del metallaro anni 80’. La tragedia però incombe nell’ottobre del 1993 quando un camionista ubriaco pone fine alla vita di Criss Oliva. Oltre al lutto si aggiunge l’abbandono di Wacholz alla batteria e nemmeno queste tristi vicissitudini pongono fine all’avventura Savatage. Vengono ingaggiati Jeff Plate e l’eccezionale Alex Skolnick (fresco dell’abbandono dei Testament) per rilasciare il grande omaggio al defunto fondatore: Handful of rain. L’album in questione riprende gli stilemi già sondati in passato unendo a questi una sentitissima fase di composizione, rendendolo forse la creazione più drammatica del gruppo.

Tomorrow and after

You tell me what am I to do

I stand here believing

That in the dark there is a clue

I cambiamenti stilistici apportati alla solistica di Skolnick non vengono apprezzati e viene sostituito da Al Pitrelli. Nel 1995 viene proposto un altro ambizioso concept album (Dead winter dead) sulla guerra bosniaca che imperversava allora; lo stile non viene denaturato troppo e assume maggior peso lo stile malinconico di Stevens nel cantato. L’ottimo album non è apprezzato appieno e nel 1996 prende forma il progetto parallelo di Jon e O’Niell: I Trans-Siberian Orchestra. I Savatage regalano al proprio pubblico l’ultimo grande Lp nel 1997, The wake of Magellan. Trattasi di una rock-opera che tratta di un ormai vecchio discendente di Magellano che decide di suicidarsi andando incontro ad una tempesta. Questa trama allo stesso tempo rappresenta perfettamente la storia di questo gruppo floridiano e proprio nelle lyrics dell’ultima canzone si può già assaporare il senso di definitivo abbandono che si andava profilando negli anni successivi. Dopo quest’opera a causa dell’abbandono sia di Pitrelli che di Stevens sia il tempo preso da parte di progetti paralleli, portano pian piano allo sfacelo definitivo dei Savatage. Ultimo episodio è il concept album del 2002 Poets and madmen (la storia di tre ragazzini che entrano in un manicomio abbandonato e vi trovano un uomo che racconta la sua storia) dove tra l’altro si ritrova il cantante originario ad esprimere l’ultima fatica del gruppo. Da allora Jon Oliva esprime il proprio rammarico per il successo mancato e la propria presa di distanza dalle formazioni post-Criss. A parte la già menzionata presenza al Wacken, i Savatage continuano ad essere un progetto in sospeso e che sembra essere in realtà morto nel 1993 con il suo chitarrista fondatore.

La band, a parte le sue particolari vicende, ha costituito un unicum stilistico nel mondo dell’heavy metal grazie ad una sua peculiare predisposizione alla sperimentazione pur rimanendo attinente al più classico dei tempi e riff. Un percorso che ha dell’incredibile che li ha visti passare dai dungeon alle strade e dai marciapiedi sporchi ai palchi di tutto il mondo. Il metal odierno ha preso una svolta totalmente votata all'oscurità nichilistica e che rispecchia indubbiamente la società e che forse strizza l’occhio più al punk e a certi sperimentalismi elettronici e ambient ma che dimentica una propria origine altrettanto forte e decisamente più luminosa. I Savatage sono il tipico gruppo che non abbandona l’effettiva sperimentazione né tantomeno la fedeltà al genere, ma che, allo stesso tempo, non rinuncia alla gloria della fantasia irraggiungibile. Queste fantasie hanno però il sapore del sogno frangibile nel bordo della strada. Se il metal oggigiorno si è chiuso nell’autoreferenzialità dei propri stilemi è perché ha perso la memoria del coraggio di band come i Savatage. Il coraggio di una sperimentazione che coinvolge tanto il punto di partenza (il metal) quanto il fine (magari un’altro genere musicale di convergenza) e senza mai dimenticare la distinzione tra questi due momenti. Spesso e volentieri il senso di sperimentazione si è arenato nel miscuglio totalmente eterogeneo dove inizio e fine si confondono e il tutto finisce per diventare o profondamente confuso o profondamente freddo o entrambi. Ovviamente il discorso non finisce mai con un appello al ritorno alle origini proprio perché in quel caso il metal diventerebbe senza fine se non nella consolazione dell’antiquariato. Ironicamente la band di Tampa ha costruito la sua fama in un periodo dove l’hard’n’heavy era oscurato dall'ascesa prepotente di estremismi musicali di vario genere ed essi non hanno rinunciato a nessun vecchio stile, senza per questo pagare un omaggio eccessivo alle ispirazioni degli anni 70’-primi 80’. Forse è stata proprio questa loro impossibilità di adattarsi allo stile precostituito che hanno reso grandi i Savatage. Un gruppo di stampo epico che non ha mai saputo assomigliare ai Manowar, con un estetica glam mai scaduta nei Motley Crue, con un occhio rivolto ad un proto-thrash senza pagar pegno ai Metallica, e con il cuore rivolto al progressive senza dimenticare il significato della parola. I Savatage riesumavano mode nel massimo del loro declino, ovvero a pochi anni dal loro picco più alto, e rendevano magici album destinati all'insicurezza di fan di un genere che procede per contaminazioni. Infatti furono consapevoli, fin dal loro apice, che il pubblico scompare non solo dopo 30 anni di carriera ma anche alla fine di un concerto. Dopo essersi lentamente consumati, rimanendo perfettamente consci che le folle se ne vanno sempre e che rimangono solo fantasmi e rovine delle bands, i Savatage chiedono di essere riesumati per comprendere al meglio quella grande esplosione che è stato l’heavy metal.

And the lights — turn them off, my friend

And the ghosts, well, just let them in

’Cause in the dark it’s easier… to see

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