I visionari degli anni settanta

Il nuovo cinema di genere tra Europa e America. La nuova rassegna della Cineteca di Bologna ripropone i grandi capolavori d’autore.

Francesca Orestini
La Caduta 2016–18

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Assalto al cielo è il titolo del film di montaggio che Francesco Munzi ha realizzato per descrivere la serie di lotte politiche che animarono gli anni a cavallo tra il 1967 e il 1977. La Cineteca di Bologna ha scelto di dare il titolo di quest’opera alla rassegna dedicata alla memoria di quel periodo così importante per la città, e culminato nei fatti di sangue che sconvolsero il marzo del ’77. Oltre ad altri documentari e film di montaggio tra i quali Alice è in paradiso dedicato alla famosa radio libera bolognese Radio Alice — e Ciao Renato!, omaggio a Renato Nicolini, assessore romano alla cultura ideatore della celebre rassegna culturale Estate romana, la Cineteca propone la visione di alcuni dei film più iconici di quel periodo.

Sguardi d’autore, dunque, sulle inquietudini giovanili, sul bisogno di evasione, spesso cercato attraverso l’abuso di alcool e droghe, sulla voglia di libertà, trasgressione e indipendenza. Si comincia con Ecce Bombo (1977), il film che impose definitivamente Nanni Moretti nel panorama registico italiano. La storia di Michele Apicella e dei suoi amici, orfani del sessantotto, che stanchi di spendere le proprie serata nei bar intraprendono un viaggio affidandosi “all’autocoscienza” per risolvere la loro insoddisfazione e accidia, si trasforma in un’analisi della generazione alla deriva e la rigidità dello stile registico riesce ad enfatizzarne ancor più il suo eterno riportare al niente. La tendenza all’ironia e al grottesco acuiscono il senso di dolore e solitudine, e l’angoscia nel pensiero del mondo e della complessità dei rapporti umani fanno di Ecce Bombo una pellicola che racconta il sentimento di straniamento di una generazione ormai senza scopo e senza modelli.

Ecce Bombo (Nanni Moretti 1977)

Carico di quell’energia politica e rivoluzionaria che infervorava la società è l’euforico Berlinguer ti voglio bene (1977) di Giuseppe Bertolucci: intrecciando volgarismi e poesia il film riversa tutto il fervore di questi anni sullo spettatore, attraverso la storia del suo esuberante protagonista Mario Cioni, interpretato da un giovanissimo Roberto Benigni. Con questa sua prima interpretazione, l’attore si presenta sulla scena cinematografica italiana in tutta la sua esuberanza e forza vitale, riuscendo a comunicare allo spettatore la cruenta concretezza dei sentimenti contemporanei e donando poesia alla pellicola. Con la sessualità repressa e ossessione per le donne, il continuo trasgredire i dettami isterici di una madre troppo possessiva, Cioni è espressione viva di un sottoproletariato furibondo e poverissimo, che declama la morte della fede in Dio sostituito dall’ammirazione laica del protagonista per Enrico Berlinguer. Il comunismo viene inteso in maniera estremamente fisica e carnale, un luogo di godimento orgiastico che deve manifestarsi all’improvviso rendendo adulta la società.

Una ricerca di evasione che spesso sfocia nella violenza, come per i giovani terroristi de La terza generazione (1979) del tedesco Reiner Werner Fassbinder. Un film che fu assai criticato perchè anticapitalista e antiterrorista, un groviglio di storie personali, raccontate beffardamente, che intrecciano fatti sociali e che riportano le gesta di una generazione mostrata come ridicola e viziata. Figli borghesi inetti e incapaci di comprendere i meccanismi di potere che reggono la società e dai quali risulta irrimediabilmente schiacciata.

La terza generazione (Reiner Werner Fassbinder, 1979)

Il distacco e la libertà dalle vecchie ideologie è anche il tema portante di Padre Padrone (1977) dei fratelli Taviani. Gavino Ledda, protagonista della vicenda nonché scrittore dell’omonimo romanzo, ripercorre la sua storia autobiografica che lo portò al riscatto dal dispotico padre Efisio, il quale lo strappo piccolissimo dalla scuola per farlo lavorare. La sua ricerca di un’istruzione e lo scontro, anche fisico, con il padre diventano il simbolo della dolorosa rivolta della nuova generazione contro la violenta repressione patriarcale, la cui volontà sotto missiva non riesce più a frenare l’anelito giovanile al cambiamento. Con un sapiente uso del suono e la potenza del realismo delle immagini, i Taviani realizzano con Padre Padrone quello che è considerato il loro capolavoro, donando alla storia un impatto visivo estremamente lirico. Il turbinio fervente della circolazione di nuove idee fornì ulteriore nutrimento alle sempre più forti rivendicazioni dei movimenti femministi.

Le donne negli anni ’70 acquistarono una maggiore consapevolezza di se stesse,in particolare per ciò che riguarda la sessualità. Esse si scoprono esseri desideranti, ed escono dalla repressione finora imposta dai dettami del pudore, rivendicandone l’uguaglianza con l’uomo. A questo proposito esemplare è L’ultima donna (1976) di Marco Ferreri, in cui Gerarde Depardieu esce sconfitto e declassato dal suo ruolo di patriarca, nonché “castrato” della sua violenza e supremazia sessuale. Il film è una specie di megafono del movimento femminista, i cui ideali vengono incarnati dalla bellissima Ornella Muti, e un riscatto per Ferreri dalle precedenti accuse di misoginia. Stessa accusa inizialmente rivolta all’ultimo film di Luis Buñuel Quell’oscuro oggetto del desiderio ( 1977), nel quale una sensualissima quanto spietata spagnola tortura il desiderio di un ricco borghese che si invaghisce di lei, negandogli ogni volta l’atto sessuale.

Quell’oscuro oggetto del desiderio (Luis Bunuel, 1977)

Il fulcro della storia è la disperata ed eterna ricerca dell’oggetto del desiderio maschile, disseminato da rompicapi narrativi, simboli da decifrare e false piste, tra cui la scelta di far interpretare il ruolo femminile da due attrici diverse, il tutto incorniciato dal surrealismo satirico che è la firma inconfondibile delle pellicole buñueliane. Nel 1976 esce anche L’impero dei sensi, capolavoro di Nagisha Oshima, erotica tragedia della passione tra la serva Abe sada e il suo padrone Kichizo Ishida. Ispirato ad un fatto di cronaca, il film è l’esaltazione del potere sconvolgente che i sensi hanno sugli individui, tanto da riuscire a scatenarne la follia. Il film si sviluppa sul piacere estatico reciproco e sull’annullamento, attraverso l’ossessivo ripetersi degli amplessi, di ogni razionalità. Nonostante lo scandalo che suscitò alla sua uscita, L’impero dei sensi ebbe anche un enorme successo, tanto da divenire uno dei film più famosi di tutti i tempi, racchiudendo in sé caratteristiche come la trasgressione visiva così audace, ancor più sottolineata da colori estremamente accesi, tipiche degli anni ’70.

Suspiria (Dario Argento, 1977)

Emblematico per il cinema di questo periodo anche Suspiria (1977) di Dario Argento, film in cui i veri protagonisti sono le scenografie straboccanti di specchi, tendaggi, passaggi segreti nella gotica Accademia di danza di Strasburgo. Anche qui il colore svolge una funzione centrale, come fosse il marchio distintivo del nuovo cinema di genere che sta prendendo (anche in Italia) il sopravvento. Sempre nel nostro paese, si assiste anche alla definitiva decadenza della commedia all’italiana. Mario Monicelli ne sottoscrive il testamento con Un borghese piccolo piccolo (1977). La storia dell’impiegato Giovanni Vivaldi e delle sue aspettative di vita, così aride, basse e tipicamente piccolo borghesi, rappresentano un’umanità laida e meschina, imprigionata nello squallore della Roma degli uffici. Interpretato magistralmente da Alberto Sordi, Vivaldi vieni tragicamente sconvolto dalla morte del figlio e precipita nella mostruosità di una vendetta tanto violenta quanto inutile, segnando la trasformazione di una società che ha perso qualsiasi carattere positivo. Monicelli abbandona la sua vena satirica, per raccontare una storia drammatica dove non c’è più nulla da ridere, sperare o credere.

Si ricerca sempre di più nelle pellicole la denuncia della violenza e corruzione che in maniera sempre più evidente corrodevano le classi dirigenti italiane, dando in questo modo vita a un nuovo genere: il film d’inchiesta. A rappresentarlo nella rassegna c’è Todo modo (1976), il film-summa di Elio Petri, aggressiva satira grottesca in cui il regista riversa tutto il suo odio e disgusto nei confronti della classe dirigente che portò l’Italia alla rovina, predicendone la rovine sotto il peso dei loro stessi peccati. Gian Maria Volontè, attore la cui figura ambigua segnò questo genere, trascina viscidamente il suo personaggio attraverso la trama, accompagnato dalla figura senza scrupoli di Marcello Mastroianni.

Todo modo (Elio Petri,1976)

In America esce La rabbia giovane (1973) di Terrence Malik, film dai toni lirici e introspettivi, narrati attraverso una dolce voce femminile fuoricampo. Sembra, infatti, quasi una semplice lettura del diario adolescenziale di questa ragazza invisibile la storia dei due giovani protagonisti, che per un breve periodo decidono di scappare per vivere nella natura, mettendo a soqquadro ogni cosa. Magistrale Malick nell’unire un senso di sospensione fiabesco nell’affascinata contemplazione della natura, alla durezza di una regia che mostra quella rabbia e disprezzo nel rifiuto delle regole della società. Questo senso di inquietudine di cui Hollywood si fa portavoce, viene approfondita anche in film come Il Cacciatore (1978) di Michael Cimino.

Tra i film di guerra più importanti di sempre, Il Cacciatore riesce a dare una visione profondamente reale della condizione umana di fronte all’orrore del Vietnam, puntando sul fatto che le persone coinvolte in tali eventi rimangono sconvolte, e imparano a vedere la vita sotto un’aspetto differente. Ciò li porta all’alienazione, a volte sfociante anche nella violenza o follia, dell’individuo che o riesce ad attaccarsi alla speranza o si abbandona al caos esistenziale.

Altra figura di spicco nel panorama americano, Ridley Scott mostra nel 1977 il suo talento al mondo con I duellanti, suo film d’esordio. Eterna lotta tra i due protagonisti, soldati al servizio di Napoleone — è una rappresentazione allegorica dello scontro tra la prospettiva del progresso ideologico e la forza reazionaria conservatrice che gli si oppone, mostrando la perpetua battaglia dei due come fossero il bene e il male. Ma il vero film di culto di questo decennio è probabilmente Eraserhead (1977) ,uscito in Italia con il titolo La mente che cancella, di David Lynch.

Eraserhead (David Lynch, 1977)

Film realizzato nel giro di cinque anni, a scarso budget, si presenta come il film più spirituale e metafisico di un regista che nel corso della sua carriera, ne ha reso un marchio autoriale. Gli elementi presenti tra cui lo stesso protagonista, la sua compagnia, la famiglia di lei, il loro mostruoso figlio e diverse entità misteriose, portano lo spettatore ad uno spaesamento e ad un terrore completamente alienante, giocato anche dalla presenza di suoni e rumori che evocano alla perfezione un mondo oscuro e incomprensibile.

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