Il filo nascosto o della malattia come scusa per rallentare

L’ultimo film di Paul Thomas Anderson con Daniel Day-Lewis è una favola greca sull’amore tossico

Tommaso Tecchi
La Caduta 2016–18

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Paul Thomas Anderson è un trasformista: a differenza della filmografia di altri registi è molto difficile trovare un denominatore comune per le opere dello statunitense, con le uniche garanzie che risiedono nella fotografia mozzafiato, nella musica di Jonny Greenwood (Radiohead) e nelle interpretazioni magistrali degli attori — o meglio, nella selezione sempre impeccabile dei vari mostri sacri che popolano i suoi film. Pare però esserci una sorta di alternanza nelle pellicole di PTA, che gli permettono di passare da storie minimali, quasi prive di trama e basate soprattutto sull’impatto visivo e sulla forza recitativa di pochi onnipresenti personaggi — Il petroliere, The Mastera vicende sovraffollate, caotiche e cariche d’azione— Boogie Nights, Magnolia, Vizio di forma. Il filo nascosto, uscito ieri nelle sale italiane e candidato a sei premi Oscar (miglior film, miglior regia, miglior attore per Daniel Day-Lewis, miglior attrice non protagonista per Lesley Manville, miglior colonna sonora originale e migliori costumi), rientra sicuramente nella prima delle due categorie.

Il film, ambientato nella Londra degli anni ’50, è incentrato sulla vita di Reynolds Woodcock, uno stilista nevrotico e abitudinario quanto perfezionista e talentuoso. Woody vive in una proprietà gigantesca con la sua sorella/socia in affari e con una schiera di sarte; ogni momento della giornata all’interno dell’abitazione è scandito dal lavoro, dalla colazione fino a tarda notte, ogni distrazione o disturbo rischia di diventare una fonte non necessaria di stress. Quando tale stress si presenta, Reynolds lascia Londra e si ritira per qualche giorno nella sua casa in campagna per riposarsi, ed è in una di queste occasioni che incontra Alma e se ne innamora. La storia d’amore tra i due è una sorta di logorante partita a scacchi, con poche e controllate esplosioni d’affetto controbilanciate da un numero uguale di discussioni accese; i due dormono in due stanze separate e questa distanza diventa il problema principale della ragazza, che per ricevere più attenzioni tenta di rompere il perfetto equilibrio costruito dall’amante nella sua dimora/maison di moda, ribaltando il rapporto di dominio. La trama è più o meno tutta qua, salvo le due sequenze che, insieme alla fotografia, valgono l’intero film. Non voglio spoilerarvi troppo, ma si tratta di due momenti di tensione pura, quasi à la Hitchcock, che ci rivelano a che gioco sta davvero giocando la coppia. Di più, questo stravolgimento fa comprendere il livello di instabilità emotiva e psicologica che si cela dietro l’armonia immacolata che caratterizza tutto il resto del film, la cui accurata metafora è rappresentata dai messaggi e dagli oggetti nascosti dentro la stoffa degli abiti.

In mancanza di una trama eccessivamente articolata, Il filo nascosto si svolge totalmente su immagini di rara bellezza, sugli sguardi tra i personaggi, i rumori di Alma che rompono il silenzio della prima colazione e le reazioni indispettite di Reynolds, l’ironia sottile che smorza i momenti di maggiore inquietudine. La storia sembra invece una sorta di favola greca, allo stesso tempo grottesca e profonda. Paul Thomas Anderson ha come sempre il pieno controllo su ogni aspetto del film: sceneggiatura, regia, produzione e questa volta anche la fotografia. In realtà il regista ha preferito non prendersi questo merito, eliminandolo dai crediti e sostenendo si sia trattato di un lavoro di squadra; ma luci, colori e inquadrature tradiscono una perfetta somiglianza con i video musicali di PTA, rendendo abbastanza palese che sia lui mente e braccio dietro la composizione quasi pittorica di ogni scena. Dall’altra parte della cinepresa poi c’è un Daniel Day-Lewis alla sua ultima (?) interpretazione, che per l’occasione ha imparato a cucire, ha costruito lo sgargiante guardaroba di Woodcock e ha addirittura fatto veramente amicizia con Lesley Manville, la sua inseparabile sorella nel film. L’attore ha dichiarato di non avere intenzione di guardare Il filo nascosto, probabilmente per evitare di soffrire ancora più del dovuto per la decisione di ritirarsi dal cinema. Lo spunto più interessante su cui riflettere, però, ce lo offre ancora una volta Anderson e riguarda l’abbassamento di ritmo. Come ha dichiarato in un’intervista per Vulture (intitolata giustamente “Amore, Morte, Controllo”, ovvero le tre tematiche principali della pellicola), parte dell’ispirazione gli sarebbe venuta in una situazione simile a quella in cui si trova spesso il protagonista, malato con la propria metà ad occuparsi di lui: “(il film) è anche sulla semplice idea di cosa significhi rallentare” in un momento storico in cui decidere di non mantenere una velocità costante è un azzardo ed è necessario che accada qualcosa di negativo per farci fermare a riflettere. Va da sé che oltre ad essere un argomento con cui mettere in discussione il modo in cui viviamo è anche un suggerimento su un’altra maniera di fare cinema, senza ricercare l’azione a tutti i costi e soffermandosi ad ammirare la bellezza pura, anche (e soprattutto) quando nasconde qualcosa di diabolicamente tossico.

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