Il volto gelido del thriller: Jo Nesbø

Uscirà a breve The Snowman, il film prodotto da Martin Scorsese, tratto dal libro di uno dei più interessanti scrittori thriller norvegesi

Francesca Orestini
La Caduta 2016–18

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Gelidi e selvaggi, i paesi scandinavi hanno da sempre un posto d’onore nell’immaginario popolare. Le foreste solitarie e il candido chiarore della neve diventano alienanti e surreali nella solitudine e desolazione che trasmettono; l’immaginazione umana si smarrisce facilmente nelle oscure fantasie, lasciandosi andare al senso del mistero alimentato dai cupi scenari. Il genere thriller si nutre di queste sensazioni e gli ostili ambienti del Nord sono culle perfette per storie di omicidi, orrore e perversione, che non possiamo fare a meno di figurarci.

Amatissimi sono infatti gli scrittori scandinavi che così bene riescono a ricreare la disturbante inquietudine delle atmosfere, a tal punto che la maggior parte dei loro romanzi sono diventati bestseller, capaci di coinvolgere un gran numero di lettori. Basti solo pensare alla fama e al successo mondiale dell’amatissima trilogia Millennium di Stieg Larsson, da cui sono state tratte ben due produzioni cinematografiche; o all’iconico Il senso di Smilla per la neve del danese Peter Hoeg, inquietante giallo che ruota costantemente intorno al senso di solitudine e alienazione che la neve produce; o a Camilla Lackberg che esordì nel 2002 con La principessa di ghiaccio, e diventando in poco tempo la regina del thriller svedese.

Ultimamente però è Jo Nesbø che spicca nel panorama mondiale.

Ex calciatore, musicista, giornalista free lance e broker in borsa, ha pubblicato il suo primo romanzo nel 1998. Il pipistrello (ristampato quest’anno da Einaudi) è il primo della serie che ruota intorno al protagonista Harry Hole, controverso e affascinante poliziotto che ha trascinato in pochissimo tempo il suo autore nell’olimpo degli scrittori più letti al mondo. Da questo primo romanzo in poi, i casi di Hole hanno trasportato i lettori nel cuore avvelenato di una Oslo violenta e corrotta, teatro di storie drammatiche e atroci delitti. Gli efferati omicidi vengono descritti con incredibile lucidità, riuscendo a riprodurre nel lettore quel senso di terrore e curiosità che rendono i libri incredibili. Per Il leopardo, ottavo romanzo della saga, lo scrittore ha dichiarato di aver ricevuto delle lamentele per l’eccessiva crudeltà descrittiva. Le vittime predestinate sono soprattutto le donne, da sempre oggetti di desiderio, invidia, passione e ossessione. Pallini fissi che scatenano le pulsioni istintive, assecondando la follia dei serial killer. Personaggi affascinanti, intelligentissimi nella loro perversione, schiavi di una voglia demoniaca , gli assassini di Nesbø danno prova di una genialità orrorifica e di una gelida logica distruttiva che di solito viene scatenata da da traumi, sofferenze o insicurezza passate. Sono mostri creati dal dolore, tremendamente umani ma al contempo metafora di un male universale radicato profondamente nella natura umana. Sulla figura del killer verte totalmente Il cacciatore di teste, ad esempio.
Killer che nascono anche dal fallimento, come nella saga Sangue e neve, in cui invece il protagonista è Olav, assassino dislessico che uccide solo perché l’omicidio è l’unica cosa che gli riesce bene.

Ma sono i romanzi delle serie di Harry Hole che hanno regalato la fama al loro autore, e il 12 ottobre uscirà il film tratto da L’uomo di neve (The snowman), diretto da Tomas Alfredson e prodotto da Martin Scorsese, che inizialmente doveva curarne la regia.

Un circuito di violenza, drammaticità e suspense marcato da uno stile di scrittura tagliente e ironico, in cui si avverte vagamente un interesse contemplativo nei confronti della Norvegia. Nesbø è affascinato dalla sua patria, ed in particolare da Oslo, ed ogni suo romanzo riprende una debolezza di questa città così problematica. Si sa che la Norvegia è uno dei paesi con il primato europeo per le morti di overdose da eroina (Lo spettro), forse superato solo dal numero di persone con problemi di alcolismo, tant’é che nei libri si trovano spesso i cadaveri di uomini talmente ubriachi da morire assiderati per strada, incapaci — per l’ubriachezza — di tornare a casa.
Elemento che colpisce nei romanzi di Nesbø è inoltre quello che riguarda gli hotel: le finestre, nei piani alti, non possono essere aperte completamente, così che un corpo non possa pensare di passarvi in mezzo per lanciarsi nel vuoto; particolare macabro che testimonia il record di suicidi che la Norvegia detiene.

Nesbø è anche attento al passato norvegese. Si trovano infatti tra le sue pagine tracce dell’occupazione nazista durante la seconda guerra mondiale (Il pettirosso), che riverbera tutt’ora nell’ideologia di molte persone: frequenti in questi romanzi sono i riferiementi alle bande di naziskin, spesso collegate al traffico di armi (La stella del diavolo, il pettirosso).
E non mancano, naturalmente, i riferimenti alla corruzione latente nelle istituzioni che detengono il potere, tra cui la polizia di cui Hole fa parte.

L’altra faccia dei “paesi felici”, in un certo senso. L’immagine del nord, innestata nel nostro immaginario attraverso il filtro della letteratura, viene sfruttata da Nesbø (ma non solo Nesbø) per parlare di temi di attualità a cui noi occidentali siamo così fortemente legati. I problemi della Scandinavia non sono solo i problemi della Scandinavia. Ma gli ambienti descritti, e le atmosfere tratteggiate, sebbene contorti e ancor più deformati dalle leggi del genere letterario, compongono lo sfondo di una narrazione in grado di affascinarci per la sua esocità desolanta e amara, attreverso la quale riusciamo a riscoprire tracce del nostri personali vissuti.

Eppure si sente forte non solo in Nesbø questo stretto legame con i temi di attualità, ed è forse questo uno dei motivi per cui gli scrittori nordici riscuotono tanto successo, soprattutto all’estero. Naturalmente queste non sono problematiche che affliggono solo la Scandinavia, ma sicuramente gli ambienti e le atmosfere, così come posso figurarsele i lettori, contribuiscono a darne un’immagine particolarmente desolante e amara.

Riflessi di questi drammi descritti sono i personaggi che popolano le trame, la cui personalità funerea esaspera l’alienazione latente. Harry Hole ne è un ottimo esempio: alcolizzato e solitario, sente costantemente il peso della violenza inconcepibile, che ogni giorno si trova a fronteggiare. Eppure non riesce a starne lontano, e le indagini costituiscono l’unica cosa che riesce a mantenerlo a galla nella corrente furiosa dell’esistenza. Un’esistenza dolorosa e sempre in bilico sull’orlo del cedimento, solcata da una profonda ambiguità tra moralità e corruzione, tra bene e male. Un antieroe buono il cui universo è contornato da figure spettrali che condividono la stessa tensione drammatica, come fantasmi persi fra grigie rovine. Un’ottima rappresentazione della società non solo scandinava, ma sopratutto contemporanea, colma di fragilità e insicurezza, simboli di questa epoca squallida in cui personaggi come Hole si ritrovano a vagabondare, tra le macerie delle speranze e della purezza.

Non ci sono più gli Hercule Poirot o gli Sherlock Holmes , così profondamente sicuri di sé e della propria intelligenza, ma comunque anche soltanto con Jo Nesbø e il resto del panorama letterario scandinavo, la letteratura di genere ha trovato degli eredi promettenti.

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