I’m Dying Up Here e la potenzialità di una serie mediocre

Scritta da David Flebotte per la regia di Jonathan Levine, la premiere della prima stagione è stata trasmessa il 4 giugno da Showtime

Giacomo Alessandrini
La Caduta 2016–18

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Clay Appuzzo è uno stand-up comedian all’apice del successo, è finalmente riuscito a raggiungere la celebre poltrona del The Tonight Show Starring Johnny Carson. I colleghi di una vita, una banda di deliranti cabarettisti del Goldie’s, assistono alla scena su piccolo schermo, gioendo con lui e non nascondendo l’invidia. I protagonisti vengono così presentati allo spettatore: Goldie Herschlag, proprietaria del club e mentore del gruppo, accompagnata da una carrellata interminabile e un’inquadratura stretta sul viso (la sequenza mostra il duro carattere della donna, decisamente poco incline al compromesso); Cassie Feder, l’ex ragazza di Appuzzo e comica da “seconda serata” (la forzata permanenza al The Cellar e l’impossibilità di accesso alla main room muovono parte della storia); Bill Hobbs, l’arguto, irascibile e narcisista ragazzo di Cassie, anche lui comico di mestiere; Adam Proteau, il giovane afroamericano che sogna di diventare il nuovo Richard Pryor. Tutti confinati nella città-prigione di Los Angeles, ad un passo dalla disperazione.

Diverse ore più tardi, terminato lo show in differita, Clay si suicida davanti al Sunset Tower Hotel di Los Angeles, lasciandosi investire da un bus. L’intero episodio, tra alti e bassi, è un’amara riflessione sul successo, quegli attimi a cui inevitabilmente segue un “e adesso?”. Quanto dura questo sogno di vana gloria? Tremendamente poco. Otto mesi prima, in un interessante flashback, Clay cita Edmund Hillary e relativa avventura sull’Everest nel ’53: i nostri momenti di felicità non possono che ardere per quindici minuti (il tempo di permanenza dell’alpinista sulla vetta), il resto è una triste discesa a valle. Siamo nel 1973, l’America del Vietnam e del cambiamento, i contorni della metropoli sfumano dietro le insegne e la vita si riduce a qualche spettacolo e un funerale.

Sebbene I’m Dying Up Here, serie firmata David Flebotte, non abbia gli strumenti per definirsi period-drama, i temi trattati, le battute al vetriolo, la caratterizzazione psicologica dei personaggi (approfondita egregiamente negli episodi successivi), dietro quel riso amaro da dramedy si nasconde una buonissima serie drammatica, che in parte richiama i toni scanzonati della defunta Vinyl, tralasciandone eccessi narrativi e ritmo; semisconosciuta, ottiene un rating di 6.8 su Imdb dai poco avveduti recensori dell’ultim’ora. Non stiamo parlando di un capolavoro, è chiaro, ma di un ottimo lavoro che vede Showtime in prima linea nella diffusione delle serie d’autore. Non è un caso l’interessamento per l’industria televisiva da parte di alcune personalità di spicco: Jim Carrey figura tra i produttori esecutivi di I’m Dying Up Here (tutti conosciamo la carriera dell’attore e della sua ossessione per Andy Kaufman). Un cast corale riempie lo schermo con gli sceneggiatori che sembrano finalmente ingranare dal quinto episodio. Il pilot intrattiene, ma non riesce a differenziarsi dalla massa indistinta delle attuali proposte. La paura è legata proprio all’aspetto autoconclusivo della prima ora di visione. La morte di Clay, la presentazione dei personaggi, la lotta per il main stage di Cassie, i genitori del defunto che a fatica ne realizzano il gesto estremo (solo il padre verrà a conoscenza della verità): gli eventi racchiudono un inizio e una fine ben distinti e seguono un percorso che poco c’entra con le produzioni seriali televisive (più da film-tv HBO).

Al termine si ha come l’impressione che non sia rimasto poi molto da raccontare, e le puntate successive tra altalene di noia e inutili subplot, sembrano indicare una via già tracciata. Poi qualcosa inizia a muoversi, finalmente un’inversione di tendenza: i drammi personali vengono a galla, i ricordi prendono il sopravvento e i toni si fanno cupi. Quando Ralph King, uno della crew di Goldie, incontra il vecchio compagno d’armi Melvin, ancora ossessionato dai vietcong, o il comico Nick Beverly prepara una siringa di eroina prima del Tonight Show, sappiamo che c’è ancora qualcosa da raccontare: il lato oscuro della risata. Come sussurra il fantasma di Clay a un’ansiosa Cassie prima del debutto, “il tuo lavoro deve essere catartico, dai qualcosa di te che valga come universale, raccontati e loro ti ascolteranno”. Ecco quindi la sequenza emozionante (climax), con la ragazza che sul finire del pilot passa con leggerezza dalle lacrime ad una battuta sul sesso orale, da un dolce pensiero allo stereotipo del redneck texano tutto incesti e bestiame. I’m Dying Up Here stupisce quando meno te l’aspetti, è la serie mediocre dalle due-tre battute geniali a fare la differenza.

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