In More Life c’è tutto Drake

Poco importa che il formato ufficiale sia un disco, un mixtape o una playlist: More Life rappresenta il meglio (e il nuovo) di Drake da anni a questa parte

Lorenzo Mondaini
La Caduta 2016–18

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Fa sorridere pensare che Drake abbia raggiunto il successo planetario con Hotline Bling, quel singolo danzereccio coloratissimo, un po’ marchetta, un po’ sorgente dorata di meme. Davvero. Perché è tra le cose più lontane che rappresentano il suo vero grado artistico — ma era comunque un brano pop perfetto, dai connotati al posto giusto, con cui ha vinto un Emmy (a caso), ha guadagnato soldoni e ha conquistato le ragazzine (si è abbassato al livello di Bieber), quindi, tant’è, how to blame him. Però, però, specifichiamo: Drake non ha mai nascosto la passione per la dancehall, anzi, soprattutto negli ultimi 2–3 anni. Vedi per esempio le dichiarazioni nell’intervista con Nardwuar a proposito del suo rapporto con il genere e col suo mito Vybz Kartel:

“Free up World Boss, Addi Mi Daddy. Vybz Kartel is one of my biggest inspirations like one of my favorite artist. You want to talk about a guy that is coming out of somewhere or who is coming out of a place that has their own thing, their own culture and absolutely just taking over to becoming the one person to idolize.”

Ma c’è una differenza abissale — e per fortuna — tra le prossime hit dell’estate, cioè Passionfruit e Fake Love tratte dal recentissimo More Life, e le porcate passate: penso a One Dance, Too Good e Hotline Bling, appunto. E questo è importante, molto.

More Life è il nuovo progetto di Drake, uscito qualche giorno fa, il 19 marzo. Non si è capito bene cosa sia ufficialmente: un disco? un mixtape? un miscuglio delle due? (che già suonerebbe strano). Sulla copertina leggiamo “A playlist by October Firm”. Una playlist, ci fidiamo. Ma non conta troppo la forma — sulla questione torneremo comunque fra poco — , bensì il contenuto, per affermare che More Life è la miglior produzione di Drake dai tempi di If You’re Reading This It’s Too Late; se non la migliore dopo Take Care, il suo capolavoro, not kidding.

More Life è un gioiello che sorprende sotto molti aspetti: per eterogeneità, finezza, gusto, qualità, lunghezza. Una selection di 82 minuti (!), accuratamente supervisionata insieme ai compari Noah “40” Shebib e Oliver El-Khatib — e coprodotta da una lunga lista di producer e artisti— in cui Drake è sia protagonista che regista, sia main che special guest. Un’opera totalizzante dove tutte le sue varie personalità prendono vita ciclicamente.

Dentro questa sorta di playlist quindi, troviamo un po’ di tutto. Ci sono le solite songs dal ritmo solido e duro, solito stile 40 Shebib, ben riconoscibile dai fan più accaniti: Free Smoke, Can’t Have Everything (quest’ultima tra le migliori in overall) e Gyalchester, in cui c’è una barra che recita “I don’t take naps/Me and the money are way too attached to go and do that” che spicca sulle altre e fa ridere molto onestamente (anche se cela una triste realtà). Ci sono i pezzoni lenti e melodrammatici à la Drake versione r&b: Nothing Into Something, Since Way Back con il super feat di PARTYNEXTDOOR, Teenage Fever, con la bellissima reinterpazione del chorus di If You Had My Love di J.Lo (tributo alla sua nuova bae, tra l’altro); e c’è anche quel genio-pagliaccio di Kanye West nel brano più debole di tutti, Glow, sintomo che forse Yeezy non se la passa troppo bene davvero.

Ci sono alcune tracce trap molto cool come Portland o Sacrifice, in cui la presenza di protagonisti del relativo panorama, tipo Quavo, Travis Scott, 2 Chainz e Young Thug, alza di certo l’asticella della qualità. Ce ne sono altre (No Long Talk, KMT) che trasportano l’inglese Gibbs, emcee grime, su territori non propriamente grime, e i risultati sono sicuramente interessanti; inoltre c’è anche il brotha Skepta che ha un breve interlude tutto suo, così. E poi, la dancehall, grandissima protagonista: le citate Passionfruit e Fake Love (già singolo pre-release), l’africaneggiante Madib Riddim, la caraibica Belm, vera finezza. È proprio in questo ambito che Drake & co. dimostrano di sapersi rialzare, di riconoscere gli errori, di correggere il tiro, consegnandoci hit estive (e non) di qualità e apprezzabilmente ballabili — perché non vergognamoci, il corpicino lo muoviamo comunque tutti, che si voglia o meno. Infine, trova spazio anche Sampha, anch’esso in autonomia, con l’incredibile inedito 4422 (forse una b-side del suo Process (?), lo stile è proprio quello). Per quanto, abbiamo detto, la questione del formato passi in secondo piano in confronto al resto, è particolare la scelta della playlist. Una struttura atipica al giorno d’oggi tra i big della scena, in cui sono proprio le canzoni eseguite in solitaria dagli ospiti la vera chicca, con i vertici della OVO Sound in sala comandi. Chissà se qualcun’altro nel prossimo futuro opterà per queste modalità.

In More Life c’è una foresta tropicale di stili sonori. Una selection dalla geografia intercontinentale che passa per l’Europa (non in EU) con il grime made in UK — e questo non è un caso: in più occasioni Drake ha dichiarato di essere un fan di Skepta, tanto da essere riconosciuto come membro del suo collettivo Boy Better Know aka BBK. Scende alla punta del continente nero, in Sud Africa, per la collaborazione col producer/DJ Black Coffee nel brano di stampo afrohouse Get It Together. Torna oltreoceano, nell’America Latina, per un lungo tragitto nei Caraibi, soprattutto in Giamaica. Dall’isoletta paradisiaca Drake fa man bassa di influenze, metodi e atteggiamenti musicali, come aveva già fatto in passato. Questa volta però, torna a Nord con qualche slang del posto in saccoccia (per chiarire, lo stesso titolo del disco è un famoso detto jaimacano).

Per intenderci LOL

Risalito in USA, fa tappa soprattutto ad Atlanta, Georgia, patria della trap, per circondarsi dei king della zona, 2 Chainz e Young Thug su tutti, come dicevamo. Non manca ovviamente il Canada: oltre a lui in prima fila e a tutta la sua cricca, si aggiungono grossi producer connazionali come Frank Dukes e Nineteen85. Altri pezzi da novanta, da terra straniera, sono Noah Goldstein e Hagler, ai quali si affiancano, come da prassi per gli scout di OVO, anche giovani talenti: i produttori Murda Beatz, Boi-1da (sempre canadesi) e la britannica Jorija Smith, cantante solista.

Con questo nuovo progetto Aubrey Graham (si chiama così all’anagrafe, sappiatelo) confeziona un moderno tributo per la cultura musicale afroamericana, attingendo da tutti i fulcri di questa magnifica e secolare tradizione. C’è chi, per questa strategia da ambasciatore, lo definisce un ladro, figurativamente parlando. Forse tutti i torti non ce l’ha, perché del fare da paraculo nelle mosse della OVO Sound si intravede un po’ da sempre. Ma tra rubare e riformulare, tra rubare e rimanipolare, forse, c’è un po’ di differenza. E da quando poi, in un genere postmoderno come l’hiphop, che basa gran parte della sua natura proprio sulla rimescolanza di estratti musicali preesistenti di qualunque sorta, si parla di saccheggiare? (Oddio, di casi ce ne sono, prendi quel coglione di Robin Thicke con Blurred Lines, ma quello significa plagiare, che è tutta un’altra cosa). Quindi alle critiche, ma siamo obiettivi, diamo a Cesare quel ch’è di Cesare, specie quando i risultati sono così spettacolari.

In conclusione: con More Life il nostro Drake si è fatto perdonare il passo falso di Views, quel disco che doveva essere chissà cosa e per finire era solo ingiustificatamente lungo, maledettamente mediocre, negativamente lagnoso. Ha riconquistato la fiducia del pubblico e della critica (che lo sta elogiando, giustamente, a destra e manca) e forse, dico forse, si è già prenotato un posto sul podio dei migliori dischi del 2017. In attesa di arrivare a fine anno per poter confermare o meno questa previsione, una cosa è certa: Drake è di nuovo al centro del mondo. E va bene così.

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