Intervista a Sequoyah Tiger
Leila Gharib, in arte Sequoyah Tiger, ha pubblicato il suo primo LP Parabolabandit lo scorso ottobre via Morr Music
Sono venuto a conoscenza di Parabolabandit, e della sua autrice, qualche mese dopo la pubblicazione del disco. Lo aveva recensito il nostro PietroG e mi aveva consigliato di sentirlo, io come al solito ho procrastinato un po’ ma poi finalmente ho recuperato ed è stato amore al primo ascolto. Nel 2017 in Italia non è uscito un altro album del genere, e in generale la direzione presa dal pop underground travestito da mainstream — o dal pop mainstream travestito da indipendente, se preferite — mi aveva sfiduciato a tal punto da farmi perdere interesse per tutto ciò che non fosse prettamente elettronico o prettamente rap tra le novità discografiche italiane. La musica di Sequoyah Tiger, invece, trascende le categorie e ha tutto ciò che serve per scatenare un terremoto all’interno della scena. Parabolabandit, del resto, non suona come un album italiano, i testi sono tutti in inglese ed è stato pubblicato da un’etichetta tedesca, la Morr Music; ma non per questo perde di valore, anzi. Ho sempre ritenuto importante l’uso del cantato in italiano, soprattutto in mancanza di una conoscenza approfondita di altre lingue, ma è anche bello ascoltare una produzione locale che potrebbe funzionare di brutto anche a Londra, Parigi o Berlino. I riferimenti sonori sono tanti, si potrebbe parlare di dream pop dove synth e drum machine hanno preso il sopravvento su chitarre e batterie, di elettronica pensata per chi vuole ancora andare ai concerti e cantare i brani a squarciagola. Ci sono riflessi di Grimes, Beach House, Panda Bear, ma solo gli elementi propedeutici all’idea originale di Sequoyah Tiger, tra tute fluo e cappellini.
Leila Gharib, veronese di nascita ma iraniana di origine, è la persona che si cela dietro a questo progetto. In precedenza ha suonato nella formazione post punk Bikini The Cat e ha fondato la compagnia di arti performative Barokthegreat, che ha influito molto sull’esecuzione dal vivo dei brani di Parabolabandit e dell’EP che lo ha anticipato di qualche mese, Ta-Ta-Ta-Time. Leila, sul palco, è infatti sempre accompagnata dalla ballerina di Barokthegreat Sonia Brunelli. La multimedialità di Sequoyah Tiger non si ferma però solo alla fusione di musica e danza: anche la parte visiva, tutto ciò che è video, artwork e elementi presenti on-stage, sono frutto della creatività di questa musicista così atipica quanto preziosa. Per tutti i motivi sopraelencati abbiamo deciso di farci raccontare direttamente da lei chi è Sequoyah Tiger e perché dobbiamo tenerla d’occhio prima che scappi all’estero dicendoci “ve l’avevo detto”.
Ciao Leila, intanto ti faccio i complimenti per Parabolabandit che secondo me è stata una delle sorprese più belle del 2017 italiano. Restando sull’argomento mi viene da chiederti quanto ti senti legata alla musica italiana, o meglio, se Sequoyah Tiger — come sembra — nasce più come progetto internazionale e preferibilmente esportabile all’estero.
Ciao Tommaso, grazie! Un legame con la canzone italiana lo riconosco in certi movimenti e slanci melodici della mia scrittura. Essendo però cresciuta ascoltando soprattutto musica in inglese ho iniziato a scrivere in questa lingua in modo naturale, non è una scelta che mira all’esportazione.
Cosa è cambiato per te con questo disco, rispetto a un anno prima con Ta-Ta-Ta-Time? L’impressione è che i concept di questi due lavori siano in qualche modo interconnessi.
Assolutamente sì, le due release le percepisco connesse tra loro, condividono le stesse intenzioni sonore. In Parabolabandit la forma canzone e l’espressività della voce hanno trovato più respiro. Anche le copertine hanno mantenuto un’estetica comune, in entrambe le cover ho disegnato una figura atletica in una posa di resistenza.
In Parabolabandit ci ho sentito molto il dream pop dei Beach House (Another World Around Me e Brilliant One soprattutto) e un approccio DIY all’elettronica che mi ha ricordato i primi lavori di Grimes. Cosa ascolta Sequoyah Tiger? Ci sono influenze particolari che anche un ascoltatore attento farebbe fatica ad indovinare?
I miei ascolti sono andati soprattutto verso la musica pop americana anni ’50, tra la fine del rock’n’roll e la British invasion, gruppi come The Supremes, Everly Brothers, Andrew Sisters, Ricky Nelson, Skeeter Davis o The Platters.
La parte visiva della tua musica è importante quanto quella sonora. Capita che artwork, video e elementi del live precedano la composizione dei brani o sono sempre realizzati ad hoc per dare un’immagine al suono? Da dove nasce la tua passione per la grafica e le illustrazioni?
L’attenzione verso una dimensione visiva è una mia attitudine, il disegnare da sempre bilancia il tempo che dedico alla musica e le due cose si alimentano a vicenda. A volte questi elementi visivi nascono prima della musica e sono una miccia per le composizioni, altre volte il contrario, il suono mi porta ad immaginare. Non c’è una costante.
Nonostante le tue origini ci portino verso Oriente, mi sento di dire che ascoltando i tuoi brani è l’Europa il primo riferimento geografico a venirmi in mente. Che rapporto hai con l’Iran? C’è stato un momento in cui hai sentito di doverti confrontare con la musica mediorientale?
Musicalmente non è ancora capitato, l’Iran è molto interessante per il cinema, registi come Abbas Kiarostamhi o Jafar Panahi sono molto intensi.
Oltre a Sequoyah Tiger hai e hai avuto svariati progetti paralleli, non solo prettamente musicali. Com’è fare l’artista a Verona? È una città che offre spazio di manovra e possibilità a chi vuole intraprendere una carriera creativa?
A livello artistico Verona non offre molto, non la consiglierei per intraprendere una carriera creativa, tuttavia è la città dove sono nata ed è un ottimo luogo per concentrarsi e lavorare.
Passando a Barokthegreat, come e quando è venuta fuori l’idea di fondare una compagnia di arti performative? Sonia Brunelli, fondamentale nei tuoi concerti, ha un ruolo attivo anche nella realizzazione dei dischi di Sequoyah Tiger?
Intorno al 2007, dopo le prime band formate tra il liceo e i primi anni dell’università, ho visto delle performance in alcuni festival italiani dedicati all’arte contemporanea. Mi ha colpito la possibilità di utilizzare il suono in altre forme e luoghi rispetto a quella che era la mia esperienza. La voglia di sperimentare e di aprire un immaginario attraverso più discipline mi ha portato a fondare la compagnia Barokthegreat. Insieme a Sonia costruisco il live ed i video di Sequoyah Tiger mentre per la realizzazione dei dischi lavoro in solitudine.
Con il concerto di marzo a Milano concluderai il tuo tour iniziato alla fine dell’anno scorso, hai già deciso cosa farai dopo?
Il 16 marzo presentiamo il disco al Circolo Ohibò di Milano ma continueremo i live fino all’estate con qualche appuntamento all’estero oltre che in Italia.