Jünger-Hofmann: tra storie di viaggi, rivelazioni e “bambini difficili”

Quando ricerca scientifica e creazione letteraria scorrono su binari paralleli

Chiara Mammarella
La Caduta 2016–18

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LSD è il titolo dell’illuminante corrispondenza, durata per circa mezzo secolo, fra lo scrittore nonché filosofo Ernst Jünger (Heidelberg, 29 marzo 1895 — Riedlingen, 17 febbraio 1998) e il chimico Albert Hofmann (Baden, 11 gennaio 1906 — Burg im Leimental, 29 aprile 2008), entrambe personalità di profondo rilievo della contemporaneità. A pubblicarla è la Giometti&Antonello, giovane casa editrice di Macerata grazie alla quale sta prendendo progressivamente forma un corpo di testi del tutto degni di attenzione, dei quali il carteggio Jünger-Hofmann rappresenta giusto l’ultimo arricchimento. Dopo la recente scomparsa di Danni Antonello, co-fondatore della suddetta attività editoriale, opere del genere restano al lettore come dei fari, luminose testimonianze di una guida che, se ascoltata, può rischiarare ai suoi occhi quell’intrico di vie a legare insieme passato e futuro.

Ed è esattamente in questa luce che sa collocarsi tale corrispondenza, protagonista della quale, come facilmente deducibile dal titolo della stessa, è la dietilammide dell’acido lisergico (LSD), intorno alla quale sorgono numerose quanto acute riflessioni, anche in relazione alle possibili conseguenze derivanti da una ipotetica diffusione della stessa fra le masse (ipotetica di certo solo inizialmente, dato l’impiego su larga scala che della sostanza iniziò a farsi a partire dagli anni Sessanta). Lo scambio epistolare fra i due studiosi è una fucina di rimandi, di citazioni, di descrizioni paesaggistiche alle quali si aggiunge l’intenso scambio di volumetti, romanzi, trattazioni, articoli scientifici e non, che fanno come da corollario alle questioni considerate all’interno delle varie lettere. Jünger rimane, per l’intero tempo del carteggio, testimone fedele delle scoperte inaugurate da Hofmann, spinto quest’ultimo, oltre che dalla profonda stima o, ancor più, riconoscenza verso l’autore tedesco per il valore delle sue opere letterarie, da quel desiderio di permettere o realizzare una compenetrazione fra due differenti ambiti di indagine il cui punto di incontro converga direttamente sul comune oggetto di ricerca. Scrive infatti Hofmann nella lettera del 19 marzo 1948: «Se questo ambito mi interessa dal punto di vista chimico a partire dai miei primi esperimenti con l’LSD, tuttavia per me ha acquisito una vera importanza solo dalla prospettiva che lei propone. Da un’illuminazione scientifico-chimica, e al contempo filosofico-artistica, si crea una combinazione che determina anche una specie di piacere stereoscopico»¹. Questo tentativo di conciliare la concezione del mondo delle scienze naturali con quella mistico-religiosa, dimostrandone la natura del tutto complementare, è provata anche dall’interesse e dalla volontà di andare a rintracciare l’origine dell’impiego delle droghe nei riti degli antichi; è nella lettera datata 18 novembre 1977 che Hofmann si dilunga in particolare su questo argomento, ricordando la Mushroom Conference tenutasi presso l’Università di Washington, alla quale era stato invitato come relatore. Da qui l’idea piuttosto innovativa sostenuta, oltre che da Hofmann stesso, da Gordon Wasson, etnologo più volte citato nel carteggio, secondo cui a procurare gli stati alterati nei partecipanti ai misteri eleusini sarebbe stato il ciceone, o meglio la segale infettata con la quale questi veniva preparato; è difatti dal parassita di ciò responsabile — noto come Claviceps purpurea o più comunemente ergot — che è possibile ricavare l’LSD.

Bassorilievo di Farsalo. Museo del Louvre, Parigi.

La progressiva sperimentazione di tale nuova sostanza, insieme alla parallela massificazione dell’impiego della stessa, sembra suscitare negli studiosi un forte scetticismo rispetto alla convenienza di tale capillarizzazione, ancor più che per le gravi conseguenze fisiche che un abuso della droga può provocare, per la forzata profanizzazione di un rituale che dovrebbe conservare in sé, esattamente come nel mondo antico, un carattere sacrale, rivelativo, iniziatico. E da qui la distanza anche dal pensiero di Aldous Huxley — con cui lo stesso Hofmann era entrato personalmente in contatto — il quale al contrario considerava non solo scarsamente nocivo, ma addirittura opportuno “dare alle masse la possibilità della trascendenza”², e ciò nella prospettiva di un progressivo quanto universale sviluppo spirituale e culturale per l’umanità. «Nutro dei dubbi — ribatte il chimico svizzero — sul fatto che profanando una droga sacra per i suoi effetti, proprio negli Stati Uniti dove non sembrano preparati nemmeno per il più innocuo alcol, possano essere sfruttate le sue possibilità positive. C’è da temere invece che attraverso un uso improprio l’LSD finisca per acquistare fama di droga terribile»³. A questa osservazione si riallaccia immediatamente Jünger nella lettera del 7 luglio 1966 che, con un goethiano «Non lo dite a nessuno, solo al saggio», prova di aderire al dissenso dell’amico. A ciò va ad aggiungersi, inevitabilmente, l’impossibilità per il volgo di far uso di quella “tecnica”, in questo caso utile, se non fondamentale, per ponderare al meglio l’approccio alla sostanza e il conseguente accesso al dionisiaco mondo. E ciò nell’ottica di non sminuire né svilire il valore di un’esperienza a tal punto rivelativa, nella più profonda distanza da quello che Donato Novellini, nella prefazione al carteggio, definisce come “stereotipo tossico autodistruttivo che consegnerà tutto quanto al bigotto proibizionismo e alle punizioni demagogiche. Oppure al pietismo cristiano”.

La sola fuga da tali massificanti meccanismi di natura sociale, ma anche economica nonché culturale, sembra allora poter essere unicamente realizzata mediante la strenua ed instancabile prosecuzione della propria attività di ricerca da una parte, e il Viaggio dall’altra. Viaggio che a sua volta, e con malinconica nota da parte degli studiosi, sembra essere stato infettato dal parassita della globalizzazione, il quale ha assottigliato — e continua sempre di più a farlo — la distanza a separare il vero Viaggio da un turismo meramente ricreativo, pura progettualità del traffico. La gravità delle conseguenze derivanti dai novecenteschi processi di massificazione sembra dunque comportare più che altro una radicale e forse definitiva perdita di ogni senso di autenticità; processo che, nel caso specifico, può benissimo essere compreso nel rapportarlo tanto alla dimensione fisico/esteriore quanto a quella immaginativo/interiore del Viaggio. L’orda di turisti che affollano le spiagge di Ibiza o di qualche altra località sino a quel momento sconosciuta ai più, sembra depauperare il luogo del suo stesso valore e così della sua sacralità. Al medesimo modo la diffusione dell’impiego delle droghe in generale, ma dell’LSD in particolare, legata alla nascita della cultura hippie e della beat generation, ha privato ̶ e priva ̶ la sostanza stessa di quell’aura divina di cui al contrario sapeva godere nell’antichità e, al contempo, di quel prezioso potere consistente nel facilitare ed ampliare nell’uomo l’attitudine al raccoglimento; facoltà che mai come in quest’epoca sta venendo progressivamente a mancare. Scrive Hofmann a tal proposito il 23 marzo 1953: «Mi sembra che una grossa parte dei mali del nostro tempo siano riconducibili alla mancanza di raccoglimento. La tecnica sempre più perfetta della pubblicità, della moltiplicazione, della stampa, della radio e del commercio, finisce esattamente col sommergere la gente con immagini, pensieri, conoscenze sempre nuove. […] Non si può più parlare di una partecipazione produttiva. Le persone vengono distratte con ogni mezzo della tecnica e sottratte a loro stesse e alle loro predilezioni. Una simile distrazione sistematica non c’è mai stata nella storia del mondo e mi sembra che da questo fronte avvenga un attacco al nucleo divino dell’uomo che può avere un effetto mortale. La massificazione crescente è una diretta conseguenza della distruzione dell’interiorità del singolo. Il raccoglimento, le attenzioni premurose per una cosa, per una persona, per un pensiero, il raccoglimento che viene dall’amore e che deriva soltanto dall’amore, viene minacciato sempre di più»⁴.

“Caro Ernst, dove il 16 ottobre 1994 hai passeggiato filosofeggiando ai piedi del bosco variopinto di Rittimatte, lo scorso autunno, proprio sulle tue tracce, sono cresciuti dei funghi, delle spendide clitocybe, a testimonianza del tuo legame fecondo con Gaia. Con affetto, Albert.”

Sono le avvisaglie queste di una situazione mondiale in progressivo declino, di cui l’alienazione potrebbe, senza esagerazione, essere presa come termine chiave. Quell’accelerazione dei ritmi di vita già ben avvertita da Hofmann, continua strenuamente a produrre una vertiginosa contrazione del tempo umano, andando in tal modo ad alimentare ulteriormente il frenetico processo di saturazione e frammentazione delle singole individualità. Nell’ottica del chimico svizzero sarebbe tale gigante e “sistematica distrazione”, forzatamente indotta dal mondo della tecnica, a costringere l’uomo ad appiattire quella “irrinunciabile” capacità di trascendere il puro dato sensibile, mera fatticità del proprio “qui ed ora”. È così che l’intera rete di rapporti umani, quello con se stessi in primis, ne risulta profondamente lacerata, giocandosi sempre più su di un piano di pure apparenze, vuoti simulacri che celano dietro l’immagine del tutto fittizia del proprio sé, tanto accuratamente costruita, un io oramai del tutto frantumato.

In un mondo in cui gli uomini usano oramai muoversi fra continui e reciproci urti come sorte di monadi leibniziane dal volto umano, prendere un carteggio di tale portata fra le mani e sfogliarlo non può che indurre a credere che vi sia ancora tanto da sondare ed esplorare, che siano queste pagine da leggere o barriere ancora impenetrate che è giunta l’ora di abbattere.

Note:

¹ Jünger-Hofmann, LSD, Carteggio 1947–1997, Giometti&Antonello, Macerata, 2017, p. 21.

² Ivi, p. 70.

³ Ivi, p. 79.

⁴ Ivi, pp. 49–50.

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