Kabaneri of the Wall Maria

Il celebre Wit Studio, autore di Attack On Titan, si cimenta in una nuova storia simile al proprio capolavoro ma dal ritmo più serrato e farcito di combattimenti. L’ombra di AoT è troppo grande da evitare e i risultati sono tutto fuorché esaltanti

Leonardo Biagetti
La Caduta 2016–18

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Un nemico terribile e quasi invincibile, apparso all’improvviso, si è impossessato sanguinosamente del territorio degli esseri umani, costringendoli a vivere rintanati dentro spesse cinte di mura. Solo l’utilizzo di uno speciale armamento, che utilizza gas altamente pressurizzato, permette di uccidere questi formidabili avversari, colpendoli nel loro unico punto debole. Il protagonista, divorato dal senso di colpa per aver lasciato morire, a causa della sua debolezza, una persona cara, intraprende un viaggio per annientare i mostri che minacciano l’umanità. L’eroe possiede gli stessi poteri dei suoi avversari, ma non è né umano né mostro. Nella sua avventura, lo accompagnano una ragazzina atarassica, letale in combattimento (e certo sono attratti uno dall’altra, ma senza mai rivelarlo) e un fedele amico, imbranato, ma leale, pronto a seguirlo fin nelle situazioni più rischiose. Nel corso dell’anime, il protagonista verrà emarginato e temuto dalle stesse persone che tenta disperatamente di salvare, e si capirà che forse, il vero nemico, è l’essere umano. No, qui non si parla di Attack on Titan. Questa è la trama di Kabaneri of the Iron Fortress. Strano, no?

Good wombs have borne bad sons

Anche la storia più banale, se raccontata eccezionalmente, può sorprendere. Basti pensare ad Avatar. Quest’anime non ci riesce.

“Koutetsujou no Kabaneri” o “Kabaneri of the Iron Fortress” è un anime da 12 puntate, ognuna di 22 minuti, pubblicato tra l’otto aprile 2016 e l’uno luglio 2016. Viene elencato in diversi autorevoli siti come anime “Action”, “Fantastico”, “Drammatico”, “Horror”. Se le prime due definizioni possono essere adeguate (essendo semanticamente così vaste, è difficile sbagliare) le altre due sono la chiara definizione di ciò che Kabaneri voleva essere. Sfortunatamente, i picchi drammatici della storia sono ben pochi, e classici di ogni copione, privi di originalità e poco sentiti: come soffrire per la scomparsa di un personaggio piatto, inconsistente, irreale? L’horror viene invece confuso con il gore, con lo splatter, e manca di quella tensione, quello spavento, quell’inquietudine, che creano le linee guida del genere.

Lo studio che lo produce è Wit Studio. Per chi non lo sapesse, è lo stesso che ha animato anche Attack on Titan. Curioso, no? Ed è ancora più imbarazzante leggere che il direttore (Tetsuro Araki), lo sceneggiatore (Hiroshi Seko) e persino il compositore (Hiroyuki Sawano) sono gli stessi. Si rimane dunque perplessi e ci si chiede il perché, dopo aver prodotto un anime di successo, lo stesso studio decida di impiegare le stesse persone per produrre una specie di copia mal riuscita.

Le risposte possibili variano, ma sono in genere assai poco generose. Ma la soluzione potrebbe essere un’altra, e meno disprezzabile: la composizione della serie e la regia sono entrambe di Ichiro Okouchi. Ichiro è il creatore e lo sceneggiatore di Code Geass: Lelouch of the Rebellion e di Code Geass: Lelouch of the Rebellion R2. E’ dunque possibile che i creatori abbiano voluto dar vita ad una storia simile al successo precedente, ma con altri toni, altri effetti, altri fini? Che abbiano voluto reinterpretarlo, rendendolo più luminoso, più leggero, più “pop”? Insomma, che non sia solo una copia, ma una “cover”?

Dal punto di vista puramente formale, si spiegherebbero così almeno i colori intensi, abbaglianti perfino, i “costumi” (come Lelouch, Karen, Zero: tutti in Code Geass sono in “costume”) dei personaggi, misti a quell’inquadratura tutta sugli occhi, infiammati nella rabbia, presa da AoT.

Forse anche la grafica, a volte più cartonesca, barocca, a volte spoglia e grigia, ma certo sempre ottima, potrebbe essere intesa come figlia di una fusione tra i due stili.

Quello che non si spiega è la musica: nonostante in entrambi i “genitori” la colonna sonora sia incredibilmente epica, Sawano non riesce stavolta a regalarci i picchi orchestrali, maestosi e intensi che potevamo (e certo volevamo) aspettarci.

Un treno su un binario morto

Trovare due storie quasi identiche non è certo nulla di nuovo nell’ambito della produzione fantastica umana. Dalla mitologia orale, passando per millenni di letteratura fino al cinema, alle serie, agli anime, le storie che narriamo sono sempre nuove interpretazioni di un numero finito di avvenimenti. Ma far propria una storia e riprodurla è un arte (vecchia come l’uomo, infatti) e, in quanto arte, richiede coraggio e misura. Bisogna prudentemente pesare ciò che si può e si deve lasciare, e avere il coraggio di modificare, mascherare, perfino eliminare e cancellare il resto.

Kabaneri è dunque smisurato e pavido. Sulla trama abbiamo già detto abbastanza precedentemente e, se vogliamo evitare spoiler, non possiamo aggiungere molto altro.

I mostri da combattere sono questa volta i Kabane, una sorta di zombie particolarmente resistenti e veloci, impegnati, come ogni armata zombie che si rispetti, a tentare disperatamente di nutrirsi degli umani, dai quali sono inevitabilmente attratti, trasformandoli i nuovi compagni con cui andare a sbranare altri umani. Il protagonista, Ikoma, pieno di rabbia verso il nemico e rimorso per la sua debolezza passata, è sempre pronto al sacrificio per salvare il prossimo, o forse per fare ammenda. Con un procedimento piuttosto banale, ottiene i poteri dei nemici, la loro semi-immortalità, la loro super forza. Ma nonostante questo, dovrebbe, o almeno vorrebbe, essere un protagonista un po’ nerd, più cervello che muscoli, essere un geniale ingegnere/meccanico, insomma, un misto tra Lelouch e Eren. In realtà, combatterà con testardaggine e poco altro. Si tenterà, come in Code Geass, di far passare piani in realtà banali per brillanti idee, ma con molto meno successo. Con lui viaggerà Mumei, una ragazzina dotata degli stessi poteri, ma incredibile in combattimento, profondamente segnata dal suo passato, una versione kawaii di Mikasa insomma. L’amico Takumi farà ben poco per tutta la serie, a parte essere “l’amico fedele”. E’ un po’ grasso esteticamente e caratterialmente molto piatto.

I tre si troveranno in un treno in fuga da una città ormai caduta nelle fauci dei Kabane, un treno nel quale vedremo crearsi e risolversi le stesse esatte problematiche sociali che, indovina indovinello, caratterizzano Attack on Titan: la paura e la sfiducia da parte dei propri simili, la codardia di alcuni potenti che puntualmente porta al disastro, l’insensatezza della religione, la necessità di dover diventare mostri ( fuori, ma specialmente dentro) per combattere altri mostri. Tutto questo senza nemmeno una traccia della profondità, della crudeltà e dell’intensità emotiva con le quali il predecessore tratta questi temi.

Si vedrà a un certo punto comparire una squadra speciale, che armata di coraggio lascia alle spalle la sicurezza delle mura e combatte i Tit…ehm scusate, i Kabane con una efficienza spettacolare e ammirabile.

Va citato che l’ambientazione è un interessante medioevo-steampunk, in cui giganteschi treni di metallo massiccio viaggiano, falciando i mostri che trovano sui binari, da città corazzata a città corazzata, trasportando merci e soldati armati di fucili e katane, arrivando rossi di sangue e impiastricciati di cadaveri. E’ quindi certo un’ambientazione interessante, uno dei pochi punti realmente validi dell’anime.

Il colpo di grazia

Kabaneri è un tentativo di produrre un Attack on Titan realmente shonen, smussato su tutti i punti più intensi (i migliori), facile, colorato, con un ritmo più veloce e una trama più facile. Ne nasce una copia semplificata e superficiale, ma esteticamente seducente, che coinvolge moderatamente per i primi episodi, almeno fino a che lo spettatore non capisce che quel modus narrandi non è frutto di una necessaria rapidità introduttiva (che ci si aspetta in un anime da 12 puntate), ma che è intrinseco nella serie.

Per concludere, un anime per un pubblico di poche pretese, probabilmente sotto i sedici anni, che cerca della gran bella azione, colori intensi e concetti chiari e facili da seguire, insomma un action mediocre, tutto botte e senza pensieri.

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