Katana #15 🎎

Katane spossate per polemichette confezionate

Andrea Capodimonte
La Caduta 2016–18

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Sabato sera c’è stato il concerto di Vasco Rossi, a Modena, a cui hanno partecipato 220.000 persone. Il web ha inseguito la polemichetta, come fa sempre, e se ne sono lette di tutti i colori. C’è stato chi l’ha subito messa sul numero di partecipanti, sulla scia del questi sono 220.000 persone non come quando X diceva di fare i numeri, facendo rivendicazioni politiche; c’è poi chi l’ha buttata sul Drogàti! Mandate l’antidroga!; chi invece, esterofilo 4ever, postava foto del Monster of Rock del 1991 che contava 1,6 milioni di partecipanti, facendo il petto villoso: Questi sì che sono rocker, Ac/dc, Pantera, Metallica, rock vero, non rendendosi conto che quello però era un festival; poi ci sono stati quelli che invece hanno semplicemente detto che Vasco Rossi è scarso, e che ci sono ben altri artisti a cui non viene data così importanza. Insomma, variabili della stessa costante polemichetta da web. C’è stato anche chi però se l’è presa prettamente con i fan, i sconvolti, i vascolizzati, coloro che sono più adepti che fan, arrabbiandosi per la loro adesione assoluta alla religione laica di Vasco, che predica la libertà individuale ad ogni costo, e che anche in questa occasione non si è lasciato scappare l’opportunità di commentare la contemporaneaità, ripetendo a mo’ di slogan «l’amore sopra la paura», verso la fine del concerto. Una frase semplice che se fosse stata pronunciata da altri, magari politici o piccoli cantanti, avrebbe avuto un senso destituito, ma che con la voce rauca di Vasco è differente, perché quell’amore è stato vita, quell’amore conosce il disamore, disillusso, che non arretra d’un passo, che è malato, che fa male, ma che vale la pena di provare. Le parole mutano di significato in base a chi le pronuncia, il significato è per forza legato alla suono che le realizza, è un legame inscindibile. L’amore sopra la paura di Vasco è quello autentico, che non è miele, ma che è un fegato spappolato, che è la scelta di godersi la vita a proprio piacimento, senza dover sopperire al terrore e al panico, né al giudizio altrui. «Non cambieranno le nostre abitudini», quella libertà per cui qualcuno di noi ha lottato, senza denti, con l’alito che sapeva di whiskey, in quella religione umana in cui non si fa il tifo per nessun’altro se non per l’uomo; «Non cambieranno le nostre abitudini», e non deve farlo nessuno, né un nemico costruito da irrequieti imbonitori, né gli imbonitori stessi. E Vasco può non piacere, può non essere niente per voi, come in fondo non lo è per me, ma porsi in antitesi ad un fenomeno del genere, in fondo, non è altro che parte del gioco del sentirsi/fare-sentire-l’altro diverso. E va bene così…

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