🎎 Katana #19

Katane crudeli per bionde arroganti

Lorenzo Mondaini
La Caduta 2016–18

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Nella fantastico mondo incantato del pop del XXI secolo, anno dopo anno subiamo, costantemente, la disgrazia di questa musica oramai sintetica, falsa e contraffatta. Ma non è solo il contenuto ad essere sempre più straziante, bensì la forma, ciò che c’è tutto attorno a quelle quattro logore note. La sfavillante realtà in cui vivono queste regine non è nient’altro che l’Inferno in terra dipinto di rosa. Luogo pieno di falsità, superficialità e follie che si alimenta delle mediocre menti di una massa, grande, di persone: dalle ingenue ragazzine, alle povere madri, fino alle perdute trentenni. Un incubatore di merda, che si nutre di merda e che, guarda un po’, produce altrettanta merda. (Ma tu guarda, proprio che coincidenza, curioso). Con l’arrivo dell’autunno, arrivano anche i nuovi singoli. L’ultimo frutto di questa terra marcia è Look What You Made Me Do della bravissimissima e bellissimissima Taylor Swift. Per l’occasione, l’ex ragazza-della-porta-accanto ha deciso di invertire la rotta, di mostrare a tutti che anche lei sa essere provocante, sa essere cattiva, sa essere una badgirl. In parole povere, ha voluto confermare che anche lei fa sesso. Tutto questo trambusto perché come non c’è 2 senza 3, non c’è nemmeno nuovo album pop senza relativa (e infondata) trasformazione. Inutile dire che il pezzo fa schifo, non è questo il punto. Forse è inutile anche dire che la Swift, come la Perry, la Gomez e via dicendo, abbiano rotto il cazzo. Ma invece è bene confermare, rafforzare, gridare quanto abbiano davvero rotto il cazzo. Perché se non c’è mai fine a questa terrificante narrazione, intrisa di stronzate personalistiche, non ci deve essere mai fine al nostro rifiuto, alla nostra ferma condanna. Il peccato originale messo in piedi dall’industria musicale è quello di aver creato dei mostri, una fabbrica di mostri, che non basano la loro esistenza sulla musica e sull’arte. La malefica strategia a cui questi personaggi prendono parte da anni è quello di creare degli elementi non-musicali volti a mantenere alta la posizione nella scala del successo. Non sono dischi quelli, sono immagini, volatili, create per alimentare l’egocentrismo in questo gioco al rialzo. Ed è per questo che il nostro sforzo deve continuare affinché la selezione naturale faccia il proprio corso. E anche se ci vorranno lustri e decenni, meglio non essere immobili, meglio invece alimentare il processo di implosione. Vadano al diavolo tutte le Swift di turno e le loro strumentali paturnie. Saremo noi, a trionfare, infine.

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