Katana #05 🎎

Katane censorie per spettacoli validi

Andrea Capodimonte
La Caduta 2016–18

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I primi anni di università, con i miei amici, amavamo immaginare dei combattimenti a mani nude tra i vari scrittori della storia; invece di valutare i loro scritti letterari, ci divertiva immaginare un tipo di valutazione basato unicamente sulla forza bruta. Ad esempio: Ernest Hemingway VS Lord Byron, chi vincerebbe?
Mi è tornato in mente questo giochetto che facevamo perché mi è capitato di leggere, nelle ultime settimane, delle stroncature abbastanza pesanti: l’ultima in ordine cronologico all’ultimo libro di Walter Siti, Bruciare tutto, da parte di Michela Marzano, e meno recentemente, la stroncatura a I difetti fondamentali di Luca Ricci, da parte di Davide Brullo. Ma c’è una grande differenza tra queste due recensioni, perché se la Marzano critica a Siti ciò che viene rappresentato, Brullo critica invece la banalità di alcune immagini di Ricci. Io ancora non ho letto nessuno dei due libri, ma ciò su cui mi piace soffermarmi è il genere stroncatura, che da più parti sento difendere come genere letterario sempre esistito, dicono anche molto apprezzato. Non lo so, a me la stroncatura sembra unicamente un atto spettacoloso, semplicemente uno scritto in cui il critico vuole dire la sua, senza pensare troppo al libro, spostando l’attenzione dall’oggetto della critica a qualcos’altro. Bruno Giurato, caporedattore de Linkiesta, dopo che Ricci ha pubblicato una risposta pubblica a Brullo, risponde che «una certa retorica tranchant è consustanziale al genere-stroncatura, per non parlare di una rubrica che sin dal nome (bastone/carota) è necessariamente — e giocosamente — liquidatoria ». Questa retorica è quella che fa scrivere a Brullo che gli scrittori dovrebbero tatuarsi «sulle chiappe» alcune novelle di Verga. Ora, io mi chiedo, cosa diavolo significa che un autore dovrebbe tatuarsi sulle chiappe un racconto? Perché non tatuarselo sul petto? Perché sulle chiappe? Se io mi tatuo qualcosa sulle chiappe, di certo non posso vederlo se non allo specchio, distorto. Perché non tatuarselo nella mente, allora? Va da sé che Brullo vuole semplicemente accostare Ricci a parti anatomiche atte all’escrezione. È il genere stroncatura, baby. Ma proprio qui c’è la grande differenza: quella della Marzano è una critica che fa discutere, e che può aprire discussioni (d’altronde Siti sapeva che qualcuno avrebbe recepito il suo libro come la Marzano l’ha percepito, e se la starà ridendo); quella di Brullo è bile che vuole creare rumore e spettacolo fine a sé stesso. Sicché ripenso al giochino che facevamo con i miei amici, ma in una nuova veste: non dovrebbero essere gli scrittori del passato a combattere fra di loro, ma gli scrittori contemporanei dovrebbero sfidare i critici sopra un ring, poiché se l’unico fine della stroncatura è lo spettacolo, forse preferiremmo dei veri scontri di wrestling, con pugni, calci e sedie spaccate sopra i crani, perché almeno ci si diverte, si sa che è tutto finto e nessuno ne esce deluso, non come questi scritti che lasciano solo insoddisfatti e che, per dirla alla Brullo, non fanno altro che stressarci i testicoli.

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