Illustrazione di Matteo Capriotti.

La Marea Apocalittica — Apologia dell’Heavy Metal

Come i sostenitori del genere musicale più potente del mondo continuino a testimoniare la potenza psicologica del rock’n’roll

Luca Badaloni
La Caduta 2016–18
15 min readOct 25, 2016

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“Where are they now?

They are gone

I saw them run,

Run to the sea”

Leggendo le lyrics di questa canzone ci si può chiedere: “di chi stanno parlando?”. Bisognerebbe andarlo a chiedere ai Neurosis, ma in questo caso, prendendosi una licenza ermeneutica, se ne può trarre un’idea. Si può vederla in questo modo: che fine hanno fatto i die hard fans del genere musicale più potente della storia della musica? Un genere che ha fatto dei suoi valori musicali le direttive di vita? Per 30 anni c’è stato un connubio saldissimo di etica ed estetica che ha trascinato musicisti in progetti che li hanno resi noti al mondo intero. Forse per chiarire che fine hanno fatto i metallari nel corso del tempo, basta guardare i Metallica. Gruppo che ha letteralmente squarciato il panorama interno. Oggi li si può ammirare al Tonight Show di Jimmy Fallon mentre propongono riff thrash per 50enni; la lacrima al die hard fan calerà per forza, sia per la tristezza, sia per la gioia, sia per entrambe. Dopo 25 anni di deliri traviati dal mercato musicale, dalle etichette e dal dubbio gusto di produttori strappa-dollari, finalmente li vediamo riproporre quello che i loro sostenitori gli hanno sempre chiesto… anche se forse è troppo tardi. Sì, perché loro hanno sempre saputo cosa significasse navigare sulle onde dell’underground e se non fosse stato per quell’oceano oscuro che in fondo in fondo (con la scusa che “alla fine… fino a Master Of Puppets hanno fatto dei capolavori”) li ha sempre sostenuti fino alla morte, sarebbero stati dimenticati come una delle tante hit pop anni ’80 che ci divertiamo a riesumare per manie archeologiche più che per appartenenze uditive.

I Metallica allo Show di Jimmy Fallon mentre presentano il loro singolo “Moth Into Flame”

La cosa che rende incredibile tutto ciò, è il potentissimo senso di appartenenza di queste schiere di fedeli sostenitori. Questi artisti, anche i più famosi e i più arricchiti, devono ringraziare fino alla fine l’incredibile tenacia dei propri fan che ne portano la bandiera con orgoglio e si rifiutano di mollarla al primo vento contrario. Gli esempi sono lampanti e numerosi. I Black Sabbath dopo Heaven and Hell, (disco di 36 anni fa! Si tratta della stessa differenza cronologica tra il viaggio sulla luna e l’ascesa del nazismo) hanno riproposto, in termini di discografia, album dello stesso livello? Lo stesso discorso è valido per: Judas Priest, Megadeth, Alice Cooper e tanti altri. Guardate i volti delle persone presenti nel Live Shit Binge & Purge di Seattle 1989 durante l’Ecstasy of Gold di Morricone, guardate il video di Wake Up Dead dei Megadeth, guardate il Live Hammersmith Odeon 1987 degli Anthrax, gli show e i video di Kreator, Celtic Frost, Sodom, Savatage, Venom e tutta la fratellanza hardcore che nella prima metà degli anni ‘80 ha dettato legge grazie a Dead Kennedys, Misfits, Black Flag, Exploited etc etc. Essi hanno creato qualcosa che esprime alla massima potenza concetti che oggi mancano sempre più (al di fuori di questi ambienti): emozione sonora e appartenenza intransigente. Quante volte capita di sentire parole come “il rock’n’roll è morto”, “non ci sono più i gruppi di una volta…”, “manca la passione di una volta”? Da frasi del genere è facile capire l’età anagrafica o mentale di chi le pronuncia e la risposta che si meritano tali soggetti è semplicemente cinica. Alle giovani generazioni non manca la passione; l’energia manca proprio a coloro che sostengono cose del genere solo perchè si tratta di persone vecchie e stanche. Fatevi da parte e non date la colpa a chi viene dopo di voi soltanto per doverosi passaggi di testimone. Della serie, mio padre mi diceva che il “metal fa c*****” quindi io dico a mio figlio “il metal di oggi è tutto senza anima”: questa si chiama frustrazione. Siccome a suo tempo ci sono stati osteggiamenti fortissimi da parte di censure e quant’altro — si veda il video anthemico di We’re Not Gonna Take It — non significa che agli ostacoli già presenti si devono aggiungere quelli già superati. Anzi, da un vecchio sostenitore della causa, ci si dovrebbe aspettare l’apertura mentale necessaria adatta a vedere che ciò che muove le nuove band, in alcuni casi, è proprio lo stesso sentimento che animava gli amati 80s. L’altro tipo umano di denigratore è sicuramente peggiore del primo, poiché chi sostiene che un genere musicale sia morto, molto spesso lo fa, rifiutando il fatto che la tomba è proprio nel suo cuore o persino peggio, nel suo cervello. Ci si trova davanti a dei pigri che non hanno mai saputo abbracciare un genere con la stessa forza dei predecessori e danno la colpa ai loro contemporanei e mai a se stessi. Questi denigratori della musica spesso e volentieri sono dei giovani dotati di handicap mentale, che si abbandonano a giudizi di valore basati su discografie di appena 5 album (se va bene 50).

I Judas Priest nel 1990, anno di uscita del loro capolavoro Painkiller. Band che ha contribuito largamente al vestiario del “metallaro”. Si rende il “grazie” alla passione Sadomaso del frontman Rob Halford.

Avete una minima idea di quanti gruppi musicali esistono e sono attivi oggi? In questo caso, vi meritate le cover band (le quali, possono essere anche dotate, ma di fronte al tali ascoltatori non eseguono cover ma requiem). Chiunque suona con passione non si merita un tale pubblico. Se non appartenete a queste schiere di sostenitori di apocalissi (o palingenesi, dipende dal punto di vista) musicali, allora occorre constatare che i grandi nomi del passato ormai sono solo correnti di un oceano e si riprende:

Under the waves all has been said.

Can You hear them?

Their voices are free

Free from the sun’s stare,

free from the noise of lost souls.

Set fotografici del 1984 periodo Sentence Of Death! Destruction. Clichè a palate. Se non era per certe persone non avremmo mai saputo quali fossero questi Clichè.

Le cartucciere attorno alla vita à la Lemmy, o sulle spalle alla Destruction, i giubbetti di toppe, le borchie da tutte le parti, gli stivaloni da motociclista, i “big sunglasses” di Abbath e Fenriz, gli anfibi militari, i jeans strappati, i pantaloni di pelle attillata, gli orecchini e le capigliature sfrontate. Di fronte a tutto ciò bisogna ricordarsi che in questi casi non si ha a che fare con musei archeologici viventi, ma di una cosa che ti rende pericolosamente vivo: la fede per qualcosa. La si può definire adolescenziale e sempliciotta, e la critica sarebbe credibile se fossimo negli anni 80. Perchè un conto è vedere qualcuno che ascoltava Chuck Berry dire: “questi stanno esagerando con volume e distorsioni” oppure un amante del jazz dire “questo rumore mi infastidisce”. Questo sarebbe un dire da padre poco comprensivo dei tempi rapidi (o di un padre altrettanto hardcore che rifiuta onerosamente il cambiamento), ma sempre padre rimane. Oggi sputare addosso a certe culture, significa sputare a padri e nonni anagraficamente parlando (Tony Iommi è nato nel 1948). Il metal è un genere nato dalla ribellione di alcuni coraggiosi appartenenti alle classi medie di allora, e tutta quella rabbia di stampo freudiano si è riversata sulla società “patriarcale”. Da quella rabbia recondita, che tutti possedevano durante quei grandi movimenti di massa che hanno caratterizzato il 900, se ne è formata un’altra, quella per i propri contemporanei. I metallari in quegli anni hanno preso due insegnamenti contrastanti e li hanno fatti loro (anche se uno è preponderante): da una parte una componente hippy-pacifista di stampo sabbathiano dall’altro, il costante contrasto societario e la sua demonizzazione ne hanno esaltato l’insegnamento eracliteo del frammento 53 Diels-Kranz, ovvero La guerra è a capo di tutte le cose. Il metallaro deve combattere sempre per affermarsi e si ritrova unico contro una massa; ciò è apparentemente stirneriano se non fosse che gli unici alleati che ha, sono i suoi confratelli. (Da notare la più che logica passione per il manga/anime Berserk in questo senso). Da questo contesto è anche chiarificata un’altra dimensione tipicamente da Metalhead che oggi sta prendendo il sopravvento sull’intera società. I primi metallari sono stati tra i primi nerd analogici! Appartengono alla generazione che ha scoperto D&D e l’ha portata alle estreme conseguenze vitali. Il mondo del Fantasy è stato totalmente metabolizzato dall’universo Metal. Per averne conferme basta andarsi a guardare notizie di gruppi come Manilla Road, Manowar, Dio, Blind Guardian e in forme ancor più estremizzate l’intero movimento black metal (Varg Vikernes ha creato un suo gioco di ruolo) e quello power metal. Ecco allora chiaro come il metallaro sia nato da una ribellione giovanile da classe media e sia finito, nel suo isolamento sociale, a sognare mondi fantastici di guerrieri, barbari, maghi, letteratura, pirati, astronavi (per il tema dello sci-fi nel metal basta andare a ripescare nomi come Voivod, Vektor, Hypocrisy, Dismember, Nocturnus mentre per i pirati Running Wild, Swashbuckle e Alestorm). Insomma, figure archetipiche che si affollano le une accanto alle altre, estremizzazioni di pensieri che già avevano i propri predecessori nel rock (The Battle of Evermore dei Led Zeppelin, le ispirazioni di Neil Peart o dei gruppi Prog anni 70), ma in forme molto più delicate e corrette. Si può anche pensare di andare così a ritroso per tutta la storia della musica. L’intera grafica è ispirata da tali figure archetipiche e basta scorrere una galleria di copertine di album per rendersene conto. Dietro ad alcuni musicisti si nascondono bravissimi artisti visivi che abbracciano la causa musicale facendo convergere vista e udito (basta ricordare il caso di Tom G. Warrior con Hans Rudolf Giger o la vicinanza dei Tool alla figura di Alex Grey). Proprio questo movimento fa comprendere come il metal sia un qualcosa che abbraccia molteplici cose e non si limita ad essere un semplice genere musicale, ma modo di vivere. Un vivere nutrito dalla rabbia nei confronti di ciò che ci circonda, e non più nei confronti dei genitori.

La fondazione assoluta del Metal può essere sintetizzata in questa immagine.

I genitori ormai sono gli stessi (o almeno hanno visto) che ai loro tempi si alzavano le corna al cielo con Ronnie James Dio, si guardavano i Black Sabbath e i Metallica. Come si può pretendere che sia la sola e semplice rabbia anti-genitoriale che animava gli anni 80 ad animare il metallaro d’oggi? Il metal di oggi ha perso quella caratteristica, ma non per questo è meno saldo, anzi, si è ancorato al suo fondamento: la rabbia dura e pura. Insomma il genere nasce come rivoluzione ed è finito per essere una reazione. Oggi si potrebbe abbracciare il genere per questa preponderante sottocultura fantasmagorica o per un rifiuto del presente a causa di una infinita ammirazione per il passato (e non per il futuro). Coincidentia Oppositorum dettata da sentimenti apparentemente negativi. Ma ciò che lo rende così saldo e “roccioso” per ironia della sorte, è proprio il fatto che i suoi sostenitori svaniscono nella marea della generazione seguente. Generazioni altrettanto arrabbiate di quelle precedenti, proprio perché questo mondo ci propina motivi di rabbia in continuazione e quelli vecchi non sono più validi di quelli nuovi (al massimo sono più grossolani).

An exiled sound washed in with the tide.

Their voices are free.

Free from the sun’s stare,

free from the noise of lost souls.

Da tutta l’impressione che crede in quello che fa. Hoest, personaggio controverso e unico rappresentante fisso della band Black Metal norvegese Taake.

In fondo la rabbia è un sentimento soggettivo dove, qualcuno può spiegare razionalmente che una volta avevano più diritto di te ad essere arrabbiati e motivazioni sociologicamente più valide, ma di fatto io so soltanto di essere arrabbiato. Forse che la validità di tali motivazioni sia proprio la loro più che evidente grossolanità, più che la loro relativa efficacia. E poi: voi conoscete una canzone più incazzata di You Will Never Be One Us del Nails anno domini 2016? Finalmente, dopo un effettivo decennio di calo, questo genere ha cominciato a ritrovare l’ispirazione. Sembra che qualcosa si muova ancora nelle correnti profonde e abissali. I metallari alla fine popolano quelle stesse stanze piene di poster degli anni 80’ ma vi sono anche importanti differenze che la tecnologia ha apportato. Il computer in primis ha cambiato radicalmente l’approccio al genere. Grazie a questo straordinario marchingegno oggi è possibile ottenere informazioni riguardo al più sconosciuto gruppo black metal dell’Honduras (rendiamo grazie alla mastodontica opera: http://www.metal-archives.com/ ). Negli anni 90 si andava avanti a demo tape e vinili dell’Helvete di Euronymous. La domanda non è: “è meglio o peggio?”. Perchè non ha alcun senso, a meno che non vogliate avere attorno a voi gruppi di metallari talmente incazzati e fondamentalisti da esser pronti a bruciare chiese o strozzare ragazzini come gli Absurd. Il rifugiarsi nella inveterata passione analogica deve risolversi come collezionismo e non come fondamentalismo discriminatorio. Ci si dovrebbe chiedere: Che fino hanno fatto le schiere di headbangers scatenati pronti a distruggere il mondo? No, non sono morti tutti di overdose o in incidenti motociclistici. La risposta è: ora si sono arricchiti. Nell’immenso campo del metal di oggi (http://rateyourmusic.com/genre/metal) è più difficile quello che una volta era più facile, orientarsi. La disponibilità in quanto a numero di ore ascoltabili è aumentata talmente tanto da renderci dei potenziali critici. Le aspettative aumentano a non finire e si cercano condizionamenti da tutte le parti; evidente in questo senso è l’emergere di gruppi avantgarde dagli anni 2000 in poi, ovvero gruppi in grado di mescolare al Metal, generi musicali anche impensabili per combinazione (Arcturus, Devin Townsend, Diablo Swing Orchestra, Solefald, A Forest Of Stars etc etc). Al contempo, la fede assume una forza mai conosciuta prima, se presa nella sua pienezza. Il Metal ha ormai una chiarezza e una consapevolezza al suo interno, che non aveva negli anni 80’. In questo senso, ciò si rispecchia sia a livello etico, ovvero nel modo di vivere, che a livello estetico. Il Metal (anche se si è usato per tutto questo tempo questo nome, in realtà si sta prendendo in considerazione una fetta di popolazione ben più ampia dei metallari) in fondo, è l’unico testimone rimasto della grande svolta del rock’n’roll ed è per questo che dire “il rock’n’roll è morto” è sbagliato. Il compianto Lemmy Kilmeister aveva perfettamente ragione: questo genere musicale è nato dalla voglia di cambiare il mondo, è pura energia e la rabbia è solo un consequenziale movente. Il metal è nato proprio in quegli anni da tre note di una chitarra settata un tono e mezzo sotto: 1970. Il metal è la quintessenza del rock: la massima potenza nella forma. Se si è d’accordo con questa prima affermazione, a voler essere aristotelici, si può arrivare a questo: il metal è il rock che si attualizza. Questo genere infernale estremizza delle componenti e si impadronisce di altre da molteplici generi, facendo propria la lezione del prog, per essere quanto più vario possibile. Il rock per molti aspetti è meno malleabile del metal e si è rifugiato nella sua museale contemplazione. Se credete però che tanto il rock che il metal sono nati dalla rabbia della ribellione, e perciò il motore è quello, allora si può giungere alla constatazione del compianto Lemmy. In realtà non c’è distinzione tra questi generi, perché alla fine si tratta di una filosofia di vita che si ama o si odia. E se essere dei veri rocker, metalheads, punk o come vi pare, è una questione di stile, allora sì, Lemmy aveva ragione: i nomi di generi musicali diventano solo dei pro-forma da giornalista. Come testimonia Hunter Thompson in Fear and Loathing in Las Vegas, già nel 1971 il movimento hippie si era consumato nei suoi ideali: l’ironia della sorte vuole che dai “figli dei fiori” si sia sviluppato un qualcosa di oscuro (non parlo di Charles Manson) destinato a perdurare ben più di loro. Cosa rimane degli hippie se non dei bei ricordi e qualche orribile imitazione? Guardate gli Electric Wizard e scoprirete che gli hippie hanno avuto degli eredi degni di nota e non dei semplici imitatori. L’intero genere stoner è un rappresentante ideale di questo collegamento tra due culture apparentemente distanti: hippies e headbangers.

A parte il messaggio che la band vuole lanciare, l’estetica sembra rifarsi al 1971.

Ci si potrebbe chiedere: “Non è cambiato assolutamente nulla dagli anni 70-80-90 sia a livello di emozioni che a livello estetico?”. Oggi il metallaro ha una componente “secchiona” e “sapientina” che sicuramente mancava allora, dovuta sia al mirabolante tasso tecnico raggiunto sul piano strumentistico sia alle derive intellettuali del piano letterario e d’ispirazione. Ad ogni modo, non si è trattato di “improvvisi”, ma di un excursus naturale: mi sembra logico che a forza di pensare alla morte e alla sofferenza, prima o poi, sarebbe scappato fuori un gruppo come i Deathspell Omega, il cui plauso va alle loro lyrics filosoficamente tenebrose e apocalittiche. Il Metal cambia soltanto la crosta esterna e molto lentamente! I cambiamenti repentini apportati dall’industria di massa sono sempre stati mal-tollerati. Lo stesso grunge (non-genere, figlio anch’esso del metal), i primi tempi non era benvisto dai supporters e soltanto negli ultimi anni è stato assorbito e tollerato dalla comunità. Caso più estremo è quello del nu metal, genere ancor oggi è totalmente osteggiato da molti fans (comprensibilmente). Per quanto chiarificato nel suo complesso, l’amore per l’underground permane forte e proprio questo è un’altro aspetto che differenzia l’ambiente odierno da quello di 30 anni fa. Ai piccoli concerti delle band del giorno d’oggi è difficile vedere tante persone e il calore non è più lo stesso di allora. I metallari sognano movimenti reazionari che li riportino ai gloriosi anni 80’ per poter andare ai concerti con miriadi di fan e con la stessa fresca consapevolezza di oggi nel vedere i Testament del 1988, escludendo dal campo del possibile commenti come “questa band non mi dice un gran che, non so quanta strada potrebbe fare”. Ma dopotutto, così come si può andare a Camden Town e fare una foto con un punk, alla fine, si può fare lo stesso con i metallari. Sempre e rigorosamente fuori dagli schemi della moda, per il semplice fatto che sono sempre uguali nello scorrere del tempo: cambiano giusto qualche componente esterna. Essi sono sempre pronti a godere di questa distanza etico-estetica; anzi è ciò che li ravviva nella loro lotta quotidiana. Così romantici da nutrirsi del contrasto di essere outsiders, consapevoli delle sofferenze che ciò comporta e della lucidità della loro critica alla società che rifiutano e che li rifiuta. E proprio per questo, ognuno, a modo suo, trova un’evasione e poi il consenso nella grandezza di una critica. Il primo segno di una maturità è il distacco che si prende da un qualcosa per criticarlo.

Chuck Schuldiner

Questo genere, così esplosivo e rabbioso, figlio tanto di un punk che di un hippie, ne sviluppa l’ambito critico e in una maniera che molti generi odierni dovrebbero invidiare. Le lyrics di gruppi come Tool, Death, Ulver, Neurosis, Agalloch e tanti altri, fanno subito capire che non si parla affatto di sedicenni imberbi che rifiutano l’autorità genitoriale. Queste persone guardano nell’abisso sempre più consapevolmente, umiliando la pseudo-raffinata esposizione della tristezza di certi hipster d’oggi. Non si piange per stare sul palco, così come oggi va di moda, ma lo si fa perchè si sta sul “palco”. Questa apparentemente semplice presa di coscienza, determina un artista vero da un millantatore. Questa è l’abissale differenza tra il metallaro (sì, questo è un discorso da true metaller) che nella sua sincerità abbraccia il pubblico: questa è affinità. L’artista costruito e pseudo-sentimentale che troppo spesso ci troviamo davanti oggi fa leva su sofferenze (spesso fasulle o mal poste) per far leva sulla compassione: questa è carità che ricorda una specie di accattonaggio del gusto. Se questo mix di rabbia e sofferenza si esprime in isole di felicità storicamente passate, o in mondi fantasy o chissà cosa, poco importa. Il grande Layne Staley scrisse: “Loneliness is not a phase/ Field of pain is where I graze/ Serenity is far away”; non è detto che le difficoltà ti rendano maturo, ma di sicuro ti mettono in una posizione adatta a farlo. La musica metal non cerca soltanto evasione fine a sé stessa, ma riflessione e l’affronto diretto, anche nella sua estrema crudezza e grottesca esposizione, di problemi che assillano l’uomo da sempre. Forse è proprio per questo che il grande cantante degli Alice In Chains continuava: “Saw my reflection and cried/ So little hope that I died/ Feed me your lies, open wide/ Weight of my heart, not the size”. Layne Staley si guardò uno specchio così come molti fan fanno tutt’oggi; si guardò dentro e non si abbandonò né a problemi animaleschi né a pseudo-problemi imposti; forse lo comprese troppo bene e in quell’abisso ci è caduto insieme a tanti altri. Alla fine il metal, così come la quasi totalità dei movimenti di appartenenza, sogna la propria età saturnina. Ed è giustissimo. A questo punto è meglio così e rimanere fedeli fino in fondo. Ricordatevi delle orde dove “Denim & Leather/ Brought us all together/ It was you that set the spirit free” per dirla con i Saxon. Orde di giovani e vecchi, omogenee nelle loro differenze spaziali e temporali, eppure elitarie al massimo livello (Dovrebbe far invidia a qualunque disegno politico per quanto riguarda la fede verso la causa). “Deed is done again, We’ve won/ Ain’t talking no tall tales friend/ Cause high noon, your doom/ Comin’ for you We’re the cowboys from hell”. Le legioni di fedeli sostenitori possono emergere in qualunque momento, pronte a unirsi al coro infinito dell’oceano. Questi “combattenti” non arrivano tutti in una volta. Le loro ondate seguiteranno a venire con il suono della marea.

On the waves their voice carries on.

Non è un tipo a caso, ma una fanart di Thomas Forsberg.

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