La prossima campagna elettorale sarà la guerra dei meme?

Ho trovato per caso Matteo Salvini in un meme bulgaro, ricordandomi che il giorno del voto si avvicina

Andrea Capodimonte
La Caduta 2016–18

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È autunno e sembra che ci stiamo ormai dirigendo ufficialmente nella fase politica della campagna elettorale. Lo si capisce dai faccioni dei politici riprodotti nelle varie forme di immagini, dalla tv a internet, che possiamo incontrare nella nostra quotidianità. Ogni leader o personaggio di spicco cerca di guadagnarsi un palcoscenico per far girare la propria immagine e quindi anche il proprio messaggio politico (quando c’è!). Ad esempio nell’ultimo periodo sta guadagnando sempre più visibilità il generale Antonio Pappalardo, leader del Movimento Liberazione Italia, nato dal nulla, ma che quasi simultaneamente ha fatto crescere una pagina Facebook per ogni città, con relativi gruppi Facebook di discussione. Il suo programma politico è molto semplice: mandare a casa gli abusivi, ovvero tutti coloro che hanno seduto al parlamento in quest’ultima legislatura, dal m5s al Pd, dalla Lega a Forza Italia. Prassi ormai sempre più tipica.

Se però i piccoli partiti, galvanizzati dall’appressarsi della campagna elettorale, nascono come funghi, i grandi partiti si muovono ancora con calma, facendo piccoli passi, studiando gli altri, abbozzando alleanze e preparandosi al momento cruciale dell’intero percorso democratico.
Dall’ultima volta che siamo andati a votare di cose ne sono cambiate tante. Oltre alla tensione ben palese che si respira nell’aria a livello internazionale, oltre le varie scissioni, oltre l’avanzata delle destre estreme, in questa tornata elettorale ogni partito politico avrà la piena consapevolezza dello strumento social-network, riconoscendone le potenzialità ma anche i limiti.

Settimana scorsa, conseguendo quell’attività sempre più abitudinaria di far scorrere con il pollice lo schermo del mio cellulare, mi sono trovato a scorgere questo meme, in una lingua a me incomprensibile:

Due frame da un film di Scary Movie e l’immagine di Salvini al cellulare durante gli attentati di Bruxelles del 22 Marzo 2016.
Riconoscevo tutte le immagini, ma non riuscivo a comprendere cosa si dicessero. Le prime due le conoscevo perché da quattordicenne andavo pazzo per questa comicità non-sense su cui si basavano i film della saga di Scary Movie; la terza, tutta italiana, la riconoscevo perché diventata meme con l’hastag #SalviniOvunque, lo stesso giorno in cui ci furono gli attentati di Bruxelles, caricata da Salvini stesso sui suoi profili. La foto in breve tempo diventò virale, ricondivisa e modificata più e più volte e ricondivisa ancora.

La viralità nasce spesso e volentieri dal caso, nel senso che spesso diventa virale ciò che non ha in realtà niente di interessante o bello; spesso basta che faccia ridere. Spesso basta che sia memizzabile.
Mettendo a confronto le varie personalità politiche ci si renderà conto che Salvini è quello che più di tutti è presente sulla rete, o meglio, su Facebook e Instagram, pubblicando un numero di post quantitativamente superiore a tutti gli altri:

Insight di Facebook aggiornato lì 11/10/2017

Ma Salvini non è solo. Ogni suo post, ogni foto che carica, ogni suo commento o partecipazione pubblica è gestito da un team guidato da Luca Morisi, docente di Filosofia Informatica all’Università di Verona, che ne definisce la strategia d’azione sui social-network. Quando Salvini sta su internet, non tratta il messaggio mandato a internet allo stesso modo in cui lo manderebbe alla televisione. Salvini-Morisi lo manda in rete cercando la viralità, ovvero aspettandosi di utilizzare quel messaggio in modo tale che gli utenti se ne approprino, lo modifichino e lo condividano, rendendolo meme.
Il meme è il potenziale a cui mira chi fa comunicazione su internet, il linguaggio che mette al centro l’utente, quindi il possibile elettore.

La viralità dell’immagine di Salvini non può che essere una vittoria del politico che cerca in tutti modo di sovrastare gli altri, che nella stessa giornata degli attentati, in cui tutti sono impauriti e alla ricerca di informazioni, riesce a concentrare su di sé tutte le attenzioni, facendosi poi promotore di un messaggio che giochi sulla paura di un possibile attentato anche in Italia. L’immagine di Salvini diventa talmente tanto virale da finire utilizzata come base per meme anche in Bulgaria, da cui proviene il meme riportato sopra.
Girando tra la gallery della pagina dedicata al Salvini in Brussels, su Knowyourmeme, la troveremo tra i vari meme caricati dagli utenti.
Girando un po’ tra Reddit e Facebook è anche possibile tradurre le scritte in bulgaro, per un risultato che in italiano suonerebbe così:

La faccia pelosa, i chiletti di troppo, il look poco curato. Ignoranza. Ruspe. Serate al Papete beach. Matteo Salvini sa quanto sia importante essere un meme e sa bene quale sia la sua fetta di elettorato. L’approdo della faccia di Salvini in un meme bulgaro mi pare un po’ la consacrazione del suo potenziale virale. Salvini non è stato ripreso da questa pagina Facebook perché si tratta di Matteo Salvini, c’è finito per fare la parte del burbero uomo adulto che rimane basito (F4) dall’infantilissimo bellaaaaaa dei due fattoni.
La sequenza, aggiunto il testo in bulgaro, prende tutt’altro significato rispetto a quello che aveva il meme caricato su Knowyourmeme, senza testo. Il contenuto girava in Italia perché giocava sull’ubiquità del politico, con l’hastag #SalviniOvunque, così che nell’immagine riportata(non troppo simpatica) Salvini si trova anche a rispondere al cellulare nella “celebre” scena di Scary Movie.

Questa è solo una delle immagini modificate e risemantizzate rispetto all’uso originale che essa aveva. Essendo Salvini un vero e proprio meme vivente (immagine costruita in un lungo arco di anni, almeno dal 2013, con un picco nel 2015), di lui esistono infinite rappresentazioni, tra cui andrebbero segnalate anche tutte quelle appartenenti al campo del poop, di Youtube Italia. Basterà citare la sua presenza nella saga E’ finito il vino di Nocoldiz, saga non-sense che lo vede tra gli antagonisti nella disputa per il Trono di Spade, di cui ha parlato tra gli altri anche Giuseppe Genna.

Salvini che quindi vuole essere meme, e ci riesce talmente tanto da diventare meme d’esportazione, perdendo totalmente il suo significato originario per diventare qualcosa di simile ad un reaction, per appartenere per sempre agli utenti che possono fare della sua immagine tutto ciò che vogliono, dimenticandosi completamente del suo significato originario. E della sua identità.

Salvini non è però il primo politico a diventare una reaction fuori dall’Italia. D’alema lo ha anticipato di almeno 10 anni, essendo una di quelle reaction che poteva apparire postata da qualcuno su 4chan.

Il caso di D’alema è però molto differente rispetto a Salvini, soprattutto perché, vuoi per i tempi ancora prematuri, non c’era stata alcuna volontà da parte di D’Alema nel diventare un meme.

Sempre andando a curiosare su Knowyourmemes si troverà anche in questo caso una storia buffa, che parla di incomprensione e perdita totale del senso, legata a quel programma trashissimo che era, ed è, Striscia la notizia. I programmi di Antonio Ricci del passato (ma diciamo anche della Mediaset in generale), soprattutto quelli anni ’90, sono diventati col tempo un ottimo serbatoio, probabilmente per la propria estetica, per tutto un filone di meme italiano che fa rivivere la televisione in svariate forme e composizioni estetiche ormai tipiche di internet, diventando il mito per eccellenza del trash.
D’Alema, o meglio, la canzoncina per sfottere D’Alema, cantata dal Gabibbo, divenne la colonna sonora di un book-trailer allucinante per un libro di fiabe, ancora oggi visitabile al sito http://www.fufufactory.com/.
Il video promozionale era questo:

Il FuFu Dance era la sigla della trasmissione andata in onda tra il 1995 e il 1996, visualizzabile sul sito della Mediaset (su Youtube è stata rimossa), costruita intorno ad un gesto abitudinario di D’Alema, soffiarsi nei pugni nei momenti di distrazione. Curiosando ancora si troveranno anche delle dichiarazioni di D’Alema su quella sigla inventata da Antonio Ricci, ironizzando sul fatto che questa avesse aumentato di un punto percentuale i voti della sinistra. Mentre nel frattempo, sempre nel 1996, Ricci teneva conferenze sulle sue capacità comunicative.

C’è infine da notare che c’è forse un collegamento più stretto di quanto si immagini tra la strategia salviniana di diventare un meme e quella di Antonio Ricci di fare comunicazione. D’altronde si è discusso abbastanza su quale sia l’elettorato del nuovo leader della Lega Nord, e sembra essere uscito fuori che il prototipo ideale sia quell’elettore che rientra nell’etichetta giornalistica definita come bomberismo, individuata da Vincenzo Marino, che si rifà a tutta quell’estetica nostalgica e profondamente legata agli anni ‘90. Parola questa, bomberismo, che non si distanzia troppo dal mondo che ha prodotto la parola velina, neologismo di Ricci che è entrato con molto clamore nel nostro linguaggio, che con bomberismo condivide probabilmente qualcosa in più dello stesso grappolo isotopico.

Se è vero che dopo la vittoria di Trump i social-network hanno acquisito una forte rilevanza nelle discussioni pubbliche, con continui interrogativi sul corretto uso che andrebbe fatto e sul loro potere di influenzare gli elettori, c’è sicuramente da affermare che il meme è in grado di influenzare una cultura, e perché no, di crearne una in cui tutto sia coerente ad una determinata estetica, capace di aggregare e creare poli ben definiti. Ed è innegabile, come è stato notato da più fonti, che alcune pagine come Figli di Putin, Sinistra Cazzate e Libertà, La via culturale, ma anche il fumettista Ghisberto, abbiano cambiato nel tempo il loro modo di creare contenuti, spostandosi esplicitamente nel campo della propaganda senza layers di ironia. Se è vero, ed anche giusto, cercare di tradurre un fenomeno da una cultura ad un’altra, è indubbiamente poco utile attuare una caccia alle streghe per scovare gli Alt-right italiani, andando a compilare identikit che a poco servono senza la consapevolezza delle varie culture pre-esistenti nel nostro contesto italiano. La traduzione letterale di un meme ha più o meno lo stesso valore della faccia del leader padano che viene esportato in Bulgaria, perché, come scrisse Hua Hsu del New Yorker, un meme è veramente efficace soltanto quando si riappropria della cultura che ha intorno e crea cortocircuiti nei suoi significati comunemente accettati. Se il meme non crea nessun cortocircuito, il suo effetto è debole, e rimane un fenomeno di nicchia, uno di quegli strascichi della cultura internet non ancora inglobati totalmente dalle masse. Se veramente vogliamo iniziare a cercare il nostro corrispettivo alt-right italiano, dovremmo forse per prima cosa lasciare perdere tutte quelle osservazioni che si concentrano sulla forma, per concentrarci quasi esclusivamente sulla sostanza, senza pensare per forza che questa sia sommersa da un numero indefinibile di strati.

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