La regina del giallo tra letteratura e cinema

Per l’uscita della nuova rivisitazione di Kenneth Branagh, la cineteca di Bologna ripropone alcune fra le migliori trasposizioni dei romanzi di Agatha Christie

Francesca Orestini
La Caduta 2016–18

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Un mito che nasce da una scommessa tra Margaret Frary Miller e la giovane e fantasiosa Agatha, che a parer di sua sorella non sarebbe mai diventata una scrittrice di gialli. Quasi un secolo più tardi, il nome di quella ragazza domina ancora tra i più eccelsi della golden age del giallo all’inglese: le copie dei suoi romanzi sono tutt’ora stampate in tutto il mondo, superate per ristampe soltanto dalla Bibbia e da Shakespeare. Il suo interesse per il genere nasce, molto probabilmente, durante la prima guerra mondiale, mentre lavorava come infermiera volontaria presso l’ospedale di Torquey. Lì ebbe l’occasione di osservare il lavoro dei medici, apprendendo molto sull’anatomia umana, e appassionandosi in particolare ai veleni e medicinali di cui diventa veramente esperta in breve tempo. A sollecitare poi la sua fervida immaginazione furono le gesta dei personaggi conosciuti attraverso i libri che i pazienti spesso dimenticavano in ospedale, una volta dimessi: Sherlock Holmes di Sir Arthur Conan Doyle, Arsenio Lupin il ladro gentiluomo di Maurice Leblanc e il giovane giornalista-investigatore Joseph Rouletabille del francese Gaston Leroux, ovvero le personalità letterarie più celebri del Novecento.

Nel 1923 Agatha firma un contratto con la rivista Sketch per la stesura di dodici racconti: così inizia l’ascesa della Christie al successo, dovuto in particolare alla capacità di costruite trame fluide ed inappuntabili, costituite da un intreccio estremamente intricato, fitto di trabocchetti ed inganni agli occhi del lettore. Gli scenari sono quelli a lei vicini, la Londra anni ’20, attraverso cui si muovono personaggi delle classi dominanti; la ricca borghesia e un’aristocrazia quanto mai altera e decadente, i cui ricchi salotti, giardini, tenute, castelli o navi diventano fastosi teatri dei piani violenti di menti contorte e intelligentissime. La bellezza dei romanzi e racconti della Christie sta proprio nell’attenta osservazione della natura umana, delle reazioni psicologiche relative a traumi o sentimenti ossessivi, della ferocia con cui l’intelligenza possa trasformarsi in strumento di morte. I suoi delitti rassomigliano, infatti, a raffinatissimi giochi d’ingegno e d’astuzia e i suoi assassini sono il caleidoscopico riflesso dell’ambiguità dell’animo umano. Componente essenziale delle sue opere è senz’altro l’utilizzo della tecnica del metodo scientifico, o deduttivo, vera fonte di ispirazione per gli scrittori di inizio Novecento; questo, nei testi della Christie, è sapientemente utilizzato dal piccolo e geniale investigatore Hercule Poirot, suo figlio prediletto, e in modo meno interessante dalla simpatica vecchietta Jane Marple. Il metodo, con la sua struttura che partiva dall’osservazione per arrivare ad una conclusione, divenne il punto focale delle trame del giallo inglese, il cui capostipite fu Auguste Dupin, nato dalla penna di Edgar Allan Poe e proseguito ed estremizzato da Sir Arthur Conan Doyle.

Perfino la vita stessa di Agatha si tinse del giallo dei suoi racconti. Durante la delicata e sofferta fase della separazione dal marito Archibald Christie, colonnello dei Royal Flying Corps, la scrittrice scomparve misteriosamente, venendo ritrovata dieci giorni dopo nella località termale di Harrogate, registratasi con il nome dell’amante del marito. Colta da ipotetica amnesia, non seppe dare nessuna spiegazione dell’accaduto, ma si dice che volesse inscenare il suo stesso omicidio per poi far ricadere la colpa sul marito. Dalla vicenda è stato tratto anche un film con Vanessa Redgrave e Dustin Hoffman, Il segreto di Agatha Christie diretto da Michael Apted.

In onore della regina del giallo ed in occasione dell’uscita del nuovo film di Kenneth Branagh, Assassinio sull’Orient Exspress, la Cineteca di Bologna ha dedicato in gennaio una rassegna ai migliori adattamenti cinematografici dei suoi romanzi più famosi ed acclamati, spesso realizzati da alcune delle più importanti personalità registiche del periodo.

Witness for prosecution

Prima fra tutti quella che la stessa scrittrice reputava la sua trasposizione più bella, Testimone d’accusa di Billy Wilder, basato sull’omonimo racconto. Un giallo giudiziario che illustra alla perfezione il complicatissimo intreccio tipico della Christie e che vede protagonista un attempato, ma geniale, avvocato (Charles Laughton) trovatosi a difendere il sorridente squattrinato Leonard Vole (Tyrone Power), accusato di aver ucciso un’anziana signora che l’aveva “preso in simpatia”. La faccenda precipita quando si scopre che la donna gli ha lasciato tutti i suoi soldi, mentre sua moglie, una splendida e gelida Marlene Dietrich, sale sul banco degli imputati come testimone d’accusa. La bellezza di quest’opera sta tutta nella mirabile costruzione, e nello sviluppo, dell’intreccio come uno sciorinarsi di continui vicoli ciechi e tranelli, tanto che soltanto la fine potrà far cadere tutte le maschere e infrangere il velo dell’apparenza: grandissimo trionfo della mente acuta che gestisce i fili della vicenda. Straordinaria la regia di Billy Wilder, che aggiunge alla storia la sua pungente ironia, ambiguità, leggerezza e una straordinaria caratterizzazione dei personaggi.

Con le sue 110 milioni di copie vendute, Dieci piccoli indiani è il libro giallo più venduto in assoluto. Il romanzo si sviluppa sulla struttura della camera chiusa: dieci personaggi invitati da un ospite misterioso in una tenuta di montagna. Ognuno nasconde un oscuro segreto alle spalle e ben presto tutti si renderanno conto che è proprio il peso dei loro misfatti il motivo per cui sono rinchiusi lì, destinati a non uscire vivi. Difatti uno ad uno i personaggi vengono misteriosamente eliminati e, nel terrore dilagante, diventa sempre più chiaro che l’assassino si nasconde nel gruppo. Non essendo presenti né detective, né altre figure che possano incarnare la “giustizia”, aggravando il claustrofobico sospetto e il senso di minaccia del passato violento di tutti, il potere salvifico che tale figura rappresenta viene ad incarnarsi nell’entità, o deus ex-machina, autrice della catena di delitti. In questo modo vengono estremizzati i concetti umani di bene e male, giusto o sbagliato, facendone risaltare allo stesso tempo tutta l’ambigua problematicità. Moltissime sono le trasposizioni tratte da questo romanzo e la cineteca propone quella di George Pollock del 1965. Non solo, dalla trama di questo romanzo prendono ispirazione moltissime pellicole, come Invito a cena con delitto (Robert Moore 1976), Tutti defunti…tranne i morti (Pupi Avati 1977), Identità (James Mangold 2003), per citarne alcune.

Ten little niggers

I romanzi scritti dalla Christie sono in totale 66, mentre i racconti arrivano a 153; Dieci piccoli indiani e Testimone d’accusa rappresentano alcuni dei casi più rappresentativi dello suo stile, costituendo oltretutto due autentici capolavori del genere. Ma è la serie che vede come protagonista Hercule Poirot la vera fonte della fama della scrittrice inglese. Belga (guai a dire francese!), piccolo di statura, grassoccio e dall’aspetto estremamente curato ed elegante, Hercule Poirot è uno dei personaggi più insoliti e curiosi nato dalla penna della scrittrice inglese. Il suo aspetto, innocuo ed eccentrico, unito al suo spiccatissimo accento straniero e all’apparente aria bonaria, mascherano efficacemente le sue straordinarie doti intellettive, che svelandosi nel corso delle indagini lasciano gli spettatori sbalorditi e disorientati. Acutissimo senso dell’osservazione, che esercita anche in situazioni normali, non può far a meno di spiare ed origliare, venendo per questo definito, con disprezzo e rancore, “ficcanaso” dai possibili sospettati. Disprezza la violenza e la volgarità, poiché la grandezza della razza umana può essere espressa, a parer suo, soltanto attraverso l’uso delle facoltà intellettive, delle “celluline grigie”. Difatti, il suo acume è esemplare e conduce le indagini allo stesso modo in cui cura la propria figura: al limite dell’ordine e del metodo, rivelandosi maniacale ed esasperante per gli altri, fra tutti i due fedeli alleati, l’ispettore Japp di Scotland Yard e il bonario Hastings. È un attento studioso della natura umana, dei suoi difetti e delle debolezze che non esita a stuzzicare, sfruttando l’ironia pungente e giochetti psicologici. In questo conserva qualcosa della spietata creatura di Doyle, nonché la distinzione da gentiluomo del Dupin di Poe, ma del primo non possiede il distacco al limite dell’alienazione e del secondo non conserva la tetra predisposizione alla malinconia e all’onirismo. L’attenzione maniacale a dettagli e sfumature, nonché la lunga e brillante carriera, gli hanno garantito una profonda conoscenza dell’umana natura, che osserva attraverso un caleidoscopio di emozioni, seppure sempre temperate dalla razionalità del suo pensiero. I suoi avversari, assassini o ladri che siano, nello smascheramento finale si rivelano abilissimi e intelligenti, spietati per il sangue freddo, ma mai figure seriali: sono la maggior parte delle volte figure, avare, crudeli, sofferenti, ossessionate, ma quasi mai lontane da una sorta di passionalità di fondo. S’intuisce come la Christie ricami sulla figura del colpevole un gioco continuo di contrasti e di ambiguità, di follia e razionalità, freddezza e passionalità, che delinea, sfocandola al tempo stesso; la linea che separa il bene dal male.

La storia di Poirot viene fuori dalla vasta serie di romanzi che lo vedono protagonista, senza però essere inserita in un ordine cronologico, di modo che la Christie avesse più possibilità di aprire sempre nuovi casi per il personaggio. Molti sono stati gli attori che hanno provato a dargli un volto e la Cineteca propone le due più famose.

Death on the Nile

Tra le varie c’è senz’altro quella dell’attore inglese Peter Ustinov in Assassinio sul Nilo di John Guillermin. Una trama che si tinge del dramma di un amore forte, spregevole come la donna ricchissima uccisa durante la luna di miele in crociera sul Nilo. Nel risolvere il caso sulla nave fluviale, Poirot si ritrova circondato da elementi quanto mai differenti tra loro, ma tutti con una particolare corruzione dell’animo, una particolare ossessione per qualcosa o qualcuno talmente forte da rendere ben difficile capire chi fra loro non si è spinto ad uccidere. Sullo sfondo, gli scenari grandiosi delle rovine egiziane, pervase da sempre da un sentore enigmatico e mistico. Ustinov esalta sopratutto l’ironia e la sorniona malizia del detective, la sua natura curiosa e sfacciata, e la sua ostinata noncuranza nell’ignorare le rimostranze, conferendogli un’aria davvero inglese più che straniera.

Decisamente più misteriosa e introversa è l’interpretazione che ne da Albert Finney nel celebre Assassinio sull’Orient Express di Sidney Lumet, in cui l’attore sembra quasi indossare una maschera teatrale. Il film di Lumet è un vero gioiello cinematografico, affascinante nello stile registico e glorioso per il cast di attori che esibisce: Lauren Bacall, Sean Connery, Vanessa Redgrave, Ingrid Bergman, Anthony Perkins (per ricordarne solo alcuni). Come Asssassinio sul Nilo, anche questa pellicola resta completamente fedele al romanzo originale, lasciando le sorti del successo in mano alla trama della Christie. Giocato anche questo con il sistema della camera chiusa, lo scenario è lo sfavillante treno Orient Express, vera espressione del lusso negli anni ‘20. Nelle sue cabine ha luogo un delitto il cui valore ambiguo si avverte da subito, poiché ad essere assassinato è un malvivente che in passato commise un atroce delitto. Inutile tentare di capire chi sia il colpevole, delle dodici persone che viaggiavano sul treno potrebbe essere chiunque e nessuno. Il finale è una perfetta concordanza di dramma e giallo, in cui sono racchiusi alla perfezione i concetti di bene e giustizia e cosa si è disposti a fare pur di perseguirli. Lumet riesce a ricreare il sottile e raffinato carattere dei personaggi e l’aura altera e risoluta da loro emanata. Attraverso lo scintillare di abiti e gioielli, e l’uso di colori chiarissimi che risaltano la ricchezza che li circonda, riesce comunque a creare il sentore di un oscuro segreto.

Murder on the Orient Express

Rocambolesca e frenetica è invece la versione del 2017 di Kenneth Branagh, che vediamo cimentarsi sia nella regia che nella parte del celebre detective. Quello di Branagh è un Poirot attempato, come quello di Peter Ustinov, di cui si nota sopratutto l’esagerata dimensione dei baffi, vera ossessione del detective nei romanzi. Innaturali ed oppressivi, sono praticamente lo specchio di tutta la scenografia filmica, estremamente artificiosa ed esagerata, attraversata e travolta da un ritmo frenetico ed incalzante. La trama viene completamente disgregata, inframmezzata da flashback che mostrano il passato ma spiegando pochissimo, e per lo più ristagna nella contemplazione dei personaggi le cui espressioni e azioni sono esasperate al massimo. Il fattore dramma, caratteristica del primo film e del romanzo, che in essi s’immaginava inizialmente, per venire lentamente a galla come un trauma psichico nel corso della vicenda e riversarsi pienamente nel finale, nel film di Branagh permea visibilmente tutta la vicenda, trasformandola in una specie di melò tragico. Salta immediatamente agli occhi il legame del gruppo, svelando la perdita d’importanza del mistero: l’indagine è quasi del tutto assente e Poirot/Branagh sembra piuttosto rivestire la parte di un confessore confuso da tanto scalpore. I suoi pensieri e le sue riflessioni prevalgono sull’osservazione deduttiva, che è piuttosto trasformata in una dolorosa contemplazione. Il dilemma del bene e del male, unito al gravoso compito di chi opera per la giustizia evidente in tutta l’opera della Agatha Christie, qui è fin troppo evidente e finisce così per perdere tutto il proprio valore. Interessante è la recitazione, a partire da Branagh che si dimostra ancora una volta ottimo attore: il ricco cast è composto da Michelle Pfeiffer, la nuova stella nascente Daisy Ridley, Judi Dench e Willem Defoe, sacrificati in due parti che sembrano avere assai poco rilevanza, e una fragile e spaurita Penelope Cruz e Johnny Depp, nella parte della vittima/carnefice Rackett, conferisce al personaggio una sorta di terrore visibile che quasi suscita pietà, ben lontano dal gelido, violento e crudele volto di Richard Widmak nella versione di Lumet.

The Mirror Crack’d from Side to Side

Ultimo film della rassegna fa onore ad un altro personaggio della Christie, portata unicamente sul grande schermo da Angela Lansbury nel film di Guy Hamilton Assassinio allo specchio. Jane Marple è una anziana zitella che vive in un piccolo paesino inglese, appassionata di giardinaggio e di omicidi. Ironica e arzilla ha un’intelligenza vivace e uno spirito di osservazione molto acuto, ma non essendo una detective le trame che la vedono protagonista sono per lo più incentrate su drammi familiari della media borghesia inglese. Il film di Hamilton è uno dei pochi casi in cui la si vede risolvere un omicidio avvenuto nella villa di una diva americana, arrivata per girare un kolossal insieme alla sua troupe. Un cast stellare che vede fronteggiarsi alcuni tra i divi americani più famosi in assoluto, quali Kim Novak, Rock Hudson e Tony Curtis, e una ancor splendida Elizabeth Taylor nelle vesti delle grande attrice sul viale del tramonto. Un giallo che sul finale si rivela un dramma sulla vanità del successo costruito esclusivamente sulla propria bellezza e immagine, che il tempo sgretola rapidamente lasciando solo la solitudine del vuoto.

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