Life — Non oltrepassare il limite: ancora minacce dallo spazio profondo

In una stagione particolarmente felice per la fantascienza, il regista Daniel Espinosa ci riporta nello spazio ad affrontare una minaccia aliena

Francesca Orestini
La Caduta 2016–18

--

Un lungo piano sequenza apre il film di Jorge Daniel Espinosa: Life — Non oltrepassare il limite. Fluttuando lentamente nell'assenza di gravità, si viene trasportati all'interno dell’astronave nella quale i sei protagonisti della vicenda sono impegnati a recuperare una navicella proveniente da Marte. Dentro questa astronave è conservata la possibile risoluzione ad uno dei più grandi interrogativi umani: l’esistenza di altre forme di vita nell'universo oltre la nostra. Come vuole la lunghissima tradizione fantascientifica, anche stavolta i nostri dubbi sono giustificati. Viene chiamato “Calvin” l’essere monocellulare rinvenuto all’interno della navicella e che comincia a svilupparsi nel laboratorio dell’astronave, sotto gli occhi increduli e speranzosi dell’equipaggio. Speranza, però, di assai breve durata: la piccola entità aliena, crescendo velocemente, diventa ben presto un organismo perfetto e intelligente, il cui unico scopo è sopravvivere.

Life- Non oltrepassare il limite (Daniel Espinosa, 2017)

Chiunque abbia parlato di questo film si è molto soffermato, come è doveroso e giustificato, sui punti in comune che esso ha con alcuni dei maggiori capolavori fantascientifici del passato. C’è persino chi ha chiamato in causa Stanley Kubrick e il suo 2001: A Space Odissey, trovandone echi in qualche particolare inquadratura. Mettiamo da parte questa critica, il solito “volo pindarico” di chi ama scomodare l’Odissea kubrickiana, per sottolineare piuttosto la presenza di due chiare citazioni cinematografiche contenute nel film. A partire dall’iniziale piano sequenza, fino ad arrivare alla claustrofobica ambientazione a gravità zero, la ripresa di Gravity è evidente. L’aacuratezza del realismo nella riproduzione dei vicoli spaziali e dei loro interni, assieme la completa assenza di gravità sia dentro che fuori l’astronave furono i cavalli di battaglia del film di Cuaron, che grazie alla regia e al reparto tecnico si aggiudicò gli Oscar nel 2013.

Gravity (Alfonso Cuaron, 2013)

Per quanto riguarda la trama, sembra perfino superfluo parlarne, almeno a chi già abbia presente il capolavoro di Ridley Scott, Alien: le trame dei due film per poco non coincidono. Tolte alcune evidenze lievissime: come il fatto che questa volta i protagonisti siano dei veri e propri scienziati e non uomini d’azione come nel film di Scott e che l’essere diabolico votato al massacro degli sfortunati umani non abbia nulla che vedere fisicamente con il mostruoso killer che infestava la Nostromo in Alien. Piuttosto, il fulcro dell’azione orrorifica nel film di Espinosa è l’aggressiva ribellione dell’alieno contro l’equipaggio. Così ancora una volta veniamo ad essere testimoni della lotta fra due forme di vita per la sopravvivenza che, per realizzarsi, comporta necessariamente l’annientamento di una delle due. Non sembra proprio una grande prova di originalità. Persino gli espedienti utilizzati per generare paura e ansia nello spettatore sono ormai stereotipi di quel genere fantascientifico ibridato con l’horror.

Alien (Ridley Scott, 1979)

Eppure, anche se è fin troppo facile intuire cosa stia per succedere, la tensione riesce comunque a mantenersi alta. In fondo, la paura di una morte dolorosa, la curiosità che ci spinge a guardare verso l’oscurità abissale dell’universo e le presenze ostili che lo popolano, il terrore raggelato di perdersi in un’odissea infinita alla deriva nel caos, costituiscono la stessa fascinazione fantascientifica. Espinosa, senza affatto curarsi di nascondere la pigrizia creativa, gioca su questi espedienti drammaturgici, costruendo un film visivamente buono e una trama che è senz’altro godibile. Il ritmo della narrazione nonostante tutto è frenetico e riesce a stabilire una tensione costante, intrattenendo lo spettatore fino al finale. Questo è uno sberleffo ironico, uno smascheramento della leggerezza di fondo del film. Il regista intreccia il gigantismo di immagine di Gravity e la trama di Alien, con elementi tipici del genere splatter, restituendo l’impressione di un B-movie in alta definizione. La morale è fin troppo lampante e spesso sono i protagonisti del film a farla emergere nei loro dialoghi, mentre la plausibilità scientifica, artificiosamente ostentata, è più semplicemente una costruzione immaginifica puramente fantastica. Un film di breve durata, che riesce in linea di massima a restituire un coinvolgimento complessivamente positivo da parte dello spettatore.

Per quanto riguarda invece i personaggi, sono concepiti in modo che le loro azioni risultino estremamente finalizzate alle funzionalità della storia. Non si sa molto del background di ognuno di loro, ma il profilo viene abbastanza articolato durante la visione, per dar modo allo spettatore di provare pietà nei loro confronti. Il cast è comunque di tutto rispetto. Oltre a Ryan Reynolds, Jake Gyllenhall troneggia fra gli altri per la sua interpretazione: personaggio schivo e vagamente misantropo inizialmente, è il vero “eroe” della storia, insieme all’ufficiale Miranda North, interpretata da Rebecca Ferguson. Vero punto di forza del film, però, resta la figura dell’alieno. Come già accennato, è estremamente simile a quello di Alien (nato dalla mente di H.R. Giger), eppure c’è qualcosa che li differenzia sostanzialmente. La creatura di Scott possedeva un’intelligenza che, pur essendo molto sviluppata, era completamente subordinata ad un’indole feroce e aggressiva, incontrollabile, che non lo faceva percepire come un’entità altra, quanto piuttosto come un vero e proprio “mostro”. Per quanto riguarda Calvin, invece, si lascia molto spazio alla rappresentazione della sua crescita fisica: lo si osserva interagire inizialmente con gli stimoli che gli sono intorno e sviluppare un’intelligenza acutissima; in più gli si attribuisce un nome proprio umano, dando una sfumatura ambigua alla sua figura. Calvin diventa un personaggio a tutti gli effetti, un essere vivente che, sentendosi minacciato, sfrutta la violenza per sopravvivere.

--

--