Loro: vuota cronaca di un Cavaliere dimezzato

Paolo Sorrentino racconta luci e ombre di Silvio Berlusconi, continuando a proporre un’idea di cinema rimasticata e inefficace

Michele Bellantuono
La Caduta 2016–18

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Ma te che cosa ti aspettavi, di poter essere l’uomo più ricco del paese, fare il premier e che anche tutti ti amassero alla follia?

Loro, terza persona plurale. Un pronome che può implicare e formulare il concetto della distanza, l’idea di una presenza altra, che non ci riguarda o che forse (Noi) riteniamo appartenere ad un diverso e generico gruppo, ad esempio etnico oppure sociale. “Loro” è dunque per questi ovvi motivi una parola chiave all’interno del contesto politico italiano, andando a costituire un appropriato titolo per la rappresentazione cinematografica del berlusconismo allestita dal regista Paolo Sorrentino. Interessante è però notare come nel film del più acclamato regista italiano questo pronome si adatti a molteplici soggetti, a seconda del suo invocatore: “loro” sono gli uomini più potenti d’Italia, quelli che Morra (l’alter ego di Gianpaolo Tarantini interpretato da Riccardo Scamarcio) punta a conquistare al fine di entrare nel giro dell’alta casta del Belpaese; ma “loro” sono anche i diabolici comunisti sui quali incombe il dito accusatore del Centrodestra, gli avversari politici contro i quali il Cavaliere Silvio Berlusconi ha combattuto battaglie politiche ma soprattutto morali; “loro” siamo infine noi, noi italiani, personaggi non affatto secondari nel racconto sorrentiniano. Il titolo di quest’ultimo film di Sorrentino Loro racchiude dunque una parte dei significati che la pellicola tiene a veicolare, ovvero quello dell’alterità del fenomeno di massa chiamato berlusconismo, il mito del leader che ha elevato se stesso a incarnazione della speranza per un Paese alla deriva, in cerca di capitani e garanzie. Al tempo stesso, il regista deve lasciare (necessariamente, perché l’accanito botta e risposta con l’opposizione segna il ritmo di quegli anni in cui Berlusconi ha tentato di ristabilire il suo governo) spazio agli oppositori che qui appaiono a margine, anche se a loro è negata la parola: bastano poche immagini significative che rievocano il terremoto de L’Aquila per dar voce ad un popolo italiano che la politica ha spesso trascurato. Ma lo stesso popolo è racchiuso nella insopportabilmente didascalica sequenza iniziale del film: l’italiano come pecora, smarrita e imbecille, vittima della propria stessa mancanza di una coscienza attiva. Dunque, nella sostanza: siamo noi, loro, contro tutti gli altri. E questo è un po’ il ritmo della nostra politica. Il dominio del contrasto e dell’ingiuria, del caos e dell’immobilità.

In cosa consiste dunque l’operazione di Sorrentino? Mette forse insieme un accurato ritratto della situazione politica nell’era della riconquista del Governo da parte di Berlusconi, nel periodo compreso tra il 2006 e il 2010? O coglie l’occasione per inscenare un teatrino grottesco, schema a lui assolutamente congeniale, che faccia da concorrenza alla migliore satira politica al fine di raccontare le ombre di una delle figure più chiacchierate della Repubblica Italiana (sul modello di quello che molti considerano il capolavoro del regista, Il Divo)? O siamo piuttosto nel terreno del biopic? I bersagli per Sorrentino sono molti, così come le vie narrative possibili; la sceneggiatura di Loro è però dichiaratamente stata concepita come “storia d’amore”.

Un amore che è in primissimo luogo coniugale, quello consumato (nel senso di esaurito) tra Silvio e Veronica Lario, attrice che Sorrentino tenta forzatamente di far passare per intellettuale (e infatti l’ottima interprete Elena Sofia Ricci tiene sempre un libro tra le mani, sia essa sdraiata sul lettino o davanti al piatto della cena). Amore che sappiamo finire in divorzio, rappresentato nel film con una scena che ha colpito molti per la sua intensità, ma che in realtà pare mancare di sincera carica patetica: resa superflua da ciò che già è di dominio pubblico, specialmente quella celebre lettera a Repubblica. La vita privata del Cavaliere è stata del resto sotto gli occhi di tutti per anni e l’inflazione dell’informazione accumulata nel tempo attorno alla figura di Berlusconi sottrae molto al potenziale del film. Questo è uno dei problemi maggiori di Loro: tra le storie raccontate fino ad ora da Sorrentino questa risaltare come la meno necessaria e, sotto diversi punti di vista, la più inefficace. Berlusconi viene toccato in effetti solo “in superficie”, la sua personalità non viene intarsiata profondamente per ottenerne una intelligente metafora grottesca pregna di significato politico (quel che il regista ha ottenuto con la sua versione di Andreotti ne Il Divo). Toni Servillo, mai così lontano dall’inquadrare l’essenza del suo personaggio, riproduce voce e smorfia di Berlusconi per restituire una maschera grottesca che, nel caso di questo personaggio, sembra funzionare a stento: il personaggio raggiunge il livello della satira televisiva, di un’imitazione sterile che riproduce gesti e buffonerie del controverso politico senza tuttavia indirizzare lo sguardo (anche morale) dello spettatore verso una sua nuova sfaccettatura.

Elena Sofia Ricci nel ruolo di Veronica Lario

Sorrentino sembra allora chiudere il racconto nella ripetizione audiovisiva della cronaca, dello scandalo e del festino. Quest’ultimo punto è in particolare anticipato da un fin troppo lungo “prologo”, una sorta di eccitante tour-de-femmes in compagnia dell’arrivista Morra, volente vittima del carisma berlusconiano: questo prologo, sorta di perfettamente coreografato casting di Veline della durata di oltre un’ora, lo si è voluto chiamare Loro 1. Una prima parte fin troppo lenta, dalla sceneggiatura zoppicante (ma pronta a trovare facile stampella nel ridicolo e misterioso “Dio” di turno così come nella graffiante presenza scenica di Kasia Smutniak, nel ruolo di regina delle ragazze dell’ex premier), valida al più per le sequenze finali, in cui finalmente fa la sua comparsa Lui, il Berlusconi/Servillo che immediatamente ruba la scena e raccoglie l’attenzione dello spettatore. In quel Giardino delle delizie che è nel film Villa Certosa, dopo un tenero abbraccio tra Silvio e Veronica, si conclude il primo, nonché assolutamente non necessario, capitolo. Un capitolo primo che è pura introduzione, dominata da un ritmo centripeto attorno alla figura sfuggente e mitizzata del “divo Silvio” ma che, al tempo stesso, risente della ben nota lentezza narrativa sorrentiniana, che restituisce l’illusione di una durata anche maggiore.

Riccardo Scamarcio (interpreta il personaggio ispirato a Tarantini) e Kasia Smutniak (“l’ape regina”), protagonisti di Loro 1

Questo rimo viene quindi abbandonato nel capitolo successivo, nel quale Morra/Tarantini e le sue ragazze diventano personaggi di cornice, senza troppi congedi. L’esca sfacciata a suon di pasticche d’ecstasy e bikini, organizzata da Morra vicino alla residenza sarda di Berlusconi, ha sortito il suo effetto e proprio nella villa in Sardegna si svolge gran parte di Loro 2. Il party collettivo col Cavaliere sognato e studiato nel dettaglio da Morra ha finalmente luogo e questa lunga sequenza diventa un’occasione per Sorrentino per dar sfoggio della propria abilità di gestione dell’inquadratura in quadri carichi di libidine, nei quali domina sempre la lentezza sul dinamismo, nei quali a parlare è l’impatto visivo di statue di carne femminili contro l’eloquenza di sguardi ed espressioni. In questo tipo di costruzione dell’immagine Sorrentino è senza dubbio maestro: ma seduti al cinema l’idea è quella di assistere ad un videoclip suggestivo, ma decisamente fuori tempo massimo.

L’estetica da spot usata per raccontare il mondo berlusconiano può avere una sua coerenza, se la riconduciamo allo stile dei format di Mediaset e delle réclame che sono pienamente parte di quel mondo mediatico che ha fatto la fortuna di Berlusconi. Ma l’uso sul grande schermo è ormai stantio e privo di quel fascino decadente che poteva ancora dare spessore a quel palco di morti in festa che è La grande bellezza. Questa fotografia pulita, queste architetture umane e materiali all’interno di inquadrature fisse e persino l’apparato sonoro sono ormai segno di una emorragia stilistica che ha travolto la creatività del regista, annebbiandone l’attenzione nei confronti dell’opera cinematografica intesa nella sua totalità: ottenere l’eccellenza formale al prezzo della storia e del ritmo non è un traguardo positivo. Il circo grottesco protagonista delle sceneggiature di Sorrentino e Contarello da La grande bellezza in poi ha l’aria di essere costantemente riesumato al fine di soddisfare necessità che non sono narrative o semantiche, ma che riguardano piuttosto la filosofia del brand, che è quello che il regista pare voler costruire attorno alla sua immagine: ogni inquadratura e coro solenne in sottofondo pare proiettare nella coscienza dello spettatore questo “marchio Sorrentino”, ormai parte dell’immaginario dei cinefili italiani, così come dei maestri della parodia che ne hanno saputo cogliere un lato ridicolo (il pensiero corre subito all’imitazione di Crozza).

Toni Servillo interpreta Jep Gambardel…Silvio Berlusconi

Deludente, decadente in un senso ottocentesco del termine (tutto fuorché nuovo e avanguardistico dunque come pure molti credono) e privo di una traccia narrativa stimolante e significativa, al di là di un fastidioso tono didascalico. Eppure Loro nella somma delle sue due (lo ripetiamo, non necessarie) parti è un film che può soddisfare molti spettatori, come appunto è accaduto. Piace agli oppositori di Silvio Berlusconi e in parte soddisfa i suoi sostenitori. Piace a Travaglio perché non mancano l’ape regina e colleghe (assieme a tutti gli altri “ragazzi dello zoo di Silvio” come scrive sul Fatto Quotidiano) e perché la rappresentazione di festini ed eccessi corrobora ancora una volta il giudizio sul Berlusconi porco e immorale; non piace più di tanto a Lele Mora perché Berlusconi è molto di più e non tutto ciò che si vede (pur apprezzando l’episodio del travestimento da odalisca, evidentemente accurato); piace a chi crede ancora nel mito del Cavaliere e che può vederne qui un’esaltazione della sua umanità e di quei “valori” che lo hanno portato così in alto, quel che costoro credono di poter chiamare valori almeno; accontenta chi vuole ricordare il dramma del sisma dell’Aquila e le false promesse che sono seguite. Soddisfa infine agli pienamente gli stimatori di Sorrentino, che vi ritrovano tutte le presenze caratteristiche del suo cinema: dai rimandi letterari (dal Manganelli citato nell’incipit allo Steiner apprezzato e commentato dalla Lario) fino ai tipici personaggi grotteschi ai quali si accennava (il maggiordomo di Berlusconi spicca su tutti, assieme ovviamente a quel Dio senza nome e occultato da asciugamani che potrebbe essere il capo della Protezione Civile).

Resta tuttavia l’impressione che l’apprezzamento di pubblico e critica, specialmente dopo un Oscar importante e discusso, abbia confermato il successo di una firma d’autore, quella di Paolo Sorrentino, che si sta lentamente, ma inesorabilmente, cristallizzando in una maniera, in una bottega del grottesco in grado di replicare ciclicamente il proprio linguaggio cinematografico in un circolo di rimandi interni e allusioni fin troppo riconoscibili. Un linguaggio sfruttato da un regista che non si sforza, nel caso di Loro, di osare un’interpretazione concretamente alternativa del personaggio Berlusconi, mentre si accontenta di dare forma a una figura che altro non è se non una copia mediatica dell’originale, tratteggiata dal gossip, dalla cronaca e dal giudizio collettivo di un popolo. Loro e Lui sono lì, proiettati sul grande schermo così come lo sono stati sul piccolo, quello della televisione che dei potenti sa sempre cogliere il momento della caduta. Ma Noi, spettatori e italiani, dovremmo davvero stare dall’altro lato di quello schermo? Chi dovremmo giudicare: il politico imbroglione, l’uomo innamorato di sua moglie, il buffone di Stato o il Casanova disinibito? Sorrentino delega il giudizio e dichiara di voler solo raccontare una “storia d’amore”. Ai posteri l’ardua sentenza…ai contemporanei la dura visione di un film furbescamente bipartito, ma pensandoci bene frammentato ulteriormente in tante nitide immagini sconnesse e seducenti, coerenti con l’estetica tronfia di un autore adagiato sugli allori della moda che continua a esaltarne la vuota bravura.

Paolo Sorrentino (con la tipica espressione di chi sa di aver preso per il culo il suo pubblico)

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