Loving Vincent: Una pellicola dipinta per raccontare gli ultimi giorni di Van Gogh

Un prezioso omaggio cinematografico al grande pittore olandese, realizzato dipingendo ben 65.000 fotogrammi di pellicola.

Michele Bellantuono
La Caduta 2016–18

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Cosa sono io agli occhi della gran parte della gente? Una nullità, un uomo eccentrico o sgradevole — qualcuno che non ha posizione sociale né potrà averne mai una; in breve, l’infimo degli infimi. Ebbene, anche se ciò fosse vero, vorrei sempre che le mie opere mostrassero cosa c’è nel cuore di questo eccentrico, di questo nessuno. Questa è la mia ambizione, che, malgrado tutto, è basata meno sull’ira che sull’amore, più sulla serenità che sulla passione. È vero che spesso mi trovo nello stato più miserando, ma resta sempre un’armonia calma e pura, una musica dentro di me. (Vincent Van Gogh, lettera al fratello Theo)

Quante volte abbiamo sentito parlare del rapporto tra cinema e arte figurativa? Non è certo una novità che la settima arte abbia cercato più volte, nel corso della sua complessa evoluzione, di portare sul grande schermo immagini immortalate sulla tela di qualche pittore. Lo si può fare in vari modi e per i motivi più diversi; solitamente può capitare che ad un regista piaccia l’idea di trasformare il suo set al fine di rievocare la disposizione degli elementi di un particolare quadro, anche solo per il gusto della citazione e assieme per dare sfoggio della propria cultura extracinematografica. In altri casi invece ci si può ispirare ad una particolare corrente artistica ed ai suoi criteri estetici: ecco allora che possiamo riconoscere un’influenza pittorica romantica in alcuni film di Werner Herzog (quella ad esempio di Caspar David Friedrich per il Nosferatu), oppure barocca per il Barry Lyndon di Stanley Kubrick, film notoriamente considerato come una sorta di “pittura su pellicola” per la sua eccezionale scenografia.

Nel bellissimo film antologico Sogni di Akira Kurosawa l’arte pittorica è invece pienamente protagonista dell’inquadratura. Uno degli episodi più memorabili è dedicato alla figura di Vincent Van Gogh: il regista giapponese omaggia il pittore immaginando il viaggio mentale di un personaggio dentro i suoi quadri, trasformati in veri e propri luoghi possibili da esplorare. Ecco allora che pittura e cinematografia vengono a sovrapporsi creando un effetto suggestivo e assolutamente straniante. L’esperimento di Kurosawa è uno dei primi casi in cui vediamo sullo schermo una figura realmente umana addentrarsi in un paesaggio dipinto su tela. Pittura e cinema si fondono in simbiosi perfettamente naturale anche nel suggestivo I colori della passione, film del 2012 diretto dal polacco Lech Majewski che, riuscendo veramente a “dare vita” al dipinto “Salita al Calvario” di Pieter Bruegel il Vecchio, immagina la trama partendo dalla suggestione offerta dal quadro.

“Sogni” (Akira Kurosawa)
“I colori della passione” (Lech Majewski)

Ma si tratta pur sempre di una simulazione, di un trucco raffinato ma pur sempre artificiale: il paesaggio ricalca quasi perfettamente il dipinto e i personaggi che lo abitano sono attori in carne ed ossa, il che restituisce l’illusione di vedere il dipinto prendere vita. Si può evidentemente osare molto di più. Grazie ad una buona dose di pazienza e all’utilizzo di tecniche particolari si può arrivare infatti a realizzare un film che sia assieme un’opera dipinta. È il caso, primo in assoluto nella sua speciale categoria, del film Loving Vincent, diretto da Dorota Kobiela e Hugh Welchman.

Questo film è stato realizzato grazie al minuzioso lavoro di un team di oltre cento artisti provenienti da tutto il mondo. Ognuno dei suoi 65000 fotogrammi è infatti un dipinto, realizzato con pittura ad olio su tela imitando la tecnica di Vincent Van Gogh, il personaggio al quale è dedicata quest’opera. Realizzare un lavoro di questo tipo è possibile grazie ad uno strumento chiamato rotoscopio, che in sostanza permette all’artista di lavorare coi propri strumenti su ogni singolo fotogramma costituente la pellicola, ad esempio, dipingendovi sopra. Tramite il rotoscopio un film già realizzato su normale pellicola può dunque essere rielaborato in varie modalità. Questa tecnica è spesso utilizzata per produrre opere d’animazione particolarmente realistiche, ma è raramente sfruttata dai registi; sicuramente però quando tale tecnica viene usata per ritoccare film in live-action dà risultati visivamente molto interessanti: pensiamo ad esempio a Waking Life e A Scanner Darkly di Richard Linklater, due film che hanno raggiunto il grado di cult anche grazie al loro eccentrico aspetto di pellicole “animate”, in cui però si riconoscono volti e sagome degli interpreti umani.

Esempio di elaborazione della pellicola al rotoscopio in “A scanner darkly”

Grazie a questa tecnica, dopo anni di lavoro si è potuto così creare Loving Vincent: il primo film della storia del cinema ad essere stato interamente dipinto a mano, fotogramma dopo fotogramma. Le figure dei protagonisti sono tutte ispirate a dipinti dello stesso Van Gogh. La storia raccontata è fittizia, per quanto parzialmente basata su veri documenti relativi agli ultimi giorni di vita del pittore olandese, inclusa l’abbondante corrispondenza epistolare tra Van Gogh e i suoi conoscenti più vicini (soprattutto con il fratello Theo). Loving Vincent può essere definito un thriller di matrice biografica: in esso si svolge la storia di un’indagine, quella di Armand Roulin, spinto dal padre (che fu il postino-amico di Van Gogh, immortalato in alcuni ritratti) a rintracciare Theo Van Gogh per consegnargli l’ultima lettera del pittore. Armand accetta con riluttanza, essendo intimamente convinto, al pari di molti compaesani dell’artista, che Van Gogh fosse solo un pazzo dal brutto carattere. Il viaggio alla ricerca di Theo porterà Armand presso la località di Auvers-sur-Oise, dove incontra tutta una serie di personaggi legati all’ultima fase della vita del pittore: tra questi Adeline Ravoux (figlia del proprietario della locanda), Tanguy (fornitore di colori e commerciante d’arte parigino) e la famiglia Gachet (Paul Gachet fu il medico di Van Gogh e uno dei pochi ad essere stato presente al suo capezzale). Armand, confrontandosi con questi personaggi e i loro ambigui ricordi del pittore, si trova involontariamente immerso in una vera e propria investigazione, che lo spingerà oltre la lettera di Theo (che scopre essere già morto) per indagare le vere circostanze della misteriosa morte del pittore.

Il personaggio di Pére Tanguy (a sinistra come rappresentato nel film, a destra nel dipinto di Van Gogh)

Si è in effetti speculato a lungo riguardo il suicidio di Van Gogh. Quel campo di grano con corvi dipinto negli ultimi giorni di vita sembra esserne una tetra prefigurazione; ma la verità resta avvolta dalla nebbia. Il film riesce perfettamente a rendere l’idea del dubbio e dell’ambiguità con la quale è stata accolta la personalità complessa di Van Gogh: i dialoghi dei personaggi interrogati da Armand riflettono un carattere di bipolarità che ha accompagnato lo stesso pittore durante la sua vita tormentata dalla malattia psichica. Ma grande, immenso sopra ogni opinione e giudizio, resta il suo genio artistico, come ricorda nel film la figlia di Gachet, che nonostante la presenza del pittore abbia creato contrasti all’interno della sua famiglia, continua a posare fiori sulla tomba di Van Gogh.

Il medico di Vincent, il dottor Gachet (a destra il ritratto originale del pittore)

Loving Vincent, accompagnato dalle struggenti musiche di Clint Mansell, non è assolutamente un thriller qualunque: i bellissimi fotogrammi dipinti imitando la tecnica dell’artista olandese ne rievocano la memoria e assieme, espressionisticamente, riflettono quel turbamento interiore che in molti pensano abbia caricato di pathos le sue celebri pennellate (“Nella mia febbre cerebrale o follia, non so come chiamarla, i miei pensieri hanno navigato molti mari” diceva lo stesso Van Gogh). Materia artistica, forma e contenuto vivono in perfetta simbiosi in questo film dipinto che diventa in definitiva, al di là di ogni speculazione, un commovente ricordo del grande artista che ha consacrato la propria vita tormentata alla pittura, nella quale Van Gogh vedeva riflesso l’insieme armonioso della vita.

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